America oggi? Altman dall'antica Grecia al futuro degli insetti PDF 
di Gianmarco Zanrè   

La città degli angeli apre le sue porte ai nostri occhi con un volo. Sfiorati dalle luci, in formazione, elicotteri dell'esercito riadattati alla disinfestazione di una rara e temibile razza di "mosquitos" mondano la città dalla minaccia, ricoprendola di un manto non nocivo per la popolazione, un diserbante sperimentale che ricacci indietro la natura, senza pensare ai peccati dell'uomo. Robert Altman, vecchio maestro di cinema corale e analisi umana, vent'anni dopo il suo capolavoro, quel Nashville che ridefinì il cinema americano degli anni Settanta, riscopre, attraverso gli scritti di Carver trasposti per l'occasione in una California assolata in attesa del "Big One", l'indagine senza interventi del regista/destino: un turbinio di vite profondamente associato agli insetti, galleria di personaggi da Lee Masters, capace di abbracciare a un tempo borghesi di successo e poveri falliti, senza indugiare o indulgere su alcuno, osservando con distacco - prettamente emotivo - le fortune alterne che la vita riserva ai suoi protagonisti, legati tra loro da un Caso figlio di antichi miti, ineluttabile quanto il terremoto che gli abitanti di questa velata Los Angeles danno ormai per certo, una speranza che possa cambiare - o distruggere - le loro vite.

Raramente, nella storia del cinema di più recente memoria, si è visto un autore capace di prendere una distanza così ben definita dalle sue creature, lontana tanto da una scontata adesione al sacro principio di immedesimazione così caro agli standard hollywoodiani quanto dalla fredda cronaca del film-verità di stampo documentaristico. Altman si preoccupa di raccontare, non di mostrare, tenendo a freno la sua "onnipotenza" di creatore, evitando accuratamente di prendere parte alcuna nelle vicende che coinvolgono i suoi personaggi, scegliendo invece di seguirne i passi, mantenendo la stessa "sincerità" di un filmino di famiglia, dove l'impossibilità di rimontare diviene specchio della totale schiettezza del momento. Torti e bugie hanno lo stesso peso di verità e sentimenti profondi. Non si trova alcuna differenza, nell'approccio del racconto, fra la famiglia smembrata di Stormy Weather e quella solida e felice dei Finnigan, o nell'analisi dei rapporti di coppia vissuti dai Wyman e dai Kane.

Tutto è raccontato dalla stessa distanza, quasi a mostrare quanto, agli occhi della vita, non vi siano differenze. Così è per l'ubriacone Earl e la moglie cameriera Doreen, capaci di riappacificarsi - ma sarà per sempre? - ricostruendo il loro rapporto solo dopo che, ignara delle conseguenze, la stessa Doreen investirà, uccidendolo, il piccolo figlio dei Finnigan. La vita dà, la vita toglie, pare suggerire la pellicola. Non ci sono grandi ideali traditi, o messaggi universali. Solo le fatiche più o meno evidenti di persone che si incrociano nelle stesse strade, condizionando le proprie vite senza saperlo, quasi scomparendo alla luce del grande formicaio di Los Angeles. Poco importa di come e quando saranno vissuti o morti, perlomeno agli occhi di questa camera avvolgente e attenta: le vittime innocenti del grande affresco, dal bambino dei Finnigan alla ragazza del terremoto, passando attraverso il cadavere nel fiume trovato da Stuart Kane, scompaiono nella coralità degli avvenimenti, dei racconti, dei drammi. I Finnigan, vessati dalle persecuzioni di un pasticcere con disturbi di personalità, paiono voler affrontare un nemico evidente, più che un dolore così sepolto, e il vecchio leone Jack Lemmon, straordinario come sempre nel ruolo di nonno Finnigan, sceglie l'uscita di scena, di fronte al momento della morte del nipote, piuttosto che un nuovo, difficile confronto con il figlio perduto da anni. La giovane uccisa per frustrazione dal goffo Jerry, schiacciato dalla sensualità "programmata" della moglie, è identificata come vittima del terremoto. Stuart e i suoi compagni di pesca, di fronte al cadavere sul fondo del fiume - forse una delle poche divagazioni citazioniste del regista, che con l'immota staticità del cadavere in contrasto con la fluida danza dei capelli pare ricordare le indimenticabili immagini di Shelley Winters in La morte corre sul fiume - decidono di finire il week end di pesca, prima di denunciare l'accaduto.

Le vittime passano, la morte resta. Così come le bugie e i tradimenti, che Altman racconta senza alcun moralismo, ma, con un piglio quasi disarmante, come eventi della vita di ogni giorno: emblematico il caso di Sherry, tradita dal marito Shepard regolarmente, e, pur conscia della natura di bugiardo del consorte, divertita spettatrice delle sue spettacolari bugie, è certa dei suoi ritorni ad ogni rottura con l'amante di turno. Il rancore pare cedere il passo, per lasciare spazio alla rassegnazione: come gli eroi dei miti greci, i personaggi di Carver e Altman paiono vivere unicamente per accettare un destino avverso, figlio di una hubris legata ad ogni essere umano per la sua umanità, necessaria quanto crudele, pur se privi dell'alone mitico legato ai tempi remoti e alla grandiosità delle gesta. Dopo più di due millenni il macroscopico è divenuto microscopico, e se è vero che gli insetti ci sopravviveranno, pare altrettanto vero che gli uomini, allo stesso modo, abbiano scacciato, in passato, tutti i precedenti abitanti del pianeta per giungere a un dominio silenzioso, suggerito, invisibile, per lo meno ai loro occhi. Invisibile come il diserbante, come i "mosquitos" che attaccano senza mai comparire, come un pretesto o una giustificazione atti ad accordarci con noi stessi, prima che con gli altri. Così, mentre gli insetti pianificano la loro invasione, l'uomo si dimentica di non essere più l'unico, perdendosi fra le sue strade come solo lui è capace, in attesa di una catastrofe naturale a cui dare le colpe della propria caduta, o affidare le speranze di un futuro migliore. Earl e Doreen, riappacificati, stretti sotto la porta del loro caravan, attendono fiduciosi che il "Big One" li spazzi via, proprio al culmine della felicità.

Di nuovo, Altman non prende parte, e tutte le decisioni, tutti i fatti, le bugie e le verità, torneranno a chiedere il conto il giorno seguente, e quello dopo ancora, fino a quando, questa volta per davvero, il terremoto verrà ad inghiottire tutto, fornendo un alibi a chi penserà di non avere fatto abbastanza e a chi, di contro, crederà di aver concluso troppo. La festa di stampo felliniano che i Kane e i Wyman si concedono, dimentichi della città e di loro stessi, è una parentesi dove la verità pare una burla, recitata come una menzogna e nascosta dalla magia della scatola dei trucchi della moglie di Stuart, clown e animatrice per bambini. La città è lontana da quella villa sulle colline, eppure la televisione che riporta notizie del terremoto torna ad afferrarli, ricordando loro che il sogno finirà con l'alba e l'indomani si tornerà alle proprie vite.

Ai tempi della sua uscita si optò per titolare quest'opera America oggi, snaturando in parte il concetto degli short cuts originali. Eppure lo stupore maggiore non viene dalla consueta deformazione italiana dei titoli, quanto dalla scelta "geografica" mai così poco significativa. Se è vero che Oriente ed Occidente, dal punto di vista sociale e culturale, vivono realtà ancora profondamente differenti, appare chiaro quanto in ognuno dei personaggi che vivono sotto i nostri occhi nel corso di questa epopea lunga più di tre ore si fondano realtà e pulsioni che Europa e Stati Uniti condividono da più di un secolo, e che, più che a un "America", fanno pensare a un "Occidente oggi". Altman non suggerisce, racconta. Probabilmente è a conoscenza di questo piccolo segreto, ma non sembra tenere particolarmente al fatto che venga svelato, forse perché è già sotto i nostri occhi. Come gli invisibili "mosquitos" c'è ma non si vede. La disinfestazione raggiungerà il suo obiettivo o gli insetti imporranno definitivamente il loro dominio?

Il dubbio è che in realtà quegli insetti siamo noi. Il diserbante inodore e insapore pronto a debellare la minaccia è ormai depositato sulle case, sulla pelle, nei giardini, galleggia a pelo d'acqua nelle piscine. Non a caso, gli innocenti - o i meno colpevoli - muoiono. Il regista è super partes, come il Fato della Grecia antica. Eppure c'è sempre un disegno che determina l'accadere di ogni episodio della nostra vita. Gli innocenti sono morti perché la vita dà e nello stesso tempo toglie. Eppure hanno evitato le conseguenze delle vite altrui. O sono divenuti le conseguenze stesse. Da morti, nutriamo gli insetti che da vivi uccidiamo.

Il Destino lo sa, e, forse, anche Robert Altman ha intuito qualcosa, in proposito. Con la complicità di un certo Raymond Carver. Un vecchio articolo, a proposito di questo film, recitava: "America oggi? Ma questi siamo noi." In effetti, più che al cinema, pare quasi d'essere stati a casa dei vicini. Viene legittimo pensare che i vicini possano credere d'essere stati in casa nostra.

 


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