L’amore ritorna PDF 
di Paolo Fossati   

Le invenzioni narrative di Sergio Rubini si mimetizzano tra le immagini. Slittamenti e traslazioni per raccontare la propria biografia da punti di vista nuovi, esterni al ruolo di protagonista, sono dinanzi agli occhi degli spettatori. Il regista dissemina tracce del proprio passato, come già aveva sperimentato in Tutto l'amore che c'è (2000), che si rivelano con discrezione, solo indagando in profondità.

La storia (sceneggiata con Domenico Starnone e Carla Cavalluzzi) è quella di un momento difficile nella vita di un attore di successo, Luca (Fabrizio Bentivoglio), e delle conseguenze dei suoi problemi di salute che si riflettono su una lunga serie di collaboratori. Una malattia improvvisa sospende la sua corsa vitale, come uno schianto. Si inceppa un ingranaggio e la macchina-cinema si blocca. L'anelato esordio alla regia, ad un passo dal compiersi, sembra svanire come un miraggio all'orizzonte. Visto da un letto d'ospedale, il progetto di trasformarsi in regista appare sfocato ed anche la carriera d'attore di Luca è in pericolo.

I temi sono autobiografici, ma ridurre l'analisi dell'opera ad una ricerca di riflessi di vita privata dell'autore tra i fotogrammi sarebbe un esercizio sterile. Il fulcro dell'operazione narrativa è certamente rappresentato dal protagonista, Luca, subito riconosciuto dal pubblico come alter ego di Rubini: personaggio con le sue stesse origini pugliesi e la medesima professione alle spalle. Accontentarsi di questo punto di vista però obbliga ad interpretare tutti gli altri personaggi secondo la logica prestabilita delle associazioni binarie vita-film: Sergio Rubini coincide con Luca, Alberto Rubini (vero padre di Rubini) con il padre di Luca, Margherita Buy (ex moglie di Rubini) con l'ex moglie di Luca. I ruoli sono - davvero - così ripartiti, ma non si tratta di una scelta didascalica o eccentrica, bensì una sorta di dissolvenza incrociata tra realtà e cinema.

Il meccanismo sembrerebbe così smontato e rimontato senza difficoltà, ma un ultimo tassello, molto interessante, rimane sul fondo della scatola di questo puzzle e si manifesta rivelatore per la ricostruzione dell'intero scenario quando inserito al proprio posto: Sergio Rubini, oltre che metteur en scène, è attore nel proprio film. Interpreta Giacomo, un amico del protagonista Luca. E' un ruolo delicato, da confidente. Non è certo un antagonista, ma rappresenta un mondo ormai distante da quello in cui vive Luca, il quale, prima della malattia, cerca persino di evitare e liquidare Giacomo come un conoscente di vecchia data che gli ricorda un capitolo chiuso della sua vita. Giacomo è ultimo baluardo delle sue origini. E' la chiave di uno scrigno da riaprire. Ecco quindi, nel cuore del testo e dell'autore, il nodo della questione: se Luca è l'alter ego di Sergio Rubini e Giacomo ne è il confidente, allora il regista/attore Rubini sta giocando a dirigere un film in cui interpreta il ruolo del miglior amico di se stesso, la persona con cui ha condiviso l'adolescenza e che ha perso di vista in età adulta. Un essere paradigmatico che riassume tutte le caratteristiche dell'uomo che lui non è diventato. Un amico che non ha intrapreso una carriera illuminata dai riflettori, ma ha seguito un corso di studi più tradizionale ed ora è un medico, sposato e padre di famiglia: nient'altro che l'opposto di Luca, malato, divorziato e desideroso di tornare con l'ex moglie che però aspetta un figlio da un altro uomo. Dinanzi al proprio successo assediato dalla malattia, Luca riflette sulla vita "normale" a cui ha rinunciato e Giacomo ne è la prova vivente, tangibile ed umana (non considera la propria vita idilliaca, ma - ironia della sorte - si incanta idealizzando la fama di Luca).

Il film, quindi, mette in scena due uomini ipoteticamente nati dalle scelte di vita dello stesso ragazzo, due possibilità parallele, per dirla con Andrea De Carlo , e per questo teoricamente condannate a non incrociarsi mai. Due possibilità che, invece, nella finzione cinematografica si ritrovano a confronto e iniziano a dialogare in quel limbo rappresentato dalla malattia, nel quale non manca il tempo di pensare. Entrambi alter ego del regista, i due si salvano a vicenda: l'uno dalla frenesia e dai rimorsi di ciò che ha già perso, l'altro dalla noia e dalla routine di una normalità che sta per nausearlo. Emblematica la scena della fuga dall'ospedale, dove si sovvertono le regole: Giacomo corre per le strade spingendo la barella di Luca (caduto nelle mani di medici che fraintendono le cause della sua malattia) verso una nuova cura che lo salverà. Il ricongiungimento è compiuto, si invertono le parti, Giacomo ha il coraggio di un gesto azzardato, Luca si lascia trasportare abbandonandosi ad una decisione altrui. Una ragazzina venuta dal passato guida i due alter ego dell'autore, finalmente riuniti. L'Amore ritorna ed apre loro la strada come in un sogno: è un giovane spirito femminile messo in scena valicando il confine del realismo, non per conferire gratuitamente magia alla storia, ma per esplicitarne quella nascosta sotto la superficie.

Sergio Rubini racconta caricando le immagini con un risvolto onirico discreto. Crea con il cinema un modo di narrare che non trascende la realtà, ma la arricchisce e ne dipinge particolari delicati che solo dopo la riflessione si possono scorgere. Così come un testo, recitato dalla giusta voce, assume i toni della poesia, anche i molti spunti autobiografici del film si legano in un'armonia che li trasforma in archetipi di situazioni, piuttosto che confinarli a meri fatti contingenti della vita di un uomo. Il pensiero corre inevitabilmente al giovane Rubini che nel 1987 recitava con Federico Fellini in Intervista: senza azzardare paragoni che intreccino i due film, non si può neppure trascendere l'idea che una sorta di eredità culturale sia stata tramandata dal grande maestro al giovane attore pugliese, almeno per quanto riguarda un'idea di cinema come luogo di riflessione e di racconto di eventi contaminato dai sogni. Cinema come spazio dove l'accaduto incontra il possibile. Tempo, per lo spettatore, apparentemente sospeso nell'inazione, in cui si elaborano spiegazioni per il passato e strategie per il futuro.
Nasce, da questa "sospensione" di un ritmo vitale programmato, un parallelismo tra l'idea di malattia ed il cinema: Giacomo per rassicurare Luca dice che "la malattia non è un'interruzione dell'esistenza, ne fa parte". Le ore passate nel buio di una sala non sono una pausa nella vita dello spettatore, ma dei momenti di confronto con il mondo che si racconta sullo schermo e di riflessione sul reale che ha prodotto quelle immagini. Protagonista della malattia, l'uomo, diviene spettatore della propria vita. Finalmente si guarda, impara a direzionare il proprio sguardo, cosa che nel film accade a tutti i personaggi che soffrono per la sorte di Luca: focalizzano la propria situazione e imparano a scegliere. Luca, guarito, impara anche a comprendere le ragioni degli altri.

 


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