Beverly Hills, Los Angeles, prima metà degli anni Settanta: nelle ville in cerca di acquirente, temporaneamente abbandonate, le piscine sono vuote anche a causa di una grande siccità. Qui, dopo un'accorta ricognizione, s'intrufola un gruppo multirazziale di adolescenti provenienti da Dogtown, quartiere malfamato e fatiscente della metropoli californiana.
Attrezzati per svuotare e pulire le piscine (all'occorrenza anche attaccandosi di nascosto alla corrente elettrica della villa limitrofa), i ragazzini sanno che da un momento all'altro potrebbe arrivare la polizia. Perché sono qui? Beh, la loro tavola da surf si è rimpicciolita, ha messo le ruote e da qualche tempo le onde che cavalcano sono diventate d'asfalto. Dogtown and Z-boys è la storia degli ingenui pionieri delle evoluzioni sullo skate (loro sono arrivati a scoprire vertical e aerial), veri rivoluzionari nel loro ambito, in primis perché, puntando tutto su uno stile "radical", hanno definito le regole di un nuovo sport anche infrangendo la legge. Una crew nata attorno al negozio di surf dei mentori Jeff Ho e Skip Engblom, i cui membri diventano presto gli idoli di Ian MacKaye dei Fugazi o ancora di altri personaggi del mondo musicale come Henry Rollins e Jeff Ament dei Pearl Jam, che li scoprono grazie alle foto pubblicate sulle pagine della rivista Skateboarder.
È Stacy Peralta (1957), uno degli z-boys (dove z sta per Zephyr, come il nome del negozio), l'autore di questo orgoglioso e appassionato ritratto di un team di skater da molti visto come l'equivalente di una qualsiasi gang di strada, ma che, applicando le tecniche del surf, ha determinato la sorte di quella tavola supportata da ruote in uretano. Proprio questa sostanza chimica ha costituito un aiuto fondamentale per la crew, la cui peculiarità principale può così diventare la completa torsione del corpo con le mani che automaticamente vanno a poggiare, senza controindicazioni (con altri materiali il rischio caduta era nettamente maggiore), sul terreno, non più sul mare. Una storia coinvolgente, con numerose e preziose immagini di repertorio che restituiscono il sapore e, soprattutto, i colori di un'epoca rimpianta da più parti.
Una storia rovinata dal violento ingresso degli sponsor, dall'avvento del professionismo o, è il caso di Jay Adams (attualmente in carcere), dall'abuso di droga. Proprio Adams e Tony Alva sono ancora considerati dal resto degli z-boys i membri che meglio incarnano lo stile del gruppo, tutto grazie a un talento puro e alla capacità di trovare e sviluppare nuove tecniche con una pratica costante. Mentre i due si raccontano non si può fare a meno di notare i loro denti scheggiati, e il nesso causale con le acrobazie che facevano sullo skate, spesso senza alcuna protezione, è automatico.
L'albero genealogico del surf ha dato vita allo skateboard e, più recentemente, allo snowboard. Stacy Peralta ha portato sul grande schermo una storia collettiva creatasi attorno a questa famiglia e il suo documentario, che si apre sulle note di Ezy Ryder di Jimi Hendrix, riesce a divertire e interessare anche chi non ha mai avuto niente a che fare con questo mondo.
Dogtown and z-boys funziona, un po' come tutti i racconti riguardanti persone che, quando si mettono in gioco per una passione, lo fanno senza mezzi termini, spesso correndo dei rischi sulla propria pelle; attributi spesso latitanti in chi sceglie di fare cinema, a parte rare eccezioni come quella di Werner Herzog che, proprio con un documentario autoreferenziale (Kinski - il mio nemico più caro), ha definitivamente svelato questa sua attitudine.
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