La ragazza che giocava con il fuoco PDF 
Francesca Druidi   

Oggi tutto si consuma in fretta. Tutto scorre a velocità sempre più accelerata: mode, tendenze, “fenomeni”. Meglio battere il ferro finché è caldo. Così a pochi mesi dall’uscita nelle sale di Uomini che odiano le donne, ecco che viene proposto agli spettatori italiani il secondo capitolo dell’amatissima trilogia letteraria Millennium firmata dall’autore svedese Stieg Larsson, La ragazza che giocava con il fuoco. Gli echi della prima trasposizione cinematografica non si sono ancora spenti, ma è già tempo di occuparsi del prosieguo delle avventure della problematica Lisbeth Salander (l’aderente e intensa Noomi Rapace) e del giornalista Mikael Blomkvist (di nuovo interpretato da Micahel Nyqvist), aspettando la primavera del 2010 quando farà capolino anche l’ultima parte della Millennium Trilogy, La regina dei castelli di carta.

Se Uomini che odiano le donne può essere letto in maniera indipendente, in quanto romanzo praticamente auto-concluso, La ragazza che giocava con il fuoco rappresenta uno snodo decisivo all’interno della trilogia, in quanto svela e ricompone molti tasselli del passato di Lisbeth preannunciando quello che sarà il tema del terzo volume e in fondo anche dell’opera nel suo complesso: la lotta contro un sistema politico e istituzionale prevaricatore e corrotto, condotta con ferma determinazione da chi ama la verità tanto da farne il proprio mestiere, Mikael Blomkvist, e da Lisbeth Salander, ovvero da chi ne ha subito in prima persona le ripercussioni non assumendo però il ruolo di vittima passiva, ma cercando fino alle estreme conseguenze di far luce sul proprio passato e sulle ragioni dei drammatici eventi che l’hanno vista protagonista a partire dall’adolescenza. Il film, invece, si discosta da questa impostazione.

Ma andiamo con ordine. La pellicola inizia con il ritorno di Lisbeth Sander a Stoccolma dopo un lungo viaggio che l’ha portata in giro per il mondo dopo l’affare Vagner. Anche Blomkvist, dopo i clamori del caso Wennerström, è tornato alla guida della rivista Millennium, anche se non può fare a meno di chiedersi che fine abbia fatto Lisbeth, visto che la giovane da più di un anno non si mette in contatto con lui. La rivista è in procinto di pubblicare un altro scottante reportage, quello del giornalista freelance Dag Svensson sul trafficking, il mercato del sesso che coinvolge in prevalenza ragazze dell’Est europeo. Svensson ha realizzato l’inchiesta partendo dalla tesi di dottorato in criminologia della sua compagna, Mia Bergman, la quale è riuscita a farsi raccontare da alcune prostitute i particolari dello squallido commercio e anche i nomi di qualche cliente. Tra questi, compaiono politici, giornalisti famosi, rappresentanti delle forze dell’ordine e funzionari pubblici. Personalità conosciute, che potrebbero rischiare molto dalla pubblicazione del lavoro del reporter. Nel frattempo, il viscido tutore di Lisbeth, l’avvocato Nils Bjurman, riceve la visita di uno strano individuo, un gigante biondo che vuole ritrovare un’indagine di polizia risalente ai primi anni Novanta e riguardante proprio Lisbeth. Quando Svensson e la sua fidanzata Mia, oltre a Bjurman, vengono ritrovati uccisi nei loro appartamenti, la sospettata numero uno diventa lei, la giovane hacker più che mai restia alle relazioni sociali, le cui impronte risultano sull’arma del delitto. A non credere alla tesi della polizia svedese è naturalmente Blomkvist, che avvierà una sua indagine privata, partendo proprio dai nomi rivelati dall’indagine di Dag Svensson e coinvolgendo nelle investigazioni anche Erika Berger e Malin Eriksson della redazione di Millennium. La risposta che scioglie l’intrigo va trovata nella rivelazione dell’identità di una figura misteriosa che s’impone in maniera minacciosa sui destini dei protagonisti: Zala, già presente in un flashback nel primo film e legato a doppio nodo a Lisbeth Salander.

C’è chi ha storto il naso di fronte a questo secondo capitolo diretto da Daniel Alfredson, che ha sostituito in cabina di regia il predecessore Niels Arden Oplev, ottenendo tuttavia gli stessi risultati. Entrambi i film sono thriller onesti e godibili. Oplev aveva diretto un film più di atmosfere e di ambienti che non d’azione, concentrandosi in particolare sulla presentazione e sulla caratterizzazione dei due protagonisti (se con Lisbeth/Noomi Rapace l’effetto è ottimo, con Blomkvist il risultato lasciava molto a desiderare). Alfredson opera un asciugamento ancora più sistematico dell’originale letterario, azzerando sottotrame e rendendo praticamente nulla la connotazione psicologia sia dei personaggi “secondari” che dei due protagonisti. Si limita a girare un solido lungometraggio di genere, tenendo fede per quanto possibile agli snodi narrativi principali del romanzo e alla volontà di Larsson di descrivere non supereroi muscolari ma personaggi più o meno corrotti, oppure più o meno integri, coinvolti in eventi comunque credibili e verosimili. Personaggi che animano un universo attraversato dalla violenza e dalla perversione. La situazione però si è ulteriormente complicata rispetto all’intreccio del primo romanzo e nei passaggi che si dipanano veloci nel corso del discorso filmico non tutto è compreso con immediata lucidità e chiarezza dallo spettatore che ignora le vicende raccontate sulla carta stampata. Basti pensare, ad esempio, alla relazione tra Erika e Mikael, sottaciuta nella prima pellicola e sfociata ora nel secondo episodio senza spiegazioni e, quindi, senza apparente logica per chi non conosce il loro “storico” rapporto dalle pagine dei romanzi. L’unica vera intuizione colta da Alfredson, che spesso si sofferma sul corpo tatuato e “vissuto” di Lisbeth, in quanto testimone evidente del suo doloroso percorso, non viene approfondita con la dovuta sensibilità cinematografica. Eppure poteva essere una riflessione interessante vista la “maschera” di “joekeriana” memoria che Lisbeth si crea in una sequenza del film e considerando anche il personaggio del gigante biondo, nel quale la fisicità assume una funzione non certamente ordinaria e superficiale.

Entrambi i capitoli cinematografici, sebbene diversi, soffrono però dello stesso difetto: quello di non restituire o comunque suggerire solo in minima parte la dimensione sociale e politica presente nei romanzi, rendendo inefficace la restituzione sul grande schermo di due protagonisti multisfaccettati come Lisbeth e Blomkvist. Il rischio, divenuto in questo caso realtà, è che la voglia di inseguire il successo del caso editoriale del momento, avviando la macchina commerciale che dal best seller conduce alla traduzione cinematografica, faccia perdere di vista quanto di buono i libri abbiano saputo veicolare con sé. La diatriba tra un romanzo e la sua trasposizione in pellicola è e sarà una storia infinita, oggetto di studi, analisi e comparazioni più o meno semplicistiche. Si tratta, come ben sappiamo, di due strumenti di comunicazione ben diversi. Però l’approccio usato da Peter Jackson nel portare sullo schermo un’opera titanica come Il signore degli anelli costituisce senz’altro un esempio e un modello positivo, che ha funzionato non solo per il bene del box office ma anche per il bene del cinema e dei suoi fruitori, considerando il rispetto, la passione e soprattutto l’adeguatezza con cui ha diretto e curato la traduzione cinematografica dei tre libri che compongono il capolavoro riconosciuto di Tolkien. Questo, naturalmente, a dispetto degli eventuali errori e delle scelte poco felici che può aver commesso il cineasta neozelandese. La trilogia, che la si ami o meno, è infatti potente dal punto di vista cinematografico, è un’opera autonoma sebbene rispettosa dell’intenzione che i libri volevano trasmettere. La trilogia filmica made in Svezia, almeno per quanto concerne i primi due capitoli, sembra riproporre il problema di fondo che connota anche la saga cinematografica di Harry Potter: l’incapacità di riportare la ricchezza e la complessità delle pagine dei romanzi di partenza. Il cambio di regia per la Millennium Trilogy non ha spostato e modificato di molto lo scenario. Ora Alfredson ha in mano anche le redini del terzo capitolo. È l’ultimo appello.

TITOLO ORIGINALE:  Flickan som lekte med elden; REGIA: Daniel Alfredson; SCENEGGIATURA: Jonas Frykberg; FOTOGRAFIA: Peter Mokrosinski; MONTAGGIO: Mattias Morheden; PRODUZIONE: Danimarca/Svezia; ANNO: 2009; DURATA: 129 min.

 


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