Shutter Island: bagliori nell'oscurità PDF 
Michele Bellio   

Nei meandri della mente umana, in quella dimensione sospesa tra sogno e realtà che ospita le più oscure patologie della psiche, trova una sua elegante compiutezza la fantasmagoria di Scorsese. Ispirato all’omonimo romanzo di Dennis Lehane, Shutter Island è un film perfettamente coerente con l’intero percorso cinematografico del regista e ne rappresenta una valida sintesi. Figlio della ricercatezza formale che caratterizzava Gangs of New York e The Aviator ed ugualmente scricchiolante in alcuni passaggi narrativi, il film si ricongiunge a sorpresa allo Scorsese più ingiustamente bistrattato dei tardi anni Novanta, in particolare a Bringing out the Dead (1999). Il tema del senso di colpa, che è costante narrativa e chiave di lettura dell’opera del regista, si sviluppa in entrambe le pellicole grazie a personaggi ossessionati dai propri fantasmi, non in grado di svolgere la propria missione salvifica (uno è un paramedico, l’altro un poliziotto), lontani dall’archetipo del bene che il loro ruolo dovrebbe assicurare. La dimensione sospesa in cui si muovono trova adeguato palcoscenico nella New York degradata che precede la cura Giuliani e, per Shutter Island, nell’inquietante ospedale psichiatrico del golfo di Boston.

Un elemento in particolare porta ad affiancare le due pellicole: il disagio psicofisico che il rimorso provoca sui protagonisti e il modo in cui esso viene reso dalla regia. L’elemento visivo che più colpisce l’attenzione è il ricorso ai bagliori. Siano essi generati dai lampeggianti di un’ambulanza o dalle esplosioni di emicrania, i segnali luminosi, magistralmente orchestrati dal montaggio di Thelma Schoonmaker, ritmano l’andamento di entrambi i film. Ma laddove essi si fondevano nella follia depressa e ricercata del paramedico Frank Pierce, fungendo da vera e propria colonna visuale alla sua discesa agli inferi, in Shutter Island il loro ruolo è opposto, dimostrano la frustrante ed impossibile ricerca della verità. Tutto il film, in un crescendo di assurdità, si confronta con il tema della ricerca del vero, in un mondo in cui, inevitabilmente, tale parola ha perduto gli abituali connotati semantici. Conseguentemente, i bagliori che di colpo interrompono l’oscurità (lampi nella tempesta), generando dolore, rivestendo tutto il contesto di una nuova atmosfera, sono il disperato tentativo di fare luce nelle tenebre da parte di un personaggio incapace di riconoscere la realtà in cui si trova. O forse semplicemente reso tale.

Un ulteriore livello si aggiunge infatti a quest’incubo: ambientato negli anni delle paranoie maccartiste, il film trova un percorso affascinante per snodare la propria struttura narrativa ed obbliga lo spettatore a brancolare nel buio, senza fornire riferimenti sicuri. Nella logica del cinema di Scorsese, il finale, più sbilanciato verso la consapevolezza del protagonista rispetto a quello del romanzo, assume nuovamente il ruolo di una spasmodica ricerca di redenzione, seppure raggiungibile solo con la perdita della propria coscienza. Tuttavia, la chiusura sul faro, simbolo delle (ipotetiche?) sperimentazioni sui pazienti, mantiene l’ambiguità ai livelli richiesti dalla struttura del film. Un ultimo aspetto accentua ulteriormente l’interpretazione del regista: lo spazio dato ai flashback ambientati in Germania durante la seconda guerra mondiale. Riservando loro più tempo rispetto al romanzo e sacrificando componenti importanti come il rapporto con la moglie, relegato ai soli momenti onirici, Scorsese sembra volerci dire che il senso della storia sta nelle inquietanti e cinematograficamente splendide sequenze ambientate a Dachau. La loro violenza è necessaria, si rivolge direttamente al cuore di ogni uomo, a chi cerca inutilmente la propria redenzione, aspetto, questo, sottolineato dall’ipersensibile performance di DiCaprio. Un elemento di tale forza concettuale non può non determinare la lettura dell’opera e costituisce la base per il progetto di Scorsese: un’evoluzione inquietante ed indeterminata all’interno di una mente malata, vittima di un’oscurità dettata dalla violenza umana, che rari bagliori di luce non riescono a dissipare.

 


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