Anche tua madre è il quarto lungometraggio del messicano Alfonso Cuarón, conosciuto in Italia solo per il film Paradiso perduto (Great expectations, 1998), tratto dall’omonimo romanzo di Charles Dickens. Nato da un’idea maturata con il fratello Carlos (co-autore della sceneggiatura) ben dieci anni fa, il regista affronta la complessa e intricata tematica adolescenziale non trascurando tutte le pulsioni, l’ambiguità, l’ingenuità e le delusioni tipiche di quella fase della crescita. Anzi si potrebbe affermare che reiteri un canovaccio ormai inflazionato fatto di ormoni, droghe, malinconia e speranze infrante (uno dei riferimenti più recenti potrebbe riscontrarsi in Krampack, il successo di pubblico e critica della passata stagione del regista Cesc Gay). Ma sarebbe riduttivo catalogare il lavoro di Cuarón come un semplice déjà vu.
Il messicano, infatti, confeziona questo film con una sensibilità tutta particolare delineando in maniera esaustiva i suoi personaggi e costruendo un affascinante road movie sulle strade di un Messico incantato con destinazione sconosciuta. La spiaggia soprannominata Boca del cielo (che ricorda idealmente molto – per la sua dimensione simbolica - il teatro delle avventure di Leonardo Di Caprio in The Beach di Danny Boyle) è il sogno paradisiaco di Julio e Tenoch (rispettivamente Gael Garcia Bernal e Diego Luna), un luogo immaginario dove si nascondono i desideri fino a quel momento proibiti o, quantomeno, sconosciuti.
Ma se la scoperta dell’esistenza di una nuova sessualità e della possibilità di vivere un’esperienza ai limiti del sogno per opera dell’esperta Louisa (Maribel Verdù) - che vede nel miraggio di questa spiaggia l’ideale via di fuga dalla morte che la insegue - è il premio per i due giovani amici, il prezzo da pagare non tarda a presentarsi. La loro amicizia si frantuma non appena il confine che separa l’adolescenza dalla maturità viene oltrepassato. Quelle strade che sembravano inseparabili adesso si dividono e, nel fatidico punto di scissione in cui termina l’iniziazione, si devono abbandonare l’ingenuità, la spensieratezza e soprattutto il legame che unisce i due ragazzi. La maturità, segnata dall’incosciente fardello della morte di Louisa, li accompagnerà nella vita futura quando quella spiaggia meravigliosa sarà solo un ricordo sfumato.
Cuarón costruisce in maniera impeccabile un film che altrimenti avrebbe potuto risolversi in un prodotto banale e stereotipato. Il suo tributo alla terra natia si concretizza nella lingua (il film è recitato in chilango) e nelle incredibili inquadrature tutte dedicate ad un Messico affascinante, nascosto, lontano dai falsi miti di Puerto Escondido. Una nazione povera ma che può offrire spettacoli suggestivi.
In queste locations da cartolina, fotografate dal bravissimo Emmanuel Lubetzki (candidato all’Oscar per Il mistero di Sleepy Hollow di Tim Burton), si muovono gli attori in maniera del tutto naturale. La riuscita di questa pellicola è dovuta anche al lavoro dei tre protagonisti il cui affiatamento dà vita ad una recitazione spontanea, che asseconda il buon ritmo della sceneggiatura. Non è un caso che nell’ultima edizione della Mostra del Cinema di Venezia il film si sia aggiudicato proprio il Premio per la miglior sceneggiatura e che ai due giovani attori sia andato il Premio Marcello Mastroianni.
Y tu mamá también dimostra pertanto quanto sia ormai maturato questo regista, già prontamente adottato dalle major hollywoodiane, e ancora pressoché sconosciuto in Italia.
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