Un giorno quest’America PDF 
Paolo Fossati   

Almanacco di curiosità? Breviario di suggestioni fugaci? Il libro di Roberto Faenza è un diario di viaggio, una raccolta di appunti americani annotati durante le riprese del suo ultimo film Un giorno questo dolore ti sarà utile, girato a New York. Se apparentemente il volumetto, pubblicato da Aliberti Editore, appare una trascrizione in forma cartacea di un (mancato) blog, è però vero che rinunciare alla comunicazione “istantanea” è una scelta in linea con l’attività di montaggio tipica di chi realizza film. Faenza rinuncia alle gioie (e ai dolori) dell’ipertesto, ma mantiene la libertà di frammentare e ri-assemblare i propri pensieri in una seconda fase. Tra le righe è riassunto lo stupore di un regista italiano alle prese con l’universo produttivo degli Usa. Il confronto con la nostra condizione endemica di provincia dell’impero è evidente.

Il libro traccia una panoramica di quella che, quasi al termine di un mandato presidenziale, possiamo ormai definire l’America “di Obama”, con le sue contraddizioni, ma anche una serie di eccellenze dalle quali sarebbe utile prendere ispirazione per risollevare le sorti del nostro Paese. È l’ennesima “lezione americana” di Faenza, che da anni frequenta gli Stati Uniti per impegni professionali e docenze universitarie. E che a New York, nel 1983, girò Copkiller (distribuito in Usa con il titolo Corrupt), dirigendo Harvey Keitel e Johnny Rotten, il leader dei Sex Pistols. Una lettura piacevole, ricca di informazioni sugli aspetti produttivi del cinema, interessanti soprattutto per “cinefili non addetti ai lavori”, insomma chi di solito si gode il film e ne analizza  principalmente le dinamiche interne alla narrazione, non alla realizzazione. Leggendo Faenza la sensazione è però quella di un piacere ambiguo e sincopato. La brevità degli aneddoti non lascia spazio all’approfondimento che ci si aspetterebbe (anche se si trattasse di un e-book, non è questione di carta, ma di formato: un libro è una promessa, i lettori si aspettano più di un elenco di appunti). Sornione, in bilico tra flusso di coscienza e gusto per la presunta perla di saggezza, il testo allinea curiosità gradevoli con opinioni lapidarie. Ad esempio quella sull’inutilità della critica cinematografica, professione che davvero sembra in via d’estinzione, ma andrebbe promossa e proposta alle nuove generazioni come esercizio di sviluppo dell’attività analitica. Del resto il coro di giovani e adulti messi in scena nel film tratto dal romanzo di Peter Cameron, Un giorno questo dolore ti sarà utile, ha in comune una continua deriva dello spirito critico: vedono il mondo e credono di capire tutto, senza pensare di aver bisogno di osservare con cura i particolari e le dinamiche delle situazioni. Il protagonista, invece, mette in discussione il proprio intuito e solo dopo un lungo lavoro di ricerca interiore, autocritica e analisi ottiene una vera opinione sulla vita. In questo parallelismo con il film si sintetizzano le speranze del lettore di Un giorno quest’America e un pizzico della sua disillusione nel rilevare la mancata fiducia dell’autore nella professione critica e il suo individuarne una causa nello sviluppo del web: pensare a internet come a un mare magnum dove chiunque può scrivere ciò che desidera senza superare filtri editoriali significa considerare solo la superficie di un fenomeno multiforme, nel quale esistono spazi regolamentati che ospitano contenuti di qualità. Il fatto poi che in rete, spesso, i testi siano diffusi gratuitamente non è indicativo per giudicarne il valore o considerarli inutili.

Meno di un affresco e più di un album d’immagini su Facebook, Un giorno quest’America è un’opera costituita da “Polaroid”: un insieme di scatti istantanei, ma non immediatamente disponibili allo sguardo. Fotografie di sensazioni che hanno avuto bisogno di un periodo per svilupparsi, prima di esporsi alla vista altrui: un breve tempo d’attesa, utile a metabolizzare la materia osservata. Verosimilmente Faenza aveva bisogno di mediare le emozioni provate in viaggio con le impressioni del ritorno in Italia. Forse, come il protagonista del suo film, ha tentato l’esercizio di raccogliere ogni esperienza con la speranza che un giorno tornasse utile, rifiutando quindi la divulgazione usa e getta dei propri pensieri tipica (questo bisogna dirlo) della contemporaneità e diffusa in ambiente web. La forma-libro aiuta i pensieri a sedimentare, diviene un vademecum. Resta solo un grande dilemma, ripensando al richiamo al futuro annunciato dal titolo del testo: la pubblicazione cartacea storicizza l’esperienza inserendola a ragione nel presente come un’opera, ma un diario digitale su internet, oltre a consentire immediatezza, avrebbe offerto ubiquità e, soprattutto, promessa di eternità. La domanda finale che sorge spontanea dopo la lettura coincide, allora, con un suggerimento: perchè un intellettuale italiano come Faenza non pensa, ora, di proseguire l’esperienza narrativa scrivendo un blog per commentare la realtà e le dinamiche dello scenario culturale sfidando la simultaneità degli eventi? Sarebbe un buon modo di dare un seguito all’attività iniziata con questo libro, che diverrebbe così l’incipit di una nuova era comunicativa per l’autore. Per analisi più sistematiche e fuori sync potrà sempre affidarsi al cinema.

Titolo: Un giorno quest'America. Diario avventuroso di un regista italiano nell'America di Obama; Autore: Roberto Faenza; Editore: Aliberti; Anno: 2012; Pagine: 155; Prezzo: 14,50€

 


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