A quattro anni da La guerra di Mario, Antonio Capuano torna in sala con il suo ultimo film, presentato alle Giornate degli Autori durante lo scorso Festival di Venezia. Ancora una volta il regista ci racconta e si/ci interroga sul rapporto tra i giovani e il contesto difficile di una Napoli diversa eppure così simile a quella che egli stesso ha alacremente raccontato fin dai tempi di Vito e gli altri, suo film d’esordio.
Il prologo de L’amore buio è a dir poco fulminante. Capuano racconta con stacchi rapidissimi l’estate solarizzata di un gruppo di ragazzi partenopei. Immersi, e a loro volta produttori del cicalio della città e della spiaggia, scattano foto col cellulare, nuotano in acque cristalline e girovagano per le strade senza meta. E in un attimo si fanno artefici di violenza nei confronti di una ragazza mai vista prima. Al montaggio velocissimo e agli stretti primi piani, segue una ripresa dall’alto, muta a lentissima, che scopre un panorama mozzafiato fino a raggiungere il cortile del carcere minorile in cui i giovanissimi responsabili della violenza ora sono costretti a stare. Così Capuano sembra raccontare il contrasto tra le meraviglia di un territorio e la disperazione che lo abita, in una dicotomia palese tra natura e (in)civiltà, attraverso uno sguardo asciutto, seppur intenso. Il resto del film segue le vite distanti della vittima, ragazza borghese strappata alla sua innocenza, e quella del carnefice, ragazzino di umili origini, immerso nel tessuto tipico della Napoli difficile. Questa costruzione del tessuto narrativo, nonostante a tratti dia l’impressione di essere artificiosa, si dimostra ben presto al servizio di un racconto capace di scavare nella psiche di personaggi che lottano per il ritorno alla normalità, laddove i canoni di una supposta stabilità sono difficili da rintracciare.
Siamo decisamente lontani dalla forza disturbante di ciò che Capuano ebbe il coraggio di mettere davanti la macchina da presa nel suo fulminante film d’esordio Vito e gli altri, dove bambini lasciati a loro stessi compivano scippi e finivano per infilarsi siringhe nelle braccia. In L’amore buio, come del resto già ne La guerra di Mario, più che scioccare lo spettatore mostrandogli, per mano di una regia sicura, gli atti di una realtà documentata, il regista lavora quasi per sottrazione sulla colonna visiva, per moltiplicare gli effetti del racconto nel disegno dell’evoluzione dei personaggi e dei loro rapporti. Come ne La guerra di Mario la rilevazione del passato invisibile del piccolo protagonista era affidato al commento off e al progressivo scolorimento dell’immagine a colori del tempo presente, ne L’amore buio il motore dell’azione è proprio l’incontro/confronto mancato tra vittima e carnefice. A ben guardare, entrambi i film più recenti di Capuano riflettono sul valore della memoria in rapporto alla costruzione dell’identità personale. Cosa fanno, infatti, Ciro e Irene se non fare i conti, in ogni istante, con la memoria di ciò che erano prima della violenza e su come, in seguito, tutto sia cambiato? Ad entrambi Capuano assegna una terapia. Irene inizia a frequentare lezioni di recitazione, Ciro si getta nella scrittura, firmando centinaia di lettere e qualche poesia. Ed è proprio attraverso uno scambio epistolare che i due stabiliscono un vago contatto, alle prese con un destino terribilmente comune.
Il resgista napoletano si conferma, ancora una volta, un vero talento nella direzione degli attori che, scandagliati spesso attraverso primi piani insistenti, sono lo specchio della complessità di ciò che si agita nelle menti dei loro personaggi. Ma se Capuano dimostra anche qui di possedere la rara maestria, già visibile agli esordi, che lo rende capace di far dialogare per contrasti il piano sonoro e visivo delle immagini, in diversi momenti il film è più acerbo di quanto non si sospetterebbe. Soprattutto nel finale e nei dialoghi tra Irene e il suo ragazzo, L’amore buio fatica a mantenere la qualità e l’intensità della prima parte. Ma se certe debolezze sono facili a perdonarsi, è perché il film riesce a raccontare con efficacia il dramma della giovinezza violata e della difficoltà di crescere nonostante un contesto aberrante. Oltre a descrivere la realtà partenopea con l’efficacia di sempre, Capuano regala un respiro universale alle anime perse ma non irrecuperabili di questi ragazzi.
TITOLO ORIGINALE: L’amore buio; REGIA: Antonio Capuano; SCENEGGIATURA: Antonio Capuano; FOTOGRAFIA: Tommaso Borgstrom; MONTAGGIO: Giogiò Franchini; MUSICA: Pasquale Catalano; PRODUZIONE: Italia; ANNO: 2010; DURATA: 109 min.
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