Sex Crimes and the Vatican, ovvero come la giusta immagine smonta uno scandalo PDF 
Tiziano Colombi   

Si tratta di un reportage di 39 minuti prodotto e trasmesso dalla BBC nel 2006. Sullo scranno papale sedeva Joseph Aloisius Ratzinger, Benedetto XVI, eletto un anno prima, nel 2005. Il lavoro d’inchiesta è stato fatto da Colm O’Gorman, vittima, anch’egli, di abusi da parte di esponenti del clero. Gli episodi di pedofilia presi in esame sono accaduti principalmente in Irlanda, Brasile e Stati Uniti. Si tratta di un prodotto televisivo classico (almeno per gli standard BBC) che, naturalmente, scatenò non poco trambusto. In Italia arrivò prima sul web e, dopo qualche milione di visualizzazioni, Rai 2 diede il permesso a Michele Santoro di mandarlo in onda durante la sua trasmissione Anno Zero (era il 2007). Solite polemiche da pollaio e posizionamenti politici per difendere l’indifendibile idea che il reportage non avrebbe dovuto essere trasmesso. Lasciamo perdere.

L’interesse rivestito da Sex Crimes and the Vatican non risiede solo e soltanto nel logico, e necessario, intento di informare su uno scandalo per lungo tempo taciuto, ma nelle personalità coinvolte e chiamate in causa. Oltre ai molti preti, in gran parte rimasti impuniti, colpevoli degli abominevoli soprusi, l’esponente più in vista della gerarchia cattolica accusato di connivenza e tacciato di comportamenti tesi ad insabbiare gli accadimenti è, per l’appunto, Joseph Aloisius Ratzinger, nella sua veste di cardinale e responsabile della Congregazione per la Dottrina della Fede (ex Sant’uffizio). Carica assunta nel 1981 per scelta di Giovanni Paolo II. E’ Ratzinger a dover condurre la Chiesa fuori dalla bufera, è lui a redigere le epistole atte a regolare lo scandalo, è lui a essere chiamato a giudizio dalla Corte distrettuale della contea di Harris in Texas (obbligo dal quale venne esentato dopo la sua elezione a Papa, perché come capo di stato godeva dell’immunità), è sua la figura più esposta. I suoi anni a capo della Chiesa cattolica saranno funestati da questo e altri scandali, su di lui si allungherà l’ombra di una Chiesa ingiusta e chiusa in se stessa. E Papa Wojtyla? Quali furono le sue responsabilità? Nulla sapeva? Non è questo il luogo per alimentare dietrologie. Di certo c’è che quanto è raccontato in Sex Crimes and the Vatican è avvenuto durante gli anni del suo di pontificato. Eppure l’immagine del Papa polacco, al contrario del dimissionario tedesco, non risulta scalfita, nulla, nemmeno uno schizzo di fango ha raggiunto la sua inamidata veste. Questione di comunicazione. Merito di un’aurea mediatica e di una presenza scenica in grado di sgombrare il campo, un numero dieci dal piede fino con accanto il suo mediano di fatica. Si gioca, chi per la gloria (e la santità) chi per conservare il vantaggio fino al novantesimo minuto.

Fu Gregorio Magno (Papa Gregorio I) tra il Cinquecento e il Seicento a inventare il concetto di “pubblico”. Ne La Regula pastoralis scrisse “il pastore sia accorto nel tacere, tempestivo nel parlare”. La questione della predicazione è letta come un problema di comunicazione, quello che conta è conoscere il proprio pubblico, se si vuole essere persuasivi. E’ necessario porsi il problema della “ricezione”. Sedurre significa, infatti, condurre a sé. Chi meglio della Chiesa Cattolica ha elaborato strategie, infallibili, sul fronte della comunicazione? Nel libro di Bruno Ballardini, docente, pubblicitario e teorico della comunicazione, Gesù lava più bianco. Ovvero come la Chiesa inventò il marketing (edito da Minimum Fax), viene riportata una dichiarazione di monsignor Ernesto Vecchi: “la Chiesa può solo darne, di lezioni. Le aziende mortificano gli uomini misurandone la produzione, noi invece sappiamo valorizzarli. Il marketing? Ha cominciato Gesù, già duemila anni fa”. Nel testo, se vi andrà di dargli un’occhiata, troverete illuminanti (e divertenti) analisi sull’operato di quel formidabile PR che fu San Paolo. E dunque, quando i violini finiranno di suonare, e i media si riavranno per l’elezione del buon pastore, altro fantasista di talento, Francesco (già il nome è geniale), qualcuno tirerà fuori dagli archivi Sex Crimes and the Vatican? Fosse solo per contestarne i contenuti ed evidenziarne le lacune, o per mostrare al mondo il lavoro di “pulizia” intrapreso dalle gerarchie cattoliche. Il nuovo vicario di Cristo, smesse le scarpe logore, la croce d’argento, e l’eloquio da Don Camillo, avrà cuore di sporcarsi le vesti? O anch’egli, come fece Giovanni Paolo II, chiederà al teologo Joseph (Papa emerito), di insozzarsele lui, ancora una volta, con la sua immagine truce, le scarpe di Prada nella melma della questione pedofilia? Per riparare lo steccato del recinto servono chiodi e martello e sudore e l’immagine ne risente. Intanto, le pecorelle spaventate dal “pastore tedesco” (citazione del memorabile titolo de Il Manifesto) han cominciato a far ritorno all’ovile. Ma si sa che Francesco, il Santo di Assisi, con le creature di Dio, tutte, ci sapeva parlare.

 


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