Vallanzasca - Gli angeli del male PDF 
Andrea Mattacheo   

Vallanzasca è un film di Michele Placido, e questo spiega gran parte dei suoi problemi. La volontà di fare della storia del bandito Renato un affresco della realtà italiana tra i Settanta e gli Ottanta si infrange contro l’inconsistenza di una regia priva di sensibilità estetica, oltre che di un qualunque senso del tempo e dello spazio cinematografico. Nel dare forma alla sua rise and fall of a man Placido pensa evidentemente a Martin Scorsese. Ammesso però che sia possibile “fare Scorsese”, non bastano certo qualche piano ravvicinato di sigarette in fiamme, un paio di scene “montate strane” o sequenze veloci di “soldi che girano”. Le sue immagini rimangono sterili, prive di orizzonte, parti di un disegno troppo debole, confuso, probabilmente assente. Come in Romanzo Criminale, a mancare qui è proprio ciò che dovrebbe avere un buon regista: una visione del mondo che si adatti al mezzo.

Solo negli attimi più privati e intimi, nei quali forse si intravede la scrittura piuttosto delicata di Kim Rossi Stuart, il film sembra acquistare la forza per poter dire qualcosa di insolitamente vero. Il Renato Vallanzasca ragazzino e poi uomo solo, innamorato e padre, per qualche istante possiede un respiro più ampio, quello che avrebbe meritato la sua commedia tragicamente umana. Anche questi momenti però si perdono nella confusione di una messa in scena senza centro, dove la scrittura a più mani non è mai in grado di farsi organica perché ad organizzarla dall’alto non c’è nessuno. La vicenda di Vallanzasca sarebbe potuta diventare una straordinaria metafora di alcune delle  mutazioni radicali avvenute nell’Italia degli ultimi trent’anni: l’imporsi nelle periferie urbane di modelli di ricchezza e potere prima sconosciuti, la depoliticizzazione del proletariato, la violenza di classe che si trasforma in violenza dei singoli, volti a migliorare esclusivamente la propria condizione. La storia di “René” è stata quella del trionfo di Narciso. Un Narciso terreno, debole, incapace di lasciarsi morire perché troppo umano. La cui caduta non fu poesia ma solo dolore, squallore e sangue. Un soggetto già perfettamente strutturato per quella “new epic” di cui le narrazioni italiane dovrebbero avere fame. Tutto questo potenziale in Vallanzasca rimane però  inespresso e il film scorre per due ore lasciando indifferenti, tra scene più o meno riuscite ma ugualmente incapaci di andare oltre la superficie del mondo che vorrebbero raccontare. Gli eventi narrati si susseguono, giustapposti l’uno all’altro “senza scarti, senza eccedenze, senza quel di più che definisce l’epica e che rende ogni elemento più denso, più carico, più vivido e al tempo stesso più sfuggente, difficile da definire e contornare” (1). 

Un racconto dal cuore profondo della contemporaneità italiana per essere etico oltre che epico dovrebbe “curare il nostro sguardo, rafforzare la nostra capacità di visualizzare”, dovrebbe porre domande sulla guerra che, “noi tutti”, stiamo combattendo. In Vallanzasca il fronte è lontano, non ci appartiene né ci interroga, ci lascia tranquilli, in pace (2). Il Renato del film non possiede alcuna carica perturbante, perché non c’è in lui quella tensione tra familiare ed estraneo che la genera. Finisce così per non avere alcun fascino al di fuori di quello del suo, pur bravo, interprete. A mancare è la capacità di trovare le ragioni del male in qualcosa di vicino e perciò ancor più terrificante. Ciò che Truman Capote con A sangue freddo era riuscito meravigliosamente a fare, scovando le radici della follia omicida nascoste nella pacificata società americana degli anni Cinquanta, proprio dove nessuno le voleva vedere (3). Il male era ovunque intorno a Perry Edward Smith e Richard Eugene Hickock (4), in ciò stava il suo scandalo, la sua insostenibilità e il suo bisogno di essere raccontato. Intorno al Vallanzasca di Placido invece sembra non esserci nulla.

Note:
(1) Wu Ming, New Italian Epic. Letteratura, sguardo obliquo, ritorno al futuro, Einaudi, 2009 p. 72
(2) Qui, come sopra, si veda Wu Ming, New Italian Epic. Letteratura, sguardo obliquo, ritorno al futuro,  Einaudi, 2009 p. 60
(3) Parlo non a caso di Truman Capote, citato in apertura del film e il cui romanzo A sangue freddo viene letto in carcere da uno dei protagonisti (Francis Turatello)
(4) Sono i due giovani autori del massacro della famiglia Clutter avvenuto a Holcomb nel Kansas il 15/11/1959, la cui vicenda sta al centro del libro di Truman Capote In Cold Blood, 1966, ed. It. A sangue freddo, Garzanti 2005 

TITOLO ORIGINALE: Vallanzasca - Gli angeli del male; REGIA: Michele Placido; SCENEGGIATURA: Andrea Leanza, Antonio Leotti, Michele Placido, Kim Rossi Stuart, Toni Trupia; FOTOGRAFIA: Arnaldo Catinari; MONTAGGIO: Consuelo Catucci; MUSICA: Negramaro; PRODUZIONE: Italia; ANNO: 2010; DURATA: 125 min.

 


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