Vodka Lemon PDF 
di Paolo Fossati   

In Armenia, dopo la caduta del regime sovietico, la popolazione vive una dura quotidianità. I luoghi, avvolti da una coltre di neve e battuti dal vento, evocano nello spettatore una sensazione d'immutabile quiete, ma, appena i personaggi entrano in scena, il silenzio è rotto dall'incombere delle necessità primarie. Non basta la forza d'animo della popolazione sullo schermo a tranquillizzare la platea occidentale: le esigenze sono numerose, il denaro manca, l'economia è ferma. Sdrammatizzare, con modalità narrative che sfiorano lo stile surreale del più esuberante Kusturica, non fa dimenticare la realtà, ma la descrive con pathos efficace. Ora c'è la libertà, ma bisogna cavarsela per proprio conto, fermarsi quando la motocicletta si spegne, rincorrerla e saltare in sella quando si mette in moto da sola, come mostra il regista Hiner Saleem nella riuscita gag con un sidecar che evoca quello usato in Underground.

L'intento del film non è l'oblio, ma il racconto pacato ed ironico dell'attualità gestito attraverso l'esplorazione della storia familiare del protagonista, Hamo (Romik Avinian), un vedovo canuto che mostra voglia di vivere seppur privato di molti affetti (morte ed emigrazione hanno creato un vuoto intorno a lui che dovrà colmare per sopravvivere). Nonostante le difficoltà economiche, che lo costringono a vendere i pochi beni che possiede per sostentarsi, distaccandosi anche dal valore affettivo di tanti oggetti, l'uomo si dimostra forte, addirittura in grado di dare certezze al prossimo. La ritualità delle visite al cimitero dove è sepolta la moglie di Hamo è dipinta dal regista con i colori accecanti delle mattine innevate. Uno sgangherato bus in grado di solcare le strade ghiacciate accompagna gli Armeni attraverso quel limbo bianco in cui la loro terra si è trasformata, traghetta le anime vive in visita ai sepolcri di quelle ormai lontane.

Tutt'intorno un clima di attesa indefinita domina il tempo che passa inesorabile. Agognate lettere dall'occidente, spedite da figli emigrati si rivelano - all'improvviso - richieste d'aiuto, piuttosto che mani tese a confortare chi è rimasto nell'isolamento della patria. Le disarmanti condizioni della popolazione vengono dimenticate anche da chi le conosce bene. Da lontano i figli perdono la visione oggettiva dei fatti, ma non tagliano il cordone ombelicale che li lega alla famiglia, un collegamento a flusso monodirezionale, da cui attendono nutrimento senza contropartita. Lo spettatore, invece, riceve un quadro realistico delle condizioni dell'Armenia anche se le modalità di regia ricercano soluzioni poetiche e simbologie: emblematica la scena iniziale, in cui il letto di un anziano infermo viene trainato come fosse una slitta sulle strade innevate, ed il vecchio, impassibile, guarda in direzione dello spettatore lasciandosi trasportare. Non si tratta di un'interpellazione, ma è certo che il punto di vista della macchina da presa sia ben calibrato e susciti l'impressione di una richiesta di attenzione. Il letto scivola verso la sala cinematografica per divenire argomento di dibattito, perché la malattia di chi lo occupa non sia dimenticata. Il contrasto con il finale, in cui il movimento dei personaggi si allontana dagli spettatori in cerca di un orizzonte, è netto. La contrapposizione con un certo cinema americano mainstream che traghetta lo spettatore in una storia, la esplora, e ne esce appagato è compiuta: Saleem non rapisce lo spettatore, ma manda i suoi personaggi da lui a presentarsi.

Invitati a curiosare, gli osservatori, notano che il bianco della neve che avvolge il paese sembra concorrere a delineare in modo ancor più netto le figure dei personaggi, le loro vicende, il peso degli eventi. E' un chiarore luminoso che esprime il realismo dei fatti almeno tanto quanto il nero buio che avvolge la comunità di Dogville di Lars Von Trier serve a suggerire paradigmi. La luce riflessa dalla neve domina lo schermo, congela le situazioni e rende astigmatici i protagonisti delle vicende, che non sempre focalizzano bene la realtà. Passano imperterriti attraverso gli eventi (si spara, si perde il lavoro, ci si prostituisce, ci si sposa…) senza porre attenzione particolare sui fatti, in bilico tra ricordo di un passato in cui il regime pensava a tutto e l'ipotesi di un futuro ancor dubbio.

I primi stimoli verso un cambiamento però si manifesteranno e qualcuno, un giorno, acquistando l'ennesima bottiglia del solito alcolico, si chiederà: "perché si chiama Vodka Lemon se sa di mandorla?" . Risposta: " E' l'Armenia…!" . Il poetico finale ispirato a Tempi Moderni lascia sperare: una nuova coppia, neppur tanto giovane, si avvia - spalle alla macchina da presa - verso l'orizzonte: non camminano arzilli come Chaplin e Paulette Goddard, ma siedono al pianoforte e suonano a quattro mani. Conclusione speculare ed opposta al prologo: là ci si avvicinava allo spettatore, soli e trainati, qui ci si allontana, in coppia e sospinti da una nuova musica.

 


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