Torino Film Festival 2001 - Anthony Mann, quando l'epica si fa metafora PDF 
di Giampiero Frasca   

Ogni singola inquadratura ritagliata da Anthony Mann all'interno dei suoi western esprime una profonda inflessibilità nel rappresentare l'epopea attraverso una sorta di tensione costante ed incomprimibile, pronta a deflagrare in ogni istante superando i confini imposti dalla bidimensionalità del quadro. C'è sempre, nei western manniani, una profonda inquietudine che li anima e crea dialetticamente il motore di una narrazione in costante progressione, incapace di conoscere pause proprio in virtù di questa costruzione che trascende il puro lato iconico per investire piani più complessi, i quali utilizzano la denotazione come semplice dato per generare una sovradeterminazione del livello connotativo e metaforico.

Il James Stewart di Anthony Mann si muove costantemente alla ricerca di qualcosa, mai di un altrove ipotetico in cui stabilirsi: egli utilizza un pretesto (il Winchester modello "Uno su mille" in Winchester '73 oppure la taglia che grava su Ben Vandergroat ne Lo sperone nudo oppure ancora il trasporto di una mandria fino in Alaska in Terra lontana) soltanto per sottrarsi ed eliminare il complesso psicologico che lo attanaglia e lo rende profondamente inquieto.

L'uomo di Mann non nasce con la storia raccontata dal film, egli ha sempre un passato scomodo da occultare che preesiste alla vicenda e fornisce lo stimolo per una serie di comportamenti che svelano un personaggio sfaccettato e contraddittorio, dotato di motivazioni contrastanti in grado di generare ricche dinamiche narrative e motivazionali che innervano il racconto di traiettorie fatali che il regista assume dalla sua esperienza nel genere noir. Una profonda inquietudine caratterizza lo Stewart di Anthony Mann, fornendogli una patente problematica laddove Frank Capra, Henry Koster e George Cukor avevano costruito un personaggio spensierato e ingenuo, perfetto per i ruoli brillanti (anche se Hitchcock, nel '48, gli aveva affidato il compito di svelare l'orrendo assassinio della coppia Dall/Granger in Nodo alla gola). Stewart, allampanato e ciondolante, dinoccolato nei suoi perenni chaparejos di cuoio, è un uomo che nel presente cerca di occultare i segni indelebili di un passato che pesa come un macigno e che ritorna ciclicamente con tutto il suo ingombro spettrale: l'uccisione di un padre da parte di un fratello degenere (Winchester '73), un'attività illegale come predone nel Missouri (Là dove scende il fiume), il tradimento e l'abbandono da parte di una promessa sposa (Lo sperone nudo), un doppio omicidio per il quale si è ricercati (Terra lontana) e l'assassinio di un fratello per mano di indiani armati da mercanti d'armi senza scrupoli (L'uomo di Laramie) sono gli elementi che Mann pone rigidamente in ellissi, eliminandoli dal tessuto narrativo per offrirli come dato precedente allo sviluppo, in qualità di fantasma evocato attraverso atteggiamenti, gesti, mezzi toni, paure ed idiosincrasie. Il western di Mann è tutto basato su questa dimensione precedente al racconto, grazie al quale la messa in scena gioca sul doppio registro del suggerimento e della metafora.

Posto emblematicamente in mezzo a due epoche ideali (quella della formazione della comunità epica con il suo significato pacificatore e rasserenante e quello di un avvenire spersonalizzante, senza più nessuna conquista da poter effettuare), l'eroe di Mann abbandona il sogno nostalgico di far parte di un microcosmo e si abbandona totalmente alla consapevolezza dell'impossibilità di raggiungere un equilibrio personale. James Stewart può pervenire allo scopo che si è prefisso, ma l'armonia alla quale giunge è di breve durata, è un semplice palliativo in un mondo che ha eletto la conquista come credo di un'intera nazione. Nessun ranch, nessun focolare e nessuna donna possono garantirgli la perpetuità di una stabilità che ha bisogno di un passato immacolato per essere garantita. Il "grazie" che viene fornito a Stewart nei panni di Glyn McLyntock per aver recuperato i viveri necessari alla sopravvivenza dei coloni dell'Oregon, alla fine di Là dove scende il fiume, e il suo congiungersi sul carro con Julie Adams non devono trarre in inganno: l'unione tra i due non avviene sullo stabile suolo, ma su un mezzo che nell'immaginario collettivo pionieristico ha rappresentato il movimento per eccellenza durante il corso dell'Ottocento, e la successiva inquadratura mostra un paesaggio assolato (l'apparente serenità dell'impresa portata a termine) ma caratterizzato dalle asperità paesaggistiche che contraddistinguono il western di Anthony Mann. La solitudine e l'inquietudine come condizioni essenziali di un eroe che si muove in scenari inconsueti nell'ambientazione western: alle immense praterie - debitrici, da un lato, dell'epica pittorica dei vari Remington, Russell, Borein, dall'altro, del significato simbolico ed archetipico di una nazione monumentale che istituisce una dimensione epica proprio in base alla vastità di una terra da scoprire - alla Monument Valley, immortalata a più riprese da John Ford al punto da diventare una sorta di cliché scenografico per il western ed una vera e propria chiave per aprire le porte all'infinito spaziale, Mann sostituisce la scenografia frammentata e spigolosa che ha il preciso compito di diventare immagine manifesta del conflitto in atto nella psicologia del personaggio. James Stewart a cavallo in mezzo a boschi, speroni rocciosi, distese frastagliate, fiumi dalla corrente impetuosa e alte cime montuose sempre innevate vede il suo complicato tormento interiore ribadito simbolicamente dalla mancanza di quella linearità del paesaggio alla quale il western ha abituato.

La vastità della wilderness, il trascendente presente nella materializzazione visiva della natura, la commutazione tra qualità fisiche del paesaggio e doti morali dei personaggi (si vedano soprattutto la vastità titanica di Ford, l'inorganica indifferenza di Boetticher e l'antifrastico gigantismo di Hathaway) sono carattersitiche del genere che in Mann vengono tramutate in chiara distinzione metaforica di una profonda angoscia esistenziale in atto. Se nel western, come dice Giorgio Cremonini, "la grandiosità della natura è qualcosa che si respira, che magari non si guarda, ma si vede, come un prolungamento connotativo dei personaggi" (G. Cremonini, Dietro la figura, "Cinema & Cinema, n° 46, 1986, p.45), in Mann lo scenario naturale assume una particolare dimensione significativa capace di riflettere lo sconcerto e il turbamento del personaggio attraverso il contesto che lo incornicia. Si assiste così ad un movimento inverso di inserimento delle figure all'interno dello scenario western: se in Ford, solo per fare un esempio, l'ambiente circoscrive le azioni dei personaggi, quasi l'immanenza dello scenario ricoprisse la funzione di testimone muto ed impassibile di un'umanità che si agita per affermare la sua presenza, nei film di Mann il paesaggio stimola di continuo l'ambigua ed incerta morale dei personaggi, i quali, con vettorialità opposta, s'inscrivono a pieno diritto in un ambiente che li accoglie e permette di estrinsecarne e palesarne la vera natura. Il paesaggio di Mann non annulla l'uomo attraverso il suo respiro epico, ma lo ospita sostanziandone le caratteristiche, facendole emergere e deflagrare in tutto il campionario di contrasti, crisi, ripensamenti ed evocazione degli spettri del passato. Due esempi su tutti: in Winchester '73, il fratricida duello finale tra Lin McAdam/James Stewart e Henry Brown/Stephen McNally avviene in una cornice minerale fatta di rocce mastodontiche che ostacolano il confronto diretto e che imprigionano i personaggi in spazi angusti in grado di esulare dal semplice dato iconografico per inserirsi direttamente a livello della retorica dell'immagine. Ne L'uomo di Laramie, Stewart/Will Lockhart scopre di essere seguito da un losco figuro chiamato Boldt, capisce che l'iniziativa dell'uomo è soltanto il riflesso di un'ostilità generalizzata nei suoi confronti e allontana il sinistro inseguitore minacciandolo, mentre Mann sceglie di inquadrare Stewart dal basso, evidenziando nella parte alta del quadro un ingombrante spuntone di roccia che schiaccia il personaggio con tutto il carico di pericolo manifestatosi nella scena illustrata.

Se il lavoro sul paesaggio è una delle due costanti attorno a cui ruota la messa in scena del western per Anthony Mann, l'altro elemento generatore di tensione è il riferimento costante al fuoricampo che lo Stewart manniano incentiva costantemente con tutto il suo corredo di sguardi dubbiosi e sofferenti, gesti e ammiccamenti, movimenti abbozzati e titubanti. Come afferma Raymond Bellour, "in Mann non c'è vero riposo; accesa o in sordina, l'azione, ossia l'avventura di un uomo, scaturisce da ogni piano, per mezzo di uno sguardo, un gesto, un'attesa, o anche una sosta, la quale non segnerà mai una libertà dal tempo, ma al contrario un'inquietudine dell'azione presa nei suoi stessi risvolti" (R. Bellour [a cura di], Il western, fonti, forme, miti, registi, attori, filmografia, Feltrinelli, Milano 1973, p.310). Questa inquietudine profonda, che nel western manniano si evidenzia attraverso i vari personaggi interpretati da James Stewart, esprime nell'inquadratura una pressione sui bordi dell'immagine che ne forza la natura singolare per attuare una dialettica con lo spazio e i personaggi circostanti.

Il western di Mann, anche nella logica della rappresentazione, coniuga una serie di ulteriori rimandi interni: il quadro sul personaggio diventa una specie di gabbia in cui si mostra l'estrema conflittualità delle figure che popolano l'inquieto universo messo in scena dal regista. L'inquadratura non è una monade indipendente, una pura immagine atta a ritrarre una semplice icona, ma diventa oggetto strumentale all'espressione di una latenza che forza apertamente i confini del quadro, anche se spesso rimane isolata dall'insieme. Il percorso suggerito più che rinviare ad un necessario controcampo, rinvia ad una dimensione interna alle figure, ribadendo una volta di più il concetto di crisi del personaggio: il nemico in Mann non ha una connotazione chiara e moralmente manichea, ma investe lo stesso passato del personaggio, dimensione pronta a ripresentarsi attraverso paure e inclinazioni (in Là dove scende il fiume, Glyn McLyntock è fermato dall'urlo disperato di Laura Baile mentre sta accoltellando un uomo con tutto l'odio che lo caratterizzava quando era un fuorilegge nel Missouri) che sottolineano indelebilmente come il nemico sia interno all'uomo, perché frutto della sua cattiva coscienza e dell'inveterata mancanza di armonia individuale, e non esterno ad esso, nel qual caso è ritenuto soltanto una sorta di pretesto funzionale all'esplosione delle contraddizioni insite nel protagonista (l'esempio più adatto per spiegare questa situazione può essere fornito da Lo sperone nudo, in cui l'apparente nemico, Ben Vandergroat/Robert Ryan, rimane legato saldamente per la quasi totalità della vicenda e ciononostante riesce a generare lo scompiglio e la diffidenza in coloro che lo hanno catturato, insinuandosi semplicemente nei dubbi e nei contrasti di un gruppo male assortito e con molti scheletri nel proprio passato).

 


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