Il mondiale del 1942 non figura in nessun libro di storia ma si giocò nella Patagonia argentina senza sponsor né giornalisti e nella finale accaddero molte cose strane, come il fatto che si giocò un giorno e una notte senza riposo, che le porte e il pallone sparirono e che il temerario figlio di Butch Cassidy tolse all’Italia tutti i suoi titoli.
Avete appena letto l’incipit del racconto di Osvaldo Soriano Il figlio di Butch Cassidy contenuto all’interno della raccolta Pensare con i piedi, edita da Einaudi. Da qui sono partiti Lorenzo Garzella e Filippo Macelloni, i due registi del documentario o finto documentario Il Mundial Dimenticato - La vera incredibile di storia dei Mondiali di Patagonia. O forse no? Di che parliamo? Di un ossimoro, sottilmente inserito nel titolo, dove si legge “vera incredibile storia”. Gli italianisti potranno non dirsi d’accordo sull’esattezza di tale figura retorica, ma se vi fate bastare il concetto è più facile capirsi e venire a capo dell’intera faccenda. Vera? Soriano l’ha scritta così. Per un racconto letterario dovrebbe bastare. Incredibile? Non v’è dubbio alcuno. Per suffragare tale argomentazione proviamo a fare una rapida formazione usando alcuni personaggi della storia.
N°1: La Tigre, portiere della squadra dei Mapuche dotato di poteri paranormali.
N°2: Il Conte Otz, ricco mecenate di origini balcaniche determinato a dimostrare alla barbara Europa, impegnata a scannarsi in guerra, che un altro mondo è possibile, non solo sportivo. È lui a mettere in piedi tutta la faccenda.
N°3: Guilliermo Sandrini (e il suo scheletro), ex fotografo di matrimoni, cineoperatore di provincia e inventore. Ingaggiato per riprendere tutta la manifestazione, prova a riprodurre in salsa pacifista la retorica e le immagini di Leni Riefenstahl.
N°4: Sergio Levinsky, giornalista argentino. Cicerone barbuto porta a spasso lo spettatore tra Patagonia, Brasile, Italia, Inghilterra e Germania.
N°5: Helena Otz, figlia del Conte di cui sopra. Bella, bionda, fascinosa e al centro di un triangolo amoroso.
N°6: Il figlio di Butch Cassidy. Arbitro con pistola e cinturone.
N°7: Il peperoncino calabrese.
N°8: Hitler Adolf, quello lì.
N°9: Klaus Kramer, centravanti nazista con gli occhiali.
N°10: Roberto Baggio.
N°11: Gary Lineker, attaccante inglese oggi plasticoso commentatore sportivo.
Ora, ne converrete anche voi, il mistero è tutt’altro che risolto. Garzella e Macelloni sovrappongono cronaca, narrazione, invenzione e menzogna in un’architettura di immagini che ha molto a che fare con il sogno. Già autori di un altro interessante film calcistico, Rimet - L’incredibile storia della Coppa del Mondo (2010), il loro è cinema sentimentale. La cinepresa è puntata tra gli occhi dei calciatori, in mezzo alle loro storie, il calcio è parte di qualcosa che ha a che fare con il riscatto, l’appartenenza, lo spirito e la frontiera. Ai replay delle telecamere di Sky nulla sfugge: non una smorfia, non un goccia di sudore, una contorsione dei corpi, eppure l’essenziale è altrove. Garzella e Macelloni lo sanno e se ne vanno a parlare di calcio nella Terra del Fuoco. Provano a fare con le immagini quello che riusciva alla penna di Brera e oggi, in parte, a quella di Gianni Mura, due vecchi scribacchini del pallone. Qualcosa del “realismo magico” sudamericano gli rimane addosso e fa del Mundial Dimenticato qualcosa da ricordare.
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