Revanche: i contrasti dell'anima PDF 
Maria Alessandra Cavisi   

Revanche è un film che si basa completamente sui contrasti, mostrando poi però tutte le diverse gradazioni e chiaroscuri che intercorrono tra le varie tonalità dell’anima. Il contrasto principale è quello tra città (in questo caso una Vienna contrassegnata dalla delinquenza e dallo squallore) e campagna (la periferia in cui si vive del proprio lavoro e dei propri prodotti). Ben presto però la dualità acquista sempre più importanza, fino a toccare ogni elemento della narrazione, a partire dalle due coppie antitetiche che si avvicendano sullo schermo (il rapinatore e la sua fidanzata prostituta, il poliziotto e la sua noiosa e annoiata moglie), fino ad arrivare ai diversi atteggiamenti nei confronti della fede, della religione e della morale cristiana (la moglie del poliziotto e il vecchio nonno del rapinatore sono accomunati dalla loro osservanza alle leggi religiose, mentre al contrario il poliziotto e il rapinatore sono “uniti” sul fronte opposto).

La grande particolarità di Revanche è lo stile registico di Spielmann che attraverso una serie di bellissime inquadrature fisse riesce a scolpire le reazioni dei personaggi ai casi della vita, nonché la maestosità e la capitale importanza del paesaggio nella formazione delle coscienze (l’ambientazione infatti è una componente più che fondamentale del film). I personaggi, tramite l’espediente dell’inquadratura fissa, entrano ed escono dal “quadro”, rimanendo immersi e quasi imprigionati nell’immobilità del paesaggio, come il poliziotto che fa stretching vicino ad una panchina sul lago circondata dagli alberi e il protagonista che si reca nello stesso luogo in perlustrazione e anche, soprattutto, in meditazione. Giocando di sottrazione, tramite l’utilizzo di atmosfere rarefatte e la mancanza quasi totale della colonna sonora, il regista riesce a catturare l’attenzione dello spettatore su ciò che di più importante viene narrato all’interno della pellicola, a cominciare dai contrasti di cui sopra, fino ad arrivare alle suddette sfumature. Tutto questo reso perfettamente dalle ottime interpretazioni degli attori che trasmettono egregiamente tutte le sfaccettature dei loro personaggi senza fare ricorso ad orpelli recitativi, ma rimanendo equilibrati e molto credibili. Altro pregio di Revanche è la fotografia che cambia perfettamente registro nei passaggi dal giorno alla notte (ed ecco riapparire un altro forte contrasto). Durante il giorno la luce “illumina” il lavoro del protagonista (che per sfogare il suo senso di vendetta e il suo dolore non fa altro che spaccare la legna) e le corse del poliziotto (che invece deve sfogare il suo enorme senso di colpa e la sua inadeguatezza a confrontarsi con la situazione in cui si trova); mentre di notte il buio “ingloba” totalmente sia il senso di vendetta del primo che il senso di colpa dell’altro, lasciando ad entrambi i sentimenti la possibilità di fluire e di avere libero sfogo.

Spielmann riesce a trasmettere questa gamma di sensazioni facendo poco ricorso ai primi piani, inquadrando anzi quasi sempre i suoi personaggi nella loro interezza e nella loro “piccolezza” rispetto agli ambienti in cui sono immersi, lasciando poi ampia possibilità allo spettatore di immaginare le reazioni degli stessi e di entrare in totale empatia con loro. Ecco che allora molto spesso i protagonisti non vengono ripresi nella loro totalità, a volte i loro volti non ci vengono mostrati (con inquadrature che ce li mostrano proprio dal volto in giù), ponendo l’attenzione su alcuni particolari del loro corpo (ad esempio le mani del protagonista che spacca la legna) o osservandoli nei loro tumulti interiori quasi sempre di schiena (esemplari al riguardo le antitetiche scene del protagonista che spia il poliziotto e la moglie nella loro veranda e del poliziotto che si ritrova nel bel mezzo dei festeggiamenti per un suo collega appena diventato papà). Tutto questo è Revanche – Io ti ucciderò, un film in cui è possibile riflettere sui contrasti per poi magari arrivare ad una loro totale o parziale fusione, ma soprattutto un film in cui i personaggi “escono di scena” (metaforicamente e tecnicamente parlando), lasciando gli spazi vuoti, ma sicuramente pregni di significato, così come dimostra lo straordinario fotogramma finale.

 


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