La bocca del lupo PDF 
Gianmarco Zanrè   

Non è la prima volta che, pensando ad un film, il richiamo istintivo va a L’uomo che uccise Liberty Valance di John Ford. L’apice di una delle epopee simbolo della storia del western si consuma in una battuta divenuta storica: “Nel West, quando la leggenda incontra la realtà, vince la leggenda”. Ebbene, con gli anni pare sempre più facile affermare il contrario, mostrando quanto di vero vi fosse nella celebrazione di un mito al tramonto omaggiato da uno dei maestri indiscussi della settima arte, e non solo americana. Nella vita è la realtà a vincere, su ogni frontiera o mito.

E così accade, inevitabilmente, anche affrontando la visione del film vincitore dell’ultimo Festival di Torino, La bocca del lupo, dove Pietro Marcello, che sfoggia un talento indiscusso, riesce al contempo a dimostrare quanto la vita e la sua potenza espressiva siano di gran lunga superiori a qualunque artificio di matrice artistica, ben confezionato che sia. La bocca del lupo, in questo senso, scopre il fianco a un duplice volto: da un lato una sofisticata, profonda, magica interpretazione della città della lanterna, una dichiarazione d’amore ad una delle realtà urbane più affascinanti e ricche di storia del Bel Paese, e dall’altro, l’amaro, e al contempo dolcissimo ritratto di un amore nato, alimentato e cresciuto in una delle molte realtà che Edward Bunker definirebbe “animal factory”. Il mito è rappresentato, senza dubbio, dalla presenza quasi fisica di Genova, città dai mille volti, musa dell’indimenticato De Andrè e teatro dei terribili avvenimenti del luglio 2001, Repubblica marinara e sordido intrico di vicoli, rifugio di esistenze al limite, di vite facilmente spezzate. La realtà dal legame tra Enzo e Mary, coppia formatasi dietro le sbarre di una prigione, legata ad una forma fin troppo tradizionale di ruoli ricoperti da uomo e donna e al contempo il più lontana possibile da ogni schema usuale di rapporto a due.

Una voce fuori campo, ispirata da immagini senza tempo, ci guida come un mantra nei meandri dello spazio sociale e vitale di una città che pare respirare con il mare, legata ad un tempo antico così come alla modernità, alla vita come alla morte. Le testimonianze di due persone, errori ed amori, per come la strada e loro stessi hanno voluto, nella semplicità di una visita guidata da un occhio indiscreto e quasi impercettibile. Viene il dubbio, ripensandoci, che Pietro Marcello, con tutto il suo talento, soffra, registicamente parlando, di personalità multipla. Ad un’analisi più fredda e razionale, infatti, la sua opera appare quasi in conflitto con lo spirito stesso che la anima: da un lato un approccio fin troppo artistico, sofisticato, aereo; dall’altro la cruda realtà della strada per come la vive chi davvero la vive giorno per giorno, sperando di sopravvivere abbastanza per poter coltivare un sogno che significa davvero qualcosa solo per chi lo prova sulla pelle, lo insegue, lo stringe. E per chi, in alcuni casi, per quel sogno pare quasi disposto ad uccidere. Uccidere come nella scena più impressionante, importante, inarrestabilmente “Genova” della pellicola: una notte in un bar dall’atmosfera squallida, nel cuore della città dei vicoli, dello spirito del porto. Enzo è al bancone, scherza con le donne, mostra il suo fascino di uomo crudele e vulnerabile ad un tempo, fino a quando non viene provocato. È quasi un gioco, eppure il fuoco di quell’“animal factory” s’infiamma, ed è solo un istante perché il nostro protagonista, mai così vero, minacci il suo provocatore, con una facilità ed una freddezza che possono conoscere soltanto uomini che hanno vissuto fra quelle mura, che sono stati arbitri, almeno una volta, del destino di altri uomini. Uomini fragili, ma quasi immuni alla paura. Di essere uccisi, ma ancor più di uccidere. Una sequenza dalla forza impressionante, capace di risollevare le sorti di una pellicola quasi addormentata da un eccesso di autorialità che Genova e la sua storia non necessitano, proprio perché profondamente e stabilmente ancorati ad una realtà “di porto”.

Conferma di questa curiosa, quasi incompatibile dualità è lo splendido ritratto della coppia che viene consegnato al pubblico nel corso della lunga sequenza che conduce alla chiusura della pellicola, splendido spaccato di una realtà che amara non appare neppure lontanamente ed esempio perfetto di quanto una regia invisibile possa essere più funzionale ed incredibilmente efficace di una scelta senz’altro più “artistica” e visivamente accattivante. Enzo e Mary, nel raccontarsi, mostrano senza timore tutte le caratteristiche di una coppia di innamorati giunti al principio della vecchiaia e tuttavia ancora mossi da una passione che pare quasi indomabile, che si traduce nella dolcezza di Mary e nell’ingenuo esibizionismo maschilista di Enzo, che chiede alla sua compagna di testimoniare quanto la sua presenza fosse garanzia di incolumità per lei, in galera. Un racconto che provi il suo amore anche quando è sprigionato chiaramente da ogni gesto, e nel solo vederli uno accanto all’altra.

Un’opera a metà, questa di Pietro Marcello, che, da qualunque lato la si voglia osservare, sembra dar ragione all’assunto di John Ford: il mito dell’arte e della narrazione ad effetto soffoca infatti tutta la potenza della parte più documentaristica dell’opera, e la realtà nella sua cruda bellezza si dimostra troppo grande per l’elemento “fiction”, inserito per dare una cornice, un introduzione ed un epilogo all’intero spaccato di vite all’interno del quale indaga il regista. Quasi Marcello non avesse fiducia nella sua capacità di narratore ed avesse bisogno di un espediente per accattivarsi il pubblico, anche quando appare chiaro fin dal primo fotogramma in cui compaiono che Enzo e Mary sono fatti per stare insieme, anche, e soprattutto, di fronte alla macchina da presa. Soprattutto quando quest’ultima mostra il suo meglio non mostrandosi. Un gioco di apparenze, dunque, che trova la sua risposta nell’essenza di una storia d’amore che è diversa da tutte le altre, eppure incredibilmente, meravigliosamente normale. La speranza è che, con il prossimo passo, il primo ad avere più fiducia sia proprio chi della storia è artefice e narratore.

TITOLO ORIGINALE: La bocca del lupo; REGIA: Pietro Marcello; SCENEGGIATURA: Pietro Marcello; FOTOGRAFIA: Pietro Marcello; MONTAGGIO: Sara Fgaier; MUSICA: ERA; PRODUZIONE: Italia; ANNO: 2009; DURATA: 76 min.

 


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