La talpa PDF 
Andrea Mattacheo   

Di fronte a La talpa si rimane con la stessa sensazione che lasciano le copie dei quadri di alcuni grandi maestri a opera di qualche artista d’accademia. Molte volte tecnicamente perfette, sono però fredde, sembra mancare sempre loro qualcosa. Spesso è nei volti che si nasconde questa differenza, nella loro incapacità di raccontare la sofferenza dei dilemmi umani, che la sola forma, per quanto perfetta e studiata, non potrà mai restituire. Sono i volti a dire qualcosa di vero e determinante sugli uomini, anche nei tempi in cui tutti indossano maschere.

Ne La talpa dietro una serie di maschere definite con estrema precisione non c’è niente, per questo non pare mai in grado di dire nulla sul travaglio dei suoi protagonisti e della loro epoca. Un film, quello di Alfredson, dove tutto accade al momento giusto, ogni stacco della macchina da presa significa ciò che vorrebbe significare e ciascuno dei personaggi si comporta nel modo previsto per lui dagli sceneggiatori durante la lavorazione dello script; un film dove tutto è perfetto eppure nulla brucia. Forse perché a essere vitali, umane, brulicanti di verità, spesso sono le imperfezioni. E nella prima opera “internazionale” del regista svedese, già autore di Lasciami entrare, niente è imperfetto ma tutto è scontato; non ci sono scarti che permettano di vedere gli uomini al di là dell’elaborata (nemmeno troppo) macchina narrativa e della calligrafica (e ridondante) messa in scena. In Le Carré, autore del libro (Tinker, Tailor, Soldier, Spy) da cui La talpa è tratto, la precisione estrema di una scrittura calcolata al millimetro è capace di aprire ferite nella carne di personaggi tanto costruiti quanto capaci di sanguinare. Nel film, pur decisamente fedele alla “lettera” romanzesca (Le Carré è tra produttori esecutivi), questa profondità - lo “spirito” di una letteratura pensata per intrattenere e al tempo stesso per andare oltre il solo consumo - svanisce, e rimane così solo la superficie, solo la raffinatezza di meccanismi che sembrano girare a vuoto; come un orologio che segna, spaccando sempre il secondo, un’ora sbagliata.

E di questi meccanismi Alfredson si compiace, li espone più e più volte, giocando in maniera ruffiana con il pubblico, con le sue aspettative sempre confermate, e producendo così un godimento estetico che non può farsi reale espressione delle possibilità esercitate nel comprendere, ma rimane esercizio intellettuale, compilativo e sterile. Come sterile è il rapporto che intrattiene con il cinema di genere del passato, un rapporto tanto evidente a livello di architetture formali, quanto superficiale, tra rimandi “hitchcockiani” privi della dovuta ingenuità e riferimenti a tutta la tradizione “spionistico-complottista” degli anni Settanta, prodotto di una consapevolezza e di una militanza qui completamente assenti. La guerra fredda ne La talpa è ridotta a pura suggestione vintage: fotografia che vira tutto al grigio, quadri astratti alle pareti, e doppi giochi. Un’immagine stilisticamente notevole, certo, ma pur sempre “pubblicitaria”, volta a rappresentare il tempo semplificandolo, omettendone le “impurità”, svuotandolo di ciò che lo rende ambiguo e incerto. E a rendere “impura” la Storia sono le storie degli uomini - ciò che il cinema dovrebbe ostinatamente raccontare -, con le loro debolezze, le loro scelte, le loro viscere. Qui ci sono invece solo vicende di personaggi, senza viscere e quindi senz’anima.

Titolo originale: Tinker Tailor Soldier Spy; Regia: Tomas Alfredson; Sceneggiatura: Bridget O'Connor, Peter Straughan; Fotografia: Hoyte Van Hoytema; Montaggio: Dino Jonsäter; Scenografia: Maria Djurkovic; Costumi: Jacqueline Durran; Musiche: Alberto Iglesias; Produzione: Studio Canal, Karla Films, Paradis Films, Kinowelt Filmproduktion, Working Title Films; Distribuzione: Medusa Film; Durata: 127 min.; Origine: Gran Bretagna/Francia/Germania, 2011

 


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