Into the wild: la natura selvaggia di Sean Penn PDF 
Doriella Rutigliano   

Dopo una lunga gestazione, l’anti-sogno americano di Sean Penn è finalmente diventato pellicola. Sin da quando la notizia del giovane Chris McCandless, ritrovato morto in Alaska dopo due anni di peregrinazioni, uscì sui giornali, molti prestarono attenzione alla vicenda, primo su tutti il giornalista John Krakauer, che riuscì ad addentrarsi nella famiglia del giovane vagabondo e che, anche grazie alle lunghe chiacchierate tenute con la sorella di Chris, scrisse un libro che divenne subito un best seller. Libro che, naturalmente, non sfuggì al regista politicamente scorretto Sean Penn che, in seguito a lunghe peregrinazioni simili nello spirito a quelle di McCandless, riuscì dopo dieci anni a ottenere i diritti e a farci finalmente un film.  Un best seller venduto in tutto il mondo, una cultura hippy risalente agli anni 60 che trova ancora oggi focolai in molte zone degli Stati Uniti, la letteratura On the Road di Jack Kerouac e della beat generation: c’è tutto questo nel background di Into the wild. C’era il rischio di dare forma a un film basandosi su questi cliché, eppure Sean Penn è riuscito a superare tutti i suoi modelli e a incarnare spiritualmente e graficamente l’eroe del suo viaggio Chris McCandless.

La storia che racconta è semplice: un ragazzo di famiglia borghese lascia la sua vita piena di agi e ricchezze per avventurarsi nella natura e raggiungere l'Alaska. Ma non è solo un capriccio da figlio viziato: quello che ci racconta Penn è un vero e proprio inno alla libertà, al vivere senza condizionamenti e convenzioni, uno smacco a tutti i valori fortemente pubblicizzati dalla società americana. Bruciare i soldi, rifiutare una macchina nuova per il diploma, rinunciare a un’istruzione superiore sono l’esatto contrario di tutto quello che il cinema statunitense ci ha abituato a vedere, e tramite il quale ci ha fatto conoscere il cosiddetto “sogno americano” . Il giovane Chris, soprannominatosi Alex Supertramp, decide invece di mettersi in viaggio: non importa quale sarà la sua meta, l’importante sarà il percorso, che lo condurrà infine tra le montagne dell’Alaska e che gli permetterà di conquistare le varie tappe della crescita di un uomo (che corrispondono ai capitoli nei quali è suddiviso il film) fino a raggiungere la saggezza. Sul suo cammino Alex troverà nelle persone che incontrerà quell’affetto familiare che gli è mancato e che cerca inconsapevolmente in tutti gli sguardi che incontra: finirà così per sfiorare l’amore, trovare un fratello maggiore (una sorprendente interpretazione di Vince Vaughin), essere quasi adottato da un vecchio solitario che gli fa un po’ da nonno, un po’ da padre, trovare nelle braccia di una hippy il calore materno. I vari personaggi che fanno da comprimari ci svelano poco per volta la loro storia, ne assaggiamo i drammi, il loro passato e le loro sofferenze, ma solo quel tanto che basta ad Alex per continuare il suo viaggio. Solo, tra le montagne del Nord, con l’unica compagnia dei suoi libri, Alex imparerà la più grande lezione della vita: la felicità non serve a niente se non è condivisa.

Co-protagonista per tutto il film è il grande paesaggio americano, dimenticato un po’ dal più recente cinema statunitense in favore di ambienti claustrofobici e metropolitani, è qui ritrovato grazie all’ottima fotografia del francese Eric Gautier, che ritrae vaste campagne e gelidi ghiacciai con la medesima voglia di libertà che pervade tutto il film. Sean Penn non sbaglia nulla nella regia: riesce a reinventare il genere classico alternandolo con split screen e immagini fisse, narrando la storia a ritroso con numerosi flashback che, incredibilmente, non tolgono nulla alla fluidità del racconto. Perfetto nella sua prova sia fisica che artistica il giovane attore Emile Hirsch, così come Eddie Vedder, che con la sua voce ha saputo riscrivere la sceneggiatura in musica. Non importa come il film finisca, come la storia di Alex si fermi in quell’autobus in Alaska: ciò che rimane è il ritorno impossibile, la sconfitta dell’uomo contro quella natura così effimera nella quale aveva cercato rifugio. È proprio in questo finale che Sean Penn scaccia dalla sua opera tutti i riferimenti di cui sopra: non è il già citato vagabondo controcorrente, è qualcosa di più, è un invito a saper vivere. Nella società o nella natura, poco importa.

 


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