Da Doppio sogno a Eyes Wide Shut: il doppio labirinto PDF 
di Barbara Rossi   

Potremmo domandarci cosa significhi, - dissi - Ma non lo faremo, vero? (1)

Mi ha chiesto di raccontargli le mie esperienze di prostitute e di orge […]. Ma quello che gli interessa è sempre l'ambientazione, la meccanica di queste cose, non quello che si è provato (d'altra parte come si possono filmare i sentimenti?). Si fa beffe del mio desiderio che la sceneggiatura abbia una struttura - che non avrà - ma la forma (o la distorsione della forma, come in "Full Metal Jacket") è la sua unica difesa contro il caos e l'incertezza.
Si è convinto che la nostra salvezza sta nel seguire le indicazioni di Schnitzler; se qualcosa non va bene, è perché si allontana da "Arthur".
All'inizio mi aveva dato l'impressione di potermi prendere ogni genere di libertà (anche far separare Bill e Alice), ma ora che l'innesto newyorchese ha funzionato, vuole che la traduzione sia il più fedele possibile.
(2)

Secondo la testimonianza di Frederic Raphael - sceneggiatore di "Eyes Wide Shut" - da più di vent'anni Stanley Kubrick desiderava trarre un film dalla "Traumnovelle" di Arthur Schnitzler.
Finalmente, dopo svariate vicissitudini e trattative con le case di produzione americane, a dodici anni di distanza dal suo ultimo lavoro, Kubrick realizzò una pellicola che richiese al suo sceneggiatore ben due anni per la sola stesura su carta. Sempre secondo Raphael, le difficoltà maggiori incontrate durante l'elaborazione della sceneggiatura si coagularono proprio intorno al perfezionismo maniacale del regista, il cui motto era: seguire Arthur.
Kubrick, che lungo tutta la sua carriera aveva sempre avuto modo di misurarsi con i problemi legati all'adattamento cinematografico (essendo la maggior parte delle sue opere di derivazione letteraria), decise per l'ultimo suo film di rimanere particolarmente fedele alla fonte, l'ambigua novella schnitzleriana del 1926, incentrata sugli smarrimenti paralleli di una coppia borghese nella Vienna d'inizio secolo.
Schnitzler e Kubrick - il grande letterato e il geniale regista - avevano sicuramente molto in comune: fra le altre cose, le origini ebraiche e il comune interesse verso la psicoanalisi (di matrice freudiana nel primo, junghiana nel secondo), fattore - quest'ultimo - che spinse entrambi, nelle loro opere, ad addentrarsi in quelle remote regioni della psiche troppo spesso trascurate o dimenticate; Mittelbewusstsein o Halbbewusstsein, il semiconscio o medioconscio, come lo chiamava Schnitzler.
L'autore viennese era - però - per forza di cose, semplicemente un narratore (seppur degno di ogni rispetto): Kubrick, invece, voleva mostrare, non raccontare. Preferiva lasciare allo spettatore il compito di indovinare le motivazioni e la "psicologia". Non era mai esplicito su quello che "voleva dire". L'ambiguità lo lasciava libero e privo di responsabilità. (3)
Kubrick amava portare il proprio spettatore al cuore delle cose: in lui è rintracciabile una vera e propria teoria dell'occhio, con tutte le problematiche sui limiti della visibilità cinematografica e sul ruolo spettatoriale ad essa collegati.
Mentre Schnitzler, dunque, da narratore onnisciente, impone al lettore il rigore di una visione "oggettiva", Kubrick ribalta le regole dei generi in modo da permettere allo spettatore di attraversare lo specchio, come l'Alice del libro di Lewis Carroll, e la sua omonima in "Eyes Wide Shut" (assai eloquenti si confermano - a questo proposito - il microscopico spostamento dello sguardo della seconda Alice proprio lungo la superficie del medesimo, e la posizione della macchina da presa durante la lunga scena della discussione in camera da letto nel film).
Detto (e sottolineato) questo; ribadite alcune, comunque marginali, differenze tra il testo di Schnitzler e il film di Kubrick, del resto inevitabili in ogni adattamento e, per altro, risolte sul piano narrativo (pensiamo, ad esempio, alla diversa caratterizzazione fisica di Nick Nigtingale, l'amico di Bill in "EWS", rispetto al Nachtigall della novella; all'ambientazione, invernale nel film e quasi primaverile nel racconto; all'introduzione in "EWS" del personaggio di Ziegler, assente da "Doppio sogno", con evidente quanto discussa funzione chiarificatrice); in ultima analisi, possiamo proprio dire che - paragonando le due opere - è più facile rintracciare in esse affinità che differenze.

In effetti, ad un esame più attento, anche quelle che appaiono come delle diversificazioni abbastanza fondate tra la pellicola e la novella (l'opposizione tra la New York schnitzleriana e la Vienna kubrickiana; la scena dell'orgia, in "EWS" più distesa e ricca di particolari, di grottesche quanto ambigue "appendici"; il finale aperto del film, con quella fulminante battuta finale di Alice, solo fintamente innocente e, senza dubbio, assai meno consolatoria della conclusione del racconto di Schnitzler), si rivelano semplici distonie dovute alla perenne sovrapposizione di due universi paralleli i cui labirinti si intrecciano e si confondono senza sosta, e i cui bordi sfilacciati sono condotti in via estrema a combaciare.
Il film, dunque, riflette la novella, che - a sua volta - pare rimbalzare su di esso come su di una superficie piana: sulle sue antiche, ma ancora solide radici, Kubrick innesta (e dà libero sfogo) alle sue magnifiche ossessioni.
Dice, a questo proposito, Sandro Bernardi: La New York stanca, sporca, violenta, ridotta a un arcobaleno d'immagini, a un'immensa fantasmagoria, dove tutto sta al posto di tutto, senza che ci sia un centro, appare come l'erede e la continuazione logico - cronologica della Vienna scintillante di allora.
Chiuso fra queste due grandi capitali, la prima piena di promesse, la seconda invece di tradimenti e di inganni, il secolo è giudicato. Le grandi speranze di partenza del Novecento trovano una messa in scena che assomiglia molto a una pietra sepolcrale.
Collegando New York alla Vienna schnitzleriana, Kubrick sembra intenzionato a chiudere il secolo dentro queste metropoli dell'illusione e della disillusione, mostrando la morte che sta nascosta - come sempre -
dietro il canto delle sirene. (4)
Canto delle sirene e - aggiungiamo noi - canto del cigno: il riferimento non è solo alla crisi del Novecento di cui, a ragione, parla Bernardi; il definitivo trait d'union fra Kubrick e Schnitzler consiste, a nostro parere, nella comune visione dell'esistenza, all'insegna dell'assurdo, del dramma e di una acutissima mancanza di senso.
Destituita la città di tutto il suo potere fantasmagorico, Kubrick rimette al centro della vita dell'uomo il cuore di tenebra, o di luce, che è irraggiungibile ed eternamente presente: per vedere bene bisogna chiudere gli occhi, come diceva Kafka a Janouch. (5)

1. Frederic Raphael, Eyes Wide Open, introduzione di Marco Giusti, Einaudi Tascabili, Torino, 1999, cit., p. 187.
2. Ibid., pp. 167 - 168.
3. Ibid., p. 122.
4. Sandro Bernardi, Kubrick e il cinema come arte del visibile, Editrice Il Castoro, Milano, 2000, cit., p. 17.
5. Ibid., pp. 20 - 21.

 


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