La felicità porta fortuna PDF 
Matteo Marelli   

Ma la grande, la tremenda verità è questa: soffrire non serve a niente.
(Cesare Pavese)

Che non si vada dicendo in giro che Pauline, Poppy, sia la nuova Amélie. I due personaggi, così come i film di cui sono rispettive protagoniste, sono profondamente differenti. Poppy è cosciente della propria felicità, la positività d'animo che la contraddistingue non è cecità, ebetudine, ma dedizione appassionata e disinteressata al mestiere di vivere. Poppy, parafrasando Cesare Pavese, ha imparato l'arte di ricevere in faccia le sferzate del dolore. Non si abbandona al sogno, al disimpegno, ma cerca di affrontare con leggerezza il lato faticoso della vita. Mentre Amélie Puolain è fragile, disamorata di sé, incapace di districare i propri problemi, e proprio per questo votata a risolvere quelli altrui, la protagonista del film di Mike Leigh ama la sua vita, la sua provvisorietà, il suo mantenersi tenacemente al di fuori dei ruoli previsti dall'ingabbiante morale borghese.

La tenacia nel cercare di andare oltre certi automatismi relazionali, che spesso scadono in un'educata indifferenza, il bisogno di approfondire, nei limiti del possibile, qualsiasi incontro, fanno di Poppy un fattore scatenante di frustrazioni e di insoddisfazioni inespresse, che si manifestano sotto forma di tonanti rimproveri. Come quelli che le urlano contro la sorella o l'istruttore di guida, entrambi nevrotici, scontrosi, assolutisti, celatamente invidiosi della rilassatezza e della sincerità con cui Poppy affronta la propria quotidianità. Poppy non coltiva illusioni, ha solo senso della realtà e si limita semplicemente a dare alle cose il loro giusto valore. Sembra poco, può apparire scontato, ma in un momento storico dove la sfiducia è quotidianamente instillata, un personaggio come quello di Poppy, capace di cogliere stimoli da ogni nuova persona, risulta addirittura rivoluzionario. Quasi si ha l'impressione che il film non racconti nulla d'eccezionale, eppure con apparente leggerezza, dettaglio dopo dettaglio, riesce a trasmettere tutta la gravità che si deposita dietro i consueti gesti ordinari. La delicatezza registica di Mike Leigh è frutto di una sobrietà stilistica condotta con estremo rigore. Il regista inglese si prende tutto il tempo necessario per far crescere i propri personaggi, li porta a maturazione attraverso la somma di semplici azioni. Continua a concentrare la propria attenzione su situazioni, ambienti e persone apparentemente anonime, cercando di farne emergere l'eccentricità, la bizzarria, stando però sempre attento a non tradire la veridicità del racconto. Un tratto stilistico, questo, chiaramente derivato dalla tradizione cinematografica britannica votata prima di tutto al “realismo sociale”.

Tra i protagonisti della British Renaissance, momento cinematografico di rottura sviluppatosi tra gli anni Ottanta e Novanta e caratterizzato da un anti-thatcherismo feroce e spesso dissacratorio, Mike Leigh, con la maturità, ha smorzato i toni caustici e anarchici degli esordi (Belle speranze, Dolce è la vita, Naked), senza mai però perdere l'ironia che caratterizza tanta parte della sua produzione cinematografica. La felicità porta fortuna è un film che riconcilia con la parola felicità, da un po' di tempo cinematograficamente abusata (La ricerca della felicità, Lezioni di felicità, ecc...), perché finalmente usata con cognizione di causa.

TITOLO ORIGINALE: Happy Go-Lucky; REGIA: Mike Leigh; SCENEGGIATURA: Mike Leigh; FOTOGRAFIA: Dick Pope; MONTAGGIO: Jim Clark; MUSICA: Gary Yershon; PRODUZIONE: Gran Bretagna; ANNO: 2008; DURATA: 118 min.

 


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