Dopo molto tempo trascorso in Africa come missionario, Don Carlo decide di tornare a Roma, sua città natale. È in crisi, non è sicuro della propria vocazione e della propria fede, così i suoi superiori decidono di concedergli una pausa, un periodo di quiete laica che egli sceglie di trascorrere insieme all’amata famiglia che non vede dai tempi della partenza per l’Africa. Ma al posto delle persone unite ed equilibrate di un tempo ritrova una sorta di zoo antropomorfo. Il padre vedovo (Sergio Fiorentini), in piena crisi di terza età, ha sposato, con tanto di parrucchino color carota in testa, Olga, la badante moldava con la metà dei suoi anni, la accontenta in tutto e per tutto e con lei dilapida il patrimonio di famiglia suscitando ire e invidie degli altri due figli: Luigi (Marco Giallini), uomo d’affari che tira coca come un matto e ha una ragazza che minaccia di buttarsi dalla finestra ogni volta che litigano, e Beatrice (Anna Bonaiuto), una psicologa piuttosto labile, esaurita per via del marito che l’ha mollata e non provvede al mantenimento della figlia, un’adolescente indolente e coatta.
Insomma un bestiario di tutto rispetto, ulteriormente arricchito dalla presenza di Lara (Laura Chiatti), la giovane e bella figlia di Olga, appena uscita dalla depressione e in attesa di riavere in affido il suo bambino, e di Elisa Draghi (Angela Finocchiaro, bravissima come sempre), psicologa labile anche lei, che ha in affido il caso di Lara e rivede ossessivamente in Carlo un sosia del suo ex marito, fino a coinvolgerlo in estenuanti e lunghissime kermesse verbali in cui rievoca continuamente il defunto. Un entourage perfetto, dunque, per far da spalla all’istrionico Verdone, che anche questa volta, come nei suoi precedenti film, veste sia la casacca di regista sia quella di sceneggiatore e attore, ponendo la sua figura al centro dell’intreccio. Diversissimo dal Padre Spinetti di Acqua e sapone (che era poi un ulteriore travestimento all’interno della finzione filmica), e altrettanto differente dal Don Giulio di La messa è finita di Nanni Moretti, il Don Carlo Mascolo di Verdone è infatti il collante di questa commedia degli equivoci girata prevalentemente in interni domestici, il baricentro morale e strutturale attorno al quale gravitano tutte le sottostorie che conferiscono volume, trama, senso e logica al film. Don Carlo ritorna a Roma per riflettere, cercare le risposte ai suoi dubbi esistenziali, e invece, una volta a casa, è lui stesso a dover dare appoggio agli altri ritrovandosi ad essere la fonte emotiva dalla quale tutti attingono continuamente. Ma forse proprio il fatto che tutta la commedia sia giocata quasi interamente sulle spalle di un personaggio (che è poi anche, come già detto, autore, sceneggiatore e regista) crea più volte momenti di flessione ritmica, e le gag finiscono per avere una funzione riempitiva in un momento di silenzio imbarazzante.
Tuttavia, ciò che rende interessante e delicatamente godibile quest’ultimo lavoro di Carlo Verdone è il fatto che, rispetto al passato più recente, il regista romano abbandona tutti gli stilemi tipici della “commedia all’italiana”, sposando quelli delle tipiche commedie hollywoodiane, di cui l’autore si è più volte dichiarato un ammiratore: quelle girate tutte in interni e giocate prevalentemente sui tempi comici della sceneggiatura, quelle con Jack Lemmon, quelle svitate, perché imprevedibili. Infatti, anche Io, loro e Lara è un film a suo modo molto imprevedibile, soprattutto nel finale, lieto ma non troppo. E sicuramente questo Verdone, pur con tutti i suoi difetti, è molto ma molto meglio dei precedenti.
TITOLO ORIGINALE: Io, loro e Lara; REGIA: Carlo Verdone; SCENEGGIATURA: Francesca Marciano, Pasquale Plastino, Carlo Verdone; FOTOGRAFIA: Danilo Desideri; MONTAGGIO: Claudio Di Mauro; PRODUZIONE: Italia; ANNO: 2009; DURATA: 115 min.
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