The Dreamers PDF 
di Silvia Taborelli   

Pare che Bertolucci abbia ritrovato il coraggio (o forse semplicemente il desiderio) di rimettere al centro i suoi ricordi e la sua vita. Non era stato sufficiente ritornare in Italia a girare i suoi due ultimi film e un cortometraggio per riappropriarsi, in modo esplicito, di tematiche che hanno caratterizzato il suo cinema prima della lunga parentesi all'estero (una sorta di "trilogia dell'altrove").

Con The Dreamers il movimento del ritorno non è più solo geografico/spaziale ma diventa necessità di ritorno temporale nella storia. Bertolucci si catapulta insieme ai suoi tre personaggi dentro il maggio del '68 parigino, non più solo Prima della rivoluzione, ma dentro la rivoluzione.

I due fratelli parigini (Théo e Isabelle, interpretati rispettivamente da Louis Garrell e Eva Green) si ritrovano a vivere nella casa dei genitori, partiti per una villeggiatura, con un ragazzo americano (Matthew, Michael Pitt) conosciuto alla Cinémathèque Française, fulcro fondamentale della vita culturale dell'epoca. Ed è qui infatti che Bertolucci fa partire lo spirito della rivolta causato dal licenziamento di Henri Langlois, primo "eroe" intellettuale per i giovani parigini. La condivisione di una sfrenata passione cinematografica fa innamorare i tre ragazzi che del resto danno vita, con il loro affiatamento a tre, ad una versione "sessattontina" e cinefila di Jules e Jim (film del resto, curiosamente, non citato).

Molto ben riuscita è la prima parte del film, con una meravigliosa descrizione degli atteggiamenti fanatici e maniacali dei ragazzi al cinema; come per esempio il loro voler stare il più vicino possibile allo schermo nel tentativo di appropriarsi di quelle immagini in movimento. Travolti dall'emozione della condivisione di una passione e dalla curiosità dell'esplorazione sessuale, i tre ragazzi si ritrovano di colpo ad abbandonare le agitazioni della Storia.
A distanza di quasi quaranta anni da Prima della rivoluzione, rimane, nei personaggi alter ego del regista, questa dualità tra partecipazione e straniamento rispetto alla storia e alla società. Rimane insomma quel sentirsi innanzitutto borghese e intellettuale prima che rivoluzionario della strada.

È ormai, per Bertolucci, una consapevolezza di uomo e regista maturo che sembra solo sfiorare la descrizione del movimento delle strade, cornice di una rivoluzione in primo piano più privata e psicologica. Già per Fabrizio (Francesco Barilli), del suo secondo film del 1962, la rivoluzione era stata soprattutto personale, anche se mascherata dall'impegno politico. Una rivoluzione che passa attraverso l'amore, le letture e il cinema. Lo sconvolgimento del suo io era dato da una donna, Gina (Adriana Asti) con la quale coltivava un rapporto che sonda, come per Théo e Isabelle, i legami famigliari in chiave psicanalitica. Anche Gina era sofisticata, come Isabelle per Matthew, apparentemente donna ma in fondo ancora bambina, corpo di una bellezza da rubare come quello di Liv Tyler di Io ballo da sola (si ricordi il titolo originale Stealing Beauty).

Non manca del resto in The Dreamers il ritorno all'analisi del rapporto conflittuale con il padre che, rispetto ai film precedenti, si esplicita nel suo intento autobiografico con la scelta di dipingere una figura di padre-poeta. Dopo una rappresentazione per lo più di padri assenti o lontani (si pensi alla ricerca della vera identità di un padre che non c'è più in Strategia del ragno e di un padre che non si è mai rivelato in Io ballo da sola) finalmente lo scontro si fa diretto: all'arte poetica si contrappone l'arte cinematografica, così come è stato tra Bernardo e Attilio Bertolucci.

Ma ormai lo sguardo di Bertolucci non sembra aver più bisogno di utilizzare il cinema in chiave terapeutica; i film non sono più lo sfogo e la metabolizzazione delle tensioni personali. Del resto anche gli altri due padri culturali del regista (Pasolini e Godard) sono stati già metaforicamente uccisi e superati da anni. La chiave psicanalitica, facilmente applicabile a tutta l'opera del regista parmense, sembra qui lasciar spazio ad uno sfogo più sereno. Citare un manifesto (La donna è donna in Prima della rivoluzione) o assegnare a un personaggio destinato a morire il numero di telefono di Godard (Il Conformista) acquistavano allora un valore più isolato e quindi più forte.

Il gusto della citazione non è più espediente intellettuale. L'autore non ha più bisogno di fare sentire la propria presenza di cinefilo perché la cinefilia è elemento primario dello stesso racconto, perché il film è la descrizione storica della cinefilia. Ed è proprio in questa abbondanza e sovrapposizione di immagini della storia del cinema che si scorge anche una sorta di autoironia: non riconoscere la scena o la citazione di un film comporta penitenze di carattere sessuale, l'appartenenza ad un rango intellettuale spinge a prove di coraggio, i comportamenti quotidiani sono continui rimandi a sequenze di grandi cult movies. Ironia, ma anche omaggio ad una generazione, che si è nutrita più di cinema e libri che di cibo; una generazione di voyeurs che infatti la rivoluzione la guarda soprattutto dalla finestra.

Quel sasso che vuole risvegliare dal torpore intellettuale e privato i tre ragazzi sognatori è il lato autocritico e forse anche piuttosto utopico della visione del '68. Un momento che non può lasciare indifferente nessuno, un movimento che non può non coinvolgere. Forse un espediente troppo facile per risolvere una questione spinosa e difficile come quella del rapporto tra rivoluzione privata e collettiva che, invece, ha così fortemente influenzato i passaggi successivi di quella primavera di cambiamenti. Solo con la rivoluzione dei padri (la resistenza di Novecento) ci si può ancora d'altronde permettere di essere epici.

 


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