Moulin Rouge!: spettacolo spettacolare PDF 
Eva Maria Ricciuti   

Silenzio. Si apre il sipario, signori. Va in scena il primo vero, autentico, sbalorditivo, spettacolo totalmente bohémien che la storia della cinematografia abbia conosciuto.  Vanno in scena Verità, Libertà, Bellezza e Amore. Soprattutto Amore. È il 2001, e sugli schermi del mondo intero impazza Moulin Rouge!. Impazza, coinvolge, stravolge e contagia. Ti prende e ti porta via in una girandola di colori e immagini sfuocate, nello stordimento di un ballo forsennato, nel suono martellante di ritmi moderni che muovono istinti primordiali, nelle risa sguaiate e tra le gambe che si alzano, nel sudore della fronte e dentro gli occhi lucidi di assenzio produce sconvolgenti orgasmi visivi e poi tace. In una pioggia di stelle, tace. In una voce melodica che scende dal cielo, in una pelle bianchissima che illumina il buio, in un’apparizione angelica, tace. Ed è Satine. Ed è Verità, Libertà, Bellezza e Amore. Soprattutto Amore. In un contesto straniante, in una realtà in cui Amore non esiste e, per contratto, cerca Amore. Ed è tragedia. Struggente, devastante, palpitante del battito di cuori che si cercano ma che non possono aversi. Di dolcezze negate, di corpi che si promettono e anime che si vendono, di squallore che ti brucia il cuore e gli occhi e poi tace. In una promessa, tace. Ed è Christian. Ed è Verità, Libertà, Bellezza e Amore. Soprattutto Amore. E tra loro il mondo. Il mondo più perduto che possa immaginarsi, laddove gli ideali bohémien esistono solo per riflettersi negli occhi indemoniati della fatina verde dell’assenzio, il mondo sguaiato e corrotto delle cagne di diamante di Zidler e delle spregevoli mire del Duca. Il mondo esagerato di Montmartre. Ed è Moulin Rouge!

Terzo, conclusivo, capitolo di quella che in omaggio ad una certa attinenza con la rappresentazione teatrale potremmo definire “Trilogia della tenda rossa”, di cui già facevano parte Ballroom e Romeo + Giulietta di William Shakespeare,  paradigma assoluto del linguaggio cinematografico luhrmanniano, Moulin Rouge! è da considerarsi un vero e proprio manifesto programmatico. Una summa assoluta di tutto ciò che è a fondamento della cifra stilistica di Baz Luhrmann, laddove tutti gli elementi chiave del suo cinema sono mirabilmente rappresentati. Dalla sovrabbondanza di costumi e scenari colorati ed esagerati, volutamente kitsch e buffamente naïf, alla sbalorditiva capacità di rivisitazione di codici narrativi tradizionali, che si traduce in una straordinaria naturalezza nel crearne una commistione che risulta incredibilmente omogenea, passando per l’utilizzo di un linguaggio ricercato ma non avulso dal contemporaneo, sebbene spesso inverosimilmente aulico, e sfociando, infine, ma non con minor importanza, nell'uso fondamentale della colonna sonora e della danza come elemento portante dell'architettura delle pellicole, tutto è straordinariamente rappresentato in Moulin Rouge!. Uno stile particolarissimo che si è sviluppato negli anni secondo una parabola assolutamente ascendente che, partendo da una riflessione personale sull’approccio con le arti sceniche, ha portato Luhrmann all'elaborazione di un linguaggio in cui si fondono e si amalgamano in un nuovo ibrido realtà diverse, aspetti di una cultura che è sempre più sincretica, meticcia, trasversale.

È al prestigioso National Institute of Dramatic Arts di Sidney che tutto ebbe inizio, con un Baz Luhrmann ancora giovanissimo che  scopre l'amore per il teatro. Studia recitazione, scrittura e regia teatrale, e nel 1987 realizza e mette in scena per la Six Year Old Company Strictly Ballroom, presentandolo in numerosi teatri australiani. Forte del discreto successo ottenuto in quella prima esperienza teatrale, Luhrmann si impegna in lunghi tour teatrali, con spettacoli da lui prodotti e diretti, tra i quali si ricorda una rivisitazione de La Bohéme di Giacomo Puccini, in cui si intravedono i germi di quello che diventerà Moulin Rouge!. Nel 1992  trae dalla sua omonima piéce teatrale Ballroom – Gara di ballo. La pellicola, sebbene basata su una trama semplice e ai limiti del prevedibile, ottiene un successo incredibile. Luhrmann trascina lo spettatore e lo fa sentire parte integrante della narrazione attraverso l’uso di un linguaggio primordiale come l’espressione corporea del proprio essere: la danza. In pochissimo tempo, questo suo nuovo approccio al linguaggio cinematografico, questa sua ricerca del coinvolgimento emotivo e sensoriale dello spettatore, questa sua necessità di avvolgerlo nelle spire della trama, lo spinge all'approfondimento di un altro aspetto fondamentale della comunicazione, affrontando ed utilizzando un nuovo linguaggio: quello della poesia.

Così, nel 1996 dirige Romeo + Giulietta di William Shakespeare, libera rivisitazione della celebre tragedia shakespeariana  trasportata sulle colorate spiagge di Venice Beach, dove Montecchi e Capuleti si battono a colpi di pistola, ballano al ritmo della musica pop, e gli attori giovanissimi e promettenti, recitano in versi, utilizzando un linguaggio aulico e arcaico che crea un magico effetto di straniamento nel pubblico, ma che lo tiene incollato allo schermo, rapito dal palpito del proprio cuore, in bilico tra ricordo scolastico e realtà, tra ricordi e vita. Il successo di questa seconda pellicola è strepitoso, e Luhrmann diventa regista di fama mondiale. Appare ormai evidente che i tempi sono maturi per un lavoro più ambizioso: prende allora vita il progetto Moulin Rouge!, che in quattro duri, serrati, anni di lavoro crea quel fenomeno visionario d'arte cinematografica che ancora oggi rappresenta una pietra miliare nella storia della cinematografia internazionale degli ultimi venti anni. Con Moulin Rouge! Luhrmann tocca l’apice della sua ricerca e fonde mirabilmente tragedia, commedia, farsa, musical, cultura pop, arte post-impressionista, creando un vero e proprio universo visivo che segue regole proprie, tanto più vere quanto meno verosimili, tanto più reali quanto più assurde. Tenendo da parte l’indiscussa maestria e padronanza del mezzo nell’utilizzo di tecnologie che nella realtà storica del periodo erano di nuova applicazione, quali il digitale, riccamente utilizzato in fase di post-produzione, quello che stupisce della pellicola è la straordinaria attinenza allo spirito dell’epoca, nonostante la resa visiva del progetto sia più vicina ad un film di Bollywood piuttosto che alle atmosfere della Parigi di fino Ottocento. Ed è proprio qui che si trova il nocciolo della questione. Nel linguaggio di Luhrmann nulla è vero, nulla è storicamente e pedissequamente comprovato, ma tutto è esattamente rispondente allo spirito che si vuole rendere. Che sia il testo di una canzone pop inserito all’interno di uno spettacolo di can can, che siano sculture indiane con tema erotico inserite nel boudoir di una cortigiana, che siano tavoli e sedie con rotelle che vengono spinti a ritmo di danza in un castello gotico, nulla è vietato, nemmeno l’assurdo, purchè sposi una determinata poetica del sentimento che si vuole rappresentare.

Ma che cosa è Moulin Rouge!? Numerosissime, e in realtà assai superficiali, le etichette affibbiate alla pellicola. Alternativamente lo si è definito un musical, un film musicale alla maniera de Il Mago di Oz, a volte, più originalmente e non tenendo conto dell’aspetto spiccatamente musicale della pellicola, qualcuno lo ha definito film drammatico, qualcun altro, ponendo l’accento sull’aspetto puramente ludico, una commedia musicale. Chi ha ragione e chi torto? Ebbene, questa pellicola non è nulla di tutto questo eppure contiene tutti questi elementi. La particolarità di Moulin Rouge! è che non appartiene a un genere preciso, ma si muove in modo trasversale rispetto all’intero panorama delle arti sceniche, siano esse cinema, balletto, teatro o concerto, variamente combinati a comporre una pozione che miracolosamente ottiene effetti di inaspettato coinvolgimento degli spettatori. Sin dai primi istanti la profonda partecipazione rispetto a ciò che accade la fa da padrona: un uomo, un giovane uomo, racconta la sua storia, batte sui tasti della macchina da scrivere, e la sua voce è rotta dal pianto. La macchina da presa, in soggettiva, ci trascina all’interno dei vicoli di Montmartre. È l’occhio di quello stesso uomo che vaga per una realtà nuova, in cui lui, come noi, è neofita e smarrito, curioso ma all’oscuro dei codici che guidano quella realtà. Noi siamo lui. E, insieme, veniamo introdotti nella realtà che lo circonda. Poi, improvvisamente, quello stesso uomo viene gettato nella mischia, e con lui lo spettatore. Sballottato, sbigottito e strattonato, in pochi secondi, è tra il pubblico del Moulin Rouge, e al ritmo dei Pink Floyd marcia con frac e cappello tra le discinte ballerine che, dal canto loro, ammaliano intonando un richiamo cui nessun uomo riesce a resistere: Voulez-vous coucher avec moi? Tutto è assurdo, surreale ed esagerato. Tutto è "oltre", visivamente ed emotivamente. Oltre la realtà storica della rappresentazione, come oltre quel suggerimento di tragedia delle prime malinconiche sequenze, che lascia il  campo ad un vero e proprio estratto da musical hollywoodiano per sfociare lentamente, ma inesorabilmente, nella commedia degli equivoci, toccando picchi di vera e propria farsa, e infine tornare improvvisamente e irrimediabilmente alla tragedia. Tutto, in un continuo divenire, si alterna e si incrocia, senza tuttavia perdere di vista quel sostrato tragico che scorre lungo tutta la pellicola, e che si riconosce nell’ansito di Satine, in quel respiro che vorrebbe essere vita, ma che lentamente si trasforma in morte. In un respiro che spira.

Moltissime le fonti cinematografiche e gli omaggi a celebri pellicole offerti da Luhrmann (si pensi alla sequenza del castello gotico del Duca ispirata a Hello Dolly, o la luna sorridente omaggio ai Lumière), molti e colti i riferimenti artistici a una certa iconografia bohémien di fine Ottocento (chiarissimi riferimenti alla pittura e alla cartellonistica di Toulouse-Lautrec), tuttavia l’aspetto che più di ogni altro ha colpito l’immaginario collettivo è stato l’utilizzo originale che Luhrmann fa della musica, e più in particolare della canzone pop, che acquista valore poetico-narrativo nel dipanarsi della trama. Per la prima volta la canzone non è a commento di un’azione ma è l’azione stessa, e straordinariamente la canzone non è canzone originale, composta appositamente per quel momento, ma è canzone già esistente. Di più, è patrimonio comune, parte di una realtà che lo spettatore ben conosce e può legare a momenti della propria esistenza creando un legame profondo e tanto più emotivamente coinvolgente con i protagonisti della vicenda. Il senso di compenetrazione e partecipazione emotiva a quanto accade sullo schermo diventa così assoluto, inscindibile da quella che è la vita degli spettatori, i quali, dal canto loro, si identificano nei protagonisti o nelle vicende, o, più semplicemente, ritrovano parte della loro storia in quelle canzoni che si intrecciano creando una fitta ragnatela di corrispondenze e affetti tra ciò che si svolge di fronte ai nostri occhi e ciò che è nella nostra realtà, e creando una strana alchimia che è alla base del successo di questa pellicola.

Se in Ballroom Luhrmann faceva leva sulla gestualità fisica e sul codice dei balli di sala per comunicare con lo spettatore e richiamare alla memoria sensazioni fisiche reali e conosciute, se in Romeo + Giulietta  di William Shakespeare  fondeva la realtà conosciuta e attuale delle gangs di Venice Beach con il linguaggio aulico e ben conosciuto dagli spettatori per avvicinarli e parteciparli della tragedia, in Moulin Rouge! raggiunge l’apice della compenetrazione tra pubblico e personaggi facendo scorrere il filo della corrispondenza laddove è più emotivo, ossia nel ricordo della musica e nel riconoscimento di sensazioni e sentimenti che sono universali: Verità, Libertà, Bellezza e Amore. Amore soprattutto.

TITOLO ORIGINALE: Moulin Rouge!; REGIA: Baz Luhrmann; SCENEGGIATURA: Baz Luhrmann, Craig Pearce; FOTOGRAFIA: Donald M. Mcalpine; MONTAGGIO: Jill Bilcock; MUSICA: Marius De Vries, Steve Hitchcock, Craig Armstrong; PRODUZIONE: Australia; ANNO: 2001; DURATA: 120 min.

 


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