Cronenberg e Merleau-Ponty: La promessa dell'assassino PDF 
Andrea Chimento   

Maurice Merleau-Ponty (Rochefort-sur-mer, 1908 – Parigi, 1961) è stato uno dei più importanti filosofi e pensatori che si sono occupati dei sensi e del corpo umano nella sua totalità. Merleau-Ponty chiama il sensibile “carne”. Secondo lui vi è una familiarità tra senziente e sentito (vedente e visto, toccante e toccato) che implica una co-naturalità tra i due individui: questo è dimostrato dal fatto che i due sono della stessa razza e della stessa carne. Partendo da tali presupposti, Merleau-Ponty, cerca di dimostrare come il corpo del singolo individuo sia fatto della stessa carne del mondo (della collettività).  Durante le sue riflessioni scrive anche che fra le due (“carni”) c’è una differenza: «la carne del mondo è distinta dalla mia carne»: quindi la conclusione del suo discorso sul sensibile è che il corpo e il mondo sono fatti della stessa carne, ma sono allo stesso modo distinti. Questo preambolo mi è necessario per spiegare meglio la mia personale interpretazione dell’ultimo film di Cronenberg: La promessa dell’assassino. A mio parere la riflessione (conclusiva) sulla carne del profeta canadese in questa splendida opera, si avvicina molto ai concetti espressi da Merleau-Ponty nei suoi testi. Tralasciando per il momento i contenuti, la forma del film è davvero perfetta.

Girato magnificamente La promessa dell’assassino è un’opera in cui si entra dalla prima inquadratura all’ultima. Senza cali, con un ritmo narrativo da far impallidire qualunque altro regista contemporaneo: ogni taglio di montaggio, ogni inquadratura, ogni sequenza sono perfetti così come Cronenberg (e i suoi collaboratori) li ha fatti. I 100 minuti del film se ne vanno alla velocità di un battito di ciglia, alternando sequenze di quiete apparente ad altre di estrema violenza. Sono proprio i momenti statici quelli più angosciosi e inquietanti, quelle dinamiche sono, paradossalmente, le scene più liberatorie e catartiche. La citatissima “sequenza della sauna” (che fa parte del secondo gruppo) è bellissima, ma non riesce ad elevarsi (molto) sopra le altre del film perchè tutte sono davvero magnifiche. Quasi non si nota, come un diamante che poco risalta in un mare di zaffiri. Una lezione di cinema, quella di Cronenberg, di cui fanno parte anche l’ottima sceneggiatura di Steven Knight e le perfette interpretazioni dei quattro protagonisti. Armin Mueller-Stahl non è mai stato così inquietante, Vincent Cassell e Naomi Watts sono davvero bravissimi. Una menzione speciale va però ad un sorprendente (anche se aveva già dimostrato in passato ottime doti) Viggo Mortensen che, nel ruolo più bello della sua carriera, ci regala una delle migliori interpretazioni degli ultimi anni per tono della voce (speriamo bene per il doppiaggio) e gestualità. Un film crudo e glaciale in cui (arrivando ai contenuti) Cronenberg sviluppa temi del suo passato sia recente (A History of Violence) che remoto (gli anni ’90 del regista canadese).

Come nella sua opera precedente, la famiglia e l’identità sono al centro della vicenda. Nikolai (Viggo Mortensen) è l’autista e servitore di una delle più importanti famiglie della mafia russa di Londra, il cui capo è Semyon (A.Mueller-Stahl). Nikolai si dimostra però più umano della famiglia per cui lavora e, in particolare, di Kirill (Vincent Cassell), il figlio di Semyon, che deve difendere costantemente. Sembra a tratti insicuro della vita che ha scelto, di quello che fa e di “chi è in realtà” (come vediamo nell’ultima straordinaria inquadratura). Fondamentale è, però, anche la riflessione del regista sul sangue e sulla carne.

Il film si apre con un omicidio (il sangue della morte) e prosegue con una nascita (il sangue della vita). La madre del bambino appena nato (una giovane adolescente russa) muore durante il parto e Anna (Naomi Watts), l’ostetrica dell’ospedale, intende rintracciare la famiglia del giovane orfano rimanendo così invischiata in oscure vicende mafiose. Certamente uno dei temi fondamentali del film è l’appartenenza: sia ad una famiglia, che ad un gruppo, che ad un clan. La carne diventa l’elemento principe di questo concetto: il sangue del proprio sangue crea un legame diretto, ma lo stesso fa anche il corpo tramite i tatuaggi (nel corso del film viene detto «la storia della tua vita è scritta sul tuo corpo con i tatuaggi, se non hai tatuaggi non esisti»). La conclusione della riflessione di Cronenberg sembra però portarci nella direzione che, seppur sia fondamentale l’appartenenza e l’identità, conti soprattutto l’essere fatti della stessa materia per poter creare dei legami. Quando vediamo (forse il momento più alto del film) l’abbraccio fra i tre “corpi” nel finale, vediamo tre individui privi di qualsiasi vincolo di sangue che dimostrano affetto l’uno per l’altro soltanto per il fatto di essere fatti della stessa carne.  La carne del corpo (i tre individui presi singolarmente) fa parte della carne del mondo (tutti sono fatti della stessa materia), anche se da essa rimane distinta (la diversità dei tre individui: un’estetrica londinese, un “uomo” russo privo di una vera identità ed un bambino appena nato, simboleggiante il prosieguo della carne). Maurice Merleau-Ponty aveva espresso tale concetto in parole nei suoi testi; David Cronenberg (nuovo filosofo e profeta del corpo) ce lo mostra in immagini nel suo ultimo straordinario film.

 


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