Sono pochi i giornalisti che, inviati in Paesi dove esistono conflittualità domestiche o rivolte ad altre nazioni, riescono a fornire ingredienti finalizzati a procurare un’analisi introspettiva delle persone coinvolte; i servizi giornalistici raccontano prevalentemente gli aspetti geo-politici e conflittuali comuni. La cinematografia è un valido canale che consente di affacciarsi all’intimità delle persone che vivono separate dalla storia che le pone in contrapposizione, contestualmente alle paure e speranze che albergano in ognuna di loro; questa considerazione è indubbiamente confermata dal film La Banda, piacevolissimo primo lungometraggio di Eran Kolirin. Nella pellicola ci troviamo in Israele, lontano dalle luci di Tel Aviv, perché il luogo che riceve la Banda della polizia egiziana venuta ad esibirsi nell’ambito di una iniziativa organizzata dal Centro culturale arabo, è un paese abitato da pochissime persone che hanno le abitazioni sul ciglio della strada intercomunale, dove il calore del sole e la desolazione sono connessi alla realtà del posto. Lo scoramento si insinua subito tra i componenti della banda quando scoprono di avere raggiunto la località sbagliata, errore causato dall’assenza di persone preposte a riceverli all’aeroporto. Gli orchestrali apprendono quindi che, per raggiungere il luogo ove esibirsi, devono attendere l’autobus che transiterà il giorno successivo; queste circostanze fanno spalancare le porte di un piccolo ristorante gestito da una donna israeliana che provvede a rifocillarli e a sistemarli, anche a casa sua, per il pernottamento. Il pasto consumato nel ristorante segna l’inizio del rapporto di questi uomini disorientati e intimiditi con questa donna che si occupa di loro. La pellicola riesce sapientemente a contenere i dialoghi, soprattutto tra il responsabile della banda e la ristoratrice, permettendo di fare emergere la gentilezza, le aspettative e il dolore di ognuno, grazie alla struttura estremamente delicata del racconto. I rapporti arabo-israeliani, attraverso le drammatiche vicende che conosciamo, non vengono qui affrontati; piuttosto è consegnata allo spettatore la consapevolezza che in ogni nazione vivono persone che possono mescolare i loro sentimenti agli altri, riuscendo a scoprire che le preoccupazioni e le gioie spesso coincidono, anche se vissute diversamente.
La percezione dell’attesa, elemento insito in questo film, avvolge i protagonisti, che la vivono non solo nell’aspettare l’autobus che li condurrà a destinazione il giorno successivo ma, grazie all’introspezione dei personaggi fornita dal regista, riesce a configurarsi come l’aspettativa di un futuro migliore affinché si concretizzino i desideri più rosei, partendo da quelli più vitali e giungendo ai più semplici, come l’arrivo dell’agognata telefonata di una ragazza amata che si desidera sentire. La Banda, pellicola agrodolce, vuole essere espressione di unione dei popoli, relegando la parte aspra alle istituzioni che devono provvedere alla loro pacificazione, lasciando invece la parte dolce agli uomini, che qui s’incontrano e che la vivono con profondità.
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