Donkey Xote PDF 
Angela Cinicolo   

Per chi pensava che i cavalier, l’arme e l’amor fossero temi superati dai fantasy e dai graphic movies ben più in voga è arrivato il momento di cambiare idea. A smuovere trend ormai consolidati, una spinta arriva proprio da un genere spesso tacciato di leggerezza, d’infantilismi e d’intenti palesemente pedagogici: l’animazione. Il cartone, rigenerato dalla computer grafica e dalla 3D, vive una fase nuova, oseremo dire in linea con i cambiamenti, cui presta ascolto e cui si adegua senza mai però alterare la sua qualità e le sue caratteristiche di sempre. Cambia pelle con la realizzazione e la resa visiva, ma cambia anche le ossa: mutano i contenuti, i toni e il target. Il film d’animazione non è più sola affabulazione che incanta i bambini e gli svela la lotta difficile tra bene e male. Il film d’animazione non è più sola azione con supereffetti speciali che "stona" i ragazzini e gli rappresenta supereroi dotati di superpoteri astrali capaci di tutto. Il film d’animazione, come il cinema in generale, subisce, ed escludiamo le accezioni negative del verbo, le contaminazioni con gli altri generi, narrativi e filmici, e le alterazioni delle sue storie, dei suoi personaggi, delle sue ambientazioni rispetto a quelle tradizionali firmate Disney, a quelle ammiccanti siglate Warner e a quelle postmoderne e futuristiche della innovativa Pixar. L’animazione avverte la necessità di un cambiamento. Ed ecco allora, tra le ultime uscite, il protagonista di una serie tv impegnato in un road cartoon di scoperta e riscoperta delle piccole cose, al di là dei poteri straordinari che la fiction gli aveva attribuito (il cagnolino Bolt, un eroe a quattro zampe), il sequel di un cartone che metteva in discussione i valori tradizionali recintati nella grande metropoli come nelle commedie di Woody Allen (Madagascar), l’exploit della fascinazione dall’Estremo Oriente e dalle arti marziali, filone inaugurato al cinema dal mito di Bruce Lee e rinverdito da Tarantino (Kung Fu Panda), la riflessione amara, apocalittica ed ecologista dell’ultimo robottino rimasto sul pianeta terra (Wall-E). Non fa eccezione per originalità e rappresentazione filmica l’ultima creazione made in Italy: una leggendaria storia letteraria raccontata da un suo personaggio secondario, low, come direbbe un inglese.

Don Chisciotte non è soltanto l’eroe di Cervantes che ha ispirato artisti come Dalì, che lo ha immortalato nelle sue tele e nelle sue sculture, Orson Welles, che è stato schiaffeggiato dalla fortuna e non ha mai terminato la sua ventennale impresa, e Terry Gilliam, che non si è sottratto al destino da predestinato della cattiva sorte e non ha finito il suo film, confluito in un semisconosciuto documentario (Lost in La Mancha). Don Chisciotte è anche un’avventura imperniata sull’amicizia e sull’amore. Se a raccontare quest’impresa non è l’impavido cavaliere dotato di armi e armatura, ma Rucio, il bizzarro asinello del fido scudiero Sancho Panza, il divertissement prende le prime pieghe di una commedia che sottrae ai costumi e alle scene di battaglia degli epic movie quelle demistificazioni e quegli alleggerimenti che fanno di un cartone un intrattenimento di sicuro piacevole. Certo, l’asino che anela a possedere le doti di un destriero ben più nobile e capace è un buon presupposto per gag esilaranti e sardonici motti di spirito, ma a farci ridere saranno le  disavventure, gli intoppi e le trappole che faranno del cavaliere errante e onorabile un personaggio buffo, romantico e perfino credulone. Ronzinante, segugio di Chisciotte, e Rucio, il nostro povero eroe, Ciuchino di vecchia generazione, si lasceranno cavalcare sullo sfondo di una Spagna da acquerello, oltre la Mancia, per raggiungere un torneo d’armi, che ci ricorda quello più scottiano de La spada nella roccia e permettere all’innamorato di coronare il suo sogno con l’amata Dulcinea e all’ambizioso Sancho di governare un’isola felice. Ma il baldanzoso Rucio ha gli occhi aperti e sa che dietro l’angolo può nascondersi il pericolo del male, la minaccia del cattivo. Solo lui potrà salvare l’amore dalle grinfie del perfido Lord Farquaad e assicurare l’happy end, che sembrava non dovesse arrivare mai, che mette d’accordo i grandi e i piccini. I primi avranno ripensato all’opera letteraria e considerato la potenza della fantasia degli sceneggiatori, capace di spolverare e ammodernare un classico, di variare le sue chiavi di lettura e di asservire la sua morale a quella moderna (e non si sottraggono i temi più attuali della pirateria, del divismo e della politica). I bambini, invece, saranno stati stuzzicati dai personaggi semplici esaltati nei loro colori sgargianti, in contrasto coi colori più tenui dei fondali fiabeschi e avranno frainteso o ignorato completamente le citazioni e le allusioni dal senso recondito.

Il ritmo, inutilmente lento, e la colonna sonora, completamente discordante con il tessuto connettivo del film, stonano con l’azione, che forse avrebbe richiesto situazioni più rocambolesche e più entusiasmanti, mentre quelle più ammiccanti del film risultano appesantite da dialoghi traballanti e dagli sketch pretenziosi. Ma la storia, avvincente, equilibrata e piena di formidabili sottotesti, e l’umorismo, ben dosato, convincono il pubblico senza difficoltà e dimostrano, specie a quello più diffidente, che avviarsi verso un’animazione di qualità non è, per restare in tema, una battaglia contro i mulini a vento. Il regista Jose Pozo mette anzi a segno una rivincita per l’animazione europea, che aveva già tentato la sorte con Arthur e il popolo dei Minimei, esordio nel fantasy di Luc Besson (sostenuto da un budget e da un impegno memorabili): Donkey Xote, ammiccante già nel titolo, prodotto dalla italiana Lumiq Studios e dalla spagnola Filmax, tradisce, con licenze cinematografiche, il romanzo, ma non il suo piccolo e grande pubblico.

TITOLO ORIGINALE: Donkey Xote; REGIA: Jose Pozo; SCENEGGIATURA: Angel E. Pariente; MONTAGGIO: Félix Bueno; MUSICA: Andrea Guerra; PRODUZIONE: Italia/Spagna; ANNO: 2007; DURATA: 90 min.

 


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