In acque profonde. Meditazione e creatività PDF 
Paolo Fossati   

ImageSe ogni opera d’arte è la rappresentazione di un’intuizione, il racconto strutturato di un processo mentale dell’autore o di un suo flusso di coscienza, si può affermare, da spettatori, che i film di David Lynch infondano la sensazione di immergersi nella mente del regista, fino a scandagliarne i meandri più remoti. La ragione di questa abilità nel trasformare le immagini mentali in sequenze cinematografiche, confida il regista nel volumetto autobiografico In acque profonde, risiede nella meditazione trascendentale che pratica quotidianamente dal 1973. Meditazione e creatività, dunque, sono i binari paralleli sui quali procede la narrazione frammentata in brevi capitoli di questo libro che appare, ironicamente, “asciugato” (quasi a creare un ossimoro con l’immagine liquida suggerita dal titolo italiano) da qualsiasi volontà di approfondimento storico-analitico, in favore di un piacevole elogio della meditazione. Catching the Big Fish, il titolo originale (che inevitabilmente ci porta a pensare anche a Tim Burton e al percorso di rivelazione pubblica dell’intimità del processo artistico raccontata nel suo capolavoro del 2003 Big Fish) evoca l’immagine della genesi di un’idea con la metafora della pesca, che risulta più soddisfacente se si ha il coraggio di scendere in profondità.

Non risulta ridondante, tuttavia, questa lode della meditazione. Sebbene pervada costantemente il racconto, presto diventa il filo rosso che conduce il regista ad esporsi. Il filo sul quale l’equilibrista Lynch cammina imperturbabile osservando il proprio passato, offrendoci immagini (mentali, naturalmente, dato che in questo caso parla ai propri spettatori momentaneamente convocati in veste di lettori) accattivanti e dense di emozioni da decodificare. L’autore, dall’alto, abbraccia con sguardo panoramico la propria filmografia, come se scrutasse Los Angeles dall’alto della collina di Hollywood, raccontando aneddoti che disegnano i confini e le derive tra un film e l’altro come le luci degli edifici della città segnano la demarcazione tra le strade perdute. Si viene così a comporre un disegno nella mente del lettore che, più che fornire chiavi interpretative, sprona alla libertà e all’approfondimento personale, non intorno all’opera (attraverso la ricerca e l’intuizione di ciò che è rimasto “fuoricampo”), ma, piuttosto, alle reazioni, agli effetti emotivi che essa produce sugli spettatori. Lynch, a tal proposito, paragona il cinema alla musica, che ritiene la maggior parte della gente sperimenti a livello emotivo, considerandola un concetto astratto, senza cercare di tradurre le sensazioni provate durante l’ascolto con parole che le descrivano. Dovrebbe accadere la stessa cosa con le immagini, impossibili da spiegare in senso definitivo, perché percepite da ogni spettatore attraverso la propria personale sensibilità, decodificate per mezzo di strumenti interpretativi soggettivi.

La sorpresa riservata dal libro è, in effetti, la rivelazione che la complessità che il corpus delle opere di David Lynch sembra evocare nella mentalità comune è vissuta dall’autore con una serenità disarmante. Senza presunzione e accompagnata dalla confessione di una perseveranza nell’intento di addentrarsi nel profondo della propria coscienza attraverso un approfondito lavoro di disamina delle proprie intuizioni, volto alla ricerca di una consapevolezza sempre maggiore della propria identità. Non a caso il capitolo intitolato l’identità si risolve nello spazio di un aforisma: “il bello della meditazione è che diventi sempre più te stesso”.

TITOLO: In acque profonde. Meditazione e creatività; AUTORE: David Lynch; EDITORE: Mondadori; ANNO: 2008; PAGINE: 197; PREZZO: 8,80 €

 


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