Un macchinista, Trevor Reznik, tenta di buttare a mare un tappeto arrotolato. Un faro lo illumina ed una voce di uomo gli domanda di mostrarsi. Da questo momento in poi Trevor scava nella sua memoria per cercare di capire come mai da quasi un anno non riesce più a prendere sonno. Da un po' di tempo, infatti, tutto sembra andare storto nella sua vita e questo contribuisce a non farlo riposare, riducendolo ad un mucchio d'ossa, sotto un attillato vestito di sottilissima pelle. Trevor è esausto, distrutto e consumato; è nervoso, delirante, tanto da immaginarsi una congiura soffocante ordita contro a suo danno. Ma perché accade tutto questo? Cosa nasconde Trevor Reznik dietro ogni passo che il suo corpo malandato affronta? Chi è veramente il macchinista?
Davvero singolare il lavoro di Brad Anderson. Stampato in quasi-seppia, il film affronta molto bene il tema della colpa e del rimorso scavando, è proprio il termine giusto, nel dolore e nella frustrazione di un protagonista (il Christian Bale di American psycho, 2000, di Mary Harron) incredibilmente in parte, forse un po' troppo sulla scia di Ralph Fiennes in Spider (2002) di David Cronenberg, ma comunque molto efficace e soprattutto tetro e credibile. Trevor è un criminale, ha investito un bambino involontariamente, e non si è fermato a prestargli soccorso. Da un anno dunque è un pirata della strada, perché è fuggito dopo l'incidente. Ha scelto la fuga di fronte al destino, e vive con il rimorso (l'uomo nero che lo segue) di avere una vittima sulla coscienza. Perché non è capace di accettare le cose come il destino le ha messe, Trevor rinuncia a se stesso, a come era prima, simpatico con i compagni, gentile con le donne, professionale sul lavoro. Trevor è condotto dalla sua irresponsabile paura alla follia. Raggiunto il delirio, il ragazzo prova l'ultimo gesto, disperato, di uccidere il senso di colpa (il cadavere che vorrebbe far sparire), ma si sa, il senso di colpa muore solo con il colpevole.
Per quasi tutta la prima parte della pellicola, è molto interessante anche vedere come il regista abbia ben ricreato una situazione già di per se frustrante come l'officina, per partire già da un contesto di per sé difficile e che altro non fa che buttare sempre più giù nel fosso il personaggio di Trevor. Interessante il montaggio, anche se derivato da uno stile alla Memento (2000) di Christopher Nolan, un po' scontato almeno nella scelta di partire con la fine, ma alla fine efficace nel dare allo spettatore diverse possibilità (tutte false) di soluzione. The machinist, questo il titolo originale, è un verme tipicamente kafkiano, intriso di pessimismo alla Dostoevskij, destinato all'ammissione della propria colpa attraverso un percorso tutto interiore. C'è molto di Roman Polanski in questo film e anche tanto di Alfred Hitchcock, in questo accanimento sul protagonista, in questo piegarlo agli eventi. Visto da un'altra angolatura, il film è un perfetto allegato per una lezione civica: fumare fa male, tanto meno in macchina dove la prima distrazione può causarti un maledetto ed insopportabile senso di colpa. Il film comunque rimane, anche alla luce di questa banale esemplificazione, interessante e meno scontato di quanto possa sembrare.
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