Di ciò che, al di qua delle Alpi, è noto come tipicamente francese, questo bizzarro Louise Michel sembrerebbe non conservare nulla. In patria i due registi di questa commedia nerissima – presentata in Italia alla Festa Internazionale del Cinema di Roma nella sezione "L’altro cinema", che riserva sempre delle gustose sorprese – sono ben noti come politicamente scorretti. Benoît Delépine e Gustave de Kervern, autori e attori televisivi, conoscono bene i tempi comici del piccolo schermo, ma sembrano non cavarsela niente male nemmeno al cinema, esibendo una certa sensibilità verso le potenzialità del mezzo.
Il titolo, nella versione originale, inserisce un trattino tra i due nomi dei protagonisti, celando con maggiore divertissement il dichiarato omaggio al nome della celebre anarchica femminista che prese parte, tra l’altro, alla Comune di Parigi di fine Ottocento. Nonostante ciò, il titolo italiano, pur nella sua minima modifica, conserva e forse esalta l’ambiguità sessuale dei protagonisti, come pure la loro complementarità, che ne farebbe per l’appunto un corpus unico le cui due componenti (di genere) sono interscambiabili. Infatti, la giunonica e trasandata Louise è in realtà un uomo (ex galeotto per giunta), mentre l’improbabile killer su commissione Michel è un esponente altrettanto in sovrappeso del genere femminile. Semplice riconoscere in questi due personaggi il risultato evidente di un mondo del lavoro alienante le cui possibilità di vera espressione dell’Io sono pari a zero, stritolate da un sistema che trova il proprio fondamento non nell’elemento umano, ma nella ricerca della massima produttività, a qualunque costo. I due registi si dimostrano molto abili nel ritrarre la fabbrica del nord della Francia che il giorno prima regala nuovi grembiuli alle sue operaie per poi svuotare i propri locali e chiudere i battenti, senza alcun preavviso. Quasi con valore profetico, l’impresa tessile in cui Louise lavora (proprio perché si finge donna) si erge a simbolo della crisi mondiale che diverso tempo dopo la produzione del film ha messo e sta mettendo a dura prova il sistema economico del mondo occidentale. Così alle operaie in riunione, ritrovatesi da un giorno all’altro senza stipendio, non può che sembrare una buona idea quella di investire il denaro della loro misera liquidazione non per aprire un’attività in proprio, ma per assoldare un killer pronto ad uccidere l’ex datore di lavoro.
Come Soderbergh, con Bubble, si infiltrò nella vita di un gruppo di operai dell’angusto Midwest, scoprendo le ossessioni di una vita senza ambizioni né possibilità, qui Delépine e de Kervern, pur inseguendo ugualmente un omicidio, invertono di segno il registro per ottenere, attraverso la comicità, lo stesso panorama di inettitudine e nonsense. I due registi filmano gag sgangherate, figlie di una comicità quasi primitiva ma tuttavia lontana anni luce dalla demenzialità più o meno grossolana a cui ci ha abituati ultimamente un certo filone di commedia all’americana. Se Louise è costretta più volte a cambiare la marca di vodka al market perché troppo costosa, conosce Michel e vi riconosce un killer proprio dalla pistola che di peso gli cade da sotto la giacca e decide di affidarsi a lui, nonostante l’incapacità dimostrata anche nel semplicissimo compito di ritrovare la sua roulotte/ufficio, è evidente allora come l’ironia e la comicità nascano proprio dall’inettitudine dei protagonisti, dalla loro dolente ma silenziosa disperazione. La loro strampalata e rocambolesca caccia al grande capo assume neanche troppo celatamente la forma di una lotta di classe che schiera da una parte i disperati senza un soldo e dall’altra i padroni, che per evadere il fisco si rifugiano in introvabili ville paradisiache munite di piscina. L’assenza di una qualsivoglia legge morale, però, è trasversale a entrambi gli schieramenti: i tentativi di Michel di far uccidere l’imprenditore da malati terminali è in realtà il goffo tentativo di scaricarsi delle proprie colpe.
Se in più di qualche momento si ha l’impressione di essere stati intrappolati in un gioco causticamente affascinante, lo si deve in parte all’attenzione registica verso la composizione dell’inquadratura, che spesso fa dialogare i diversi livelli al suo interno e che sceglie punti di vista inconsueti aggiungendo sostanza allo straniamento comico, come nella scena iniziale del rito di cremazione. Non è un caso che il film inizi con un funerale e si concluda su una nascita. Ma le speranze per il futuro sono già morte, se anche per i nuovi nati “saranno i padroni a decidere il sesso”.
TITOLO ORIGINALE: Louise-Michel; REGIA: Gustave de Kervern, Benoît Delépine; SCENEGGIATURA: Gustave de Kervern, Benoît Delépine; FOTOGRAFIA: Hugues Poulain; MONTAGGIO: Stéphanie Elmadjian; MUSICA: Gaëtan Roussel; PRODUZIONE: Francia; ANNO: 2008; DURATA: 94 min.
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