Appuntamento a Belleville PDF 
di Roberto Donati   

Il piccolo e solitario Champion, allevato dalla premurosa ed energica nonna, è felice soltanto quando è in sella al suo triciclo: cresciuto, avrà una bicicletta e, dopo spossanti allenamenti caserecci, riuscirà a partecipare all'agognato Tour de France. La mafia francese, però, rapisce lui e altri due atleti per portarli, via mare, nella fantomatica città di Belleville, dove la nonna e il cane Bruno, aiutate dalle azzimate triplettes di Belleville, lo raggiungono per riportarlo a casa.

Calato in una Francia fiabesca anni Cinquanta che si sta modernizzando fino a evolvere idealmente in una Belleville che sa di "America europea", il primo lungometraggio di Chomet, appassionato di ciclismo che da cinque anni pensava a questo progetto, è una favola in piena regola, con tanto di ambientazione realistica, di umorismo raffinato e anche nero, di atmosfera anacronistica e insieme contemporanea e di personaggi surreali (a partire dalle tre soubrette del titolo originale, ormai ridotte a mangiare rane in tutte le salse e a fare musica utilizzando aspirapolveri, frigoriferi e giornali): la qualità grafica, a metà fra la caricatura spigolosa da albi a fumetti di una volta e le vignette umoristiche da giornale sportivo, e la resa cromatica sono sbalorditive, la storia è simpatica e appassiona.

Quel che convince meno è la malcelata superficialità del tutto e una certa compiaciuta ostentazione, propria dei cartoni animati con poca anima e privi di quel tocco in più: in ogni caso, è evidente che Chomet non vuole raccontare nient'altro (e lo testimonia sicuramente anche il finale, in cui tutta la vicenda a cui abbiamo assistito si rivela essere soltanto un film, destinato a concludersi metanarrativamente con il cartone stesso) che la storia bizzarra di questo novello Coppi dal fisico esilissimo e dalle gambe esageratamente tornite o, soprattutto, quella di una nonna che riesce a superare ogni tipo di difficoltà grazie alla forza di volontà.

Il regista-disegnatore esaspera le dimensioni, le prospettive e la volumetria tradizionale (straordinari il transatlantico altissimo e i due scagnozzi a forma di cassa da morto) e mescola bianconero e colore/disegni animati e immagini televisive reali, non tanto per fare della caricatura aggiunta, ma semmai per ricreare un passato reale attraverso le modalità sfumate e oniriche dei ricordi o, meglio (visto che Chomet è del 1963), del ricordo dei ricordi e dell'immaginazione.

È proprio questo modus operandi che gli permette di accumulare personaggi e situazioni provenienti dalla realtà e dai film (Fred Astaire, il protagonista che fa pensare a un triste Buster Keaton, la scritta "Chabrol Import" nel cantiere navale e via dicendo), in un omaggio cinefilo sfrontato ma assolutamente contagioso e leggiadro: notevole il risultato ottenuto, in un cartone animato, dalla mancanza quasi completa di dialogo. Come in un film di Jacques Tati, infatti, sono gli oggetti e la vita, coi loro suoni e i loro rumori, a creare ritmo, tensione e narrazione musicale: e come Tati, Chomet ha gusto per la gag, non è mai invadente né supponente ed è dotato di grazia artistica.

 


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