Silvio Alovisio, direttore della Biblioteca del Museo del Cinema e ricercatore e docente al Dams di Torino, è l'autore del primo testo pubblicato all'interno della neonata collana scaturita dalla collaborazione tra il Museo Nazionale del Cinema e la casa editrice Il Castoro con l'intento di affiancare del materiale bibliografico alla iniziative del Museo. Voci del silenzio è il prodotto di uno studio approfondito su un segmento della storiografia cinematografica assai poco indagato, un testo che ricostruisce la nascita della sceneggiatura nel cinema muto italiano avvalendosi proprio del materiale custodito negli archivi del Museo del Cinema: sceneggiature originali, carteggi e articoli della stampa dell'epoca che sono diventati parte integrante di questo saggio (ricco di citazioni e riferimenti diretti) e che in parte vengono riprodotti in un'appendice fotografica al centro del volume.

Il merito più evidente del lavoro di Alovisio è quello di saper restare in bilico tra la cronaca dell'evoluzione della fiorente industria cinematografica italiana degli anni Dieci e l'analisi teorica degli albori del processo di lavorazione narrativo e strutturale del cinematografo. L'opera, divisa in tre lunghi capitoli, inizia valutando l'impatto culturale, tecnologico ed economico del cinema sulla società dell'epoca, in particolare evidenziando il necessario riposizionamento del ruolo degli intellettuali nei confronti di un nuovo medium che richiedeva l'apporto di una matrice culturale precedente (letteraria e teatrale), imponendo allo stesso tempo una rivoluzione nelle abitudini del lavoro artistico e intellettuale. La documentazione dei dibattiti e delle polemiche che accompagnarono il lavoro degli sceneggiatori dell'epoca fornisce lo spunto per la messa a fuoco delle nuove finalità assunte dalla letteratura nel momento in cui deve mettersi al servizio del cinema, distaccandosi dai suoi modelli precedenti: scrittori di fama come Pirandello, Verga e D'Annunzio vengono chiamati a cimentarsi con la scrittura cinematografica, altri come Frusta, Chiosso e D'Ambra (cui l'autore dedica delle brevi monografie) lavorano nel tentativo di configurare un "nuovo mestiere letterario" che sappia inserirsi nel processo di produzione cinematografica.

Il libro evidenzia una serie di problematiche e in primo luogo quella dell'autorialità, del conflitto tra le figure professionali che contribuiscono alla realizzazione di un film, scontrandosi all'interno di un sistema nel quale la visione si accinge a mettere in dubbio l'egemonia della parola nella produzione artistica. D'altra parte, l'antitesi che dà il titolo al libro sottolinea perfettamente il paradosso all'interno del quale si muoveva una pratica destinata a produrre parole che non possono essere udite dal pubblico, che cercano di sfondare il confine della didascalia per creare personaggi e psicologie attraverso dialoghi scritti per figure che non hanno voce (si veda in particolare il paragrafo dedicato ai clichè socio-culturali, il malato e la "femme fatale").

Il libro si chiude con la schedatura di tutte le sceneggiature conservate al Museo Nazionale del Cinema, delineandosi come un prezioso contribuito storiografico-archivistico su un momento di splendore assoluto per l'industria cinematografica italiana. Prefazione di Antonio Costa.