Le parole dello schermo 2005: Panoramica PDF 
di Francesca Druidi   

Il primo Festival di cinema e letteratura di Bologna, battezzato Le parole dello schermo, e organizzato dall'azione sinergica dell'Assessorato alla Cultura e dalla Cineteca, non ha voluto semplicemente dimostrare l'ovvio, ossia il fatto che la letteratura ha fornito – e tutt'ora fornisce – al cinema i suoi immensi archivi di trame, racconti, romanzi e pièce teatrali, ma ha messo a confronto il linguaggio delle parole con quello delle immagini in movimento, lasciando emergere le assonanze, le insanabili fratture ma anche le reciproche influenze e gli apporti decisivi che ognuno dei due campi infonde all'altro.

È un rapporto non univoco, ma reciproco e interattivo, quello tra cinema e letteratura, in continuo mutamento, che è stato analizzato dal festival durante gli incontri, le tavole rotonde, le microrassegne e gli omaggi che hanno articolato le quattro giornate (dal 28 giugno al 1 luglio) della rassegna. Il festival ha proposto temi e riflessioni trasversali alle due aree, attraversando i generi, le età cinematografiche, gli autori – assurti spesso al rango di sceneggiatori – e i registi, in una panoramica inevitabilmente non esaustiva, ma suggestiva, che non ha esitato a trarre le proprie basi dalla situazione letteraria e filmica attuale. Approfondendo poi il contributo dato dal cinema alla letteratura, si evidenzia nei romanzi di oggi una certa struttura a incastro che, evitando di seguire necessariamente una linea di sviluppo lineare, richiama in maniera pregnante la tecnica del montaggio. Basta pensare a The Hours di Stephen Daldry, uno dei film presentati in America oggi: quattro sguardi della letteratura al cinema (quattro film tratti da romanzi contemporanei, indicati come rappresentativi di ciò che è l'America oggi), a partire dall'acclamato romanzo di Michael Cunningham: il suo scheletro portante, intrecciante tre piani narrativi differenti, esibisce già un taglio prettamente cinematografico, grazie al simbolico lavoro di giustapposizione operato da Cunningham, il quale avvicina e converge le storie di tre donne, appartenenti a tre epoche diverse, ma accomunate dal romanzo di Mrs. Dalloway di Virginia Woolf (tra cui la stessa autrice) e dall'emergenza di vivere una vita diversa da quella imposta dalla società nella quale sono – loro malgrado - prigioniere.

I rapporti tra letteratura e cinema si sono oggi moltiplicati in Italia, dopo che la stagione della commedia all'italiana ne aveva allentato i lacci. I dati diffusi dall'Associazione italiana degli Editori (Aie) parlano chiaro: delle 217 pellicole uscite nelle sale cinematografiche italiane tra il 2000 e il 2004 ispirate a romanzi, 43 provengono da testi di autori italiani (ne sono ultimi e celebri esempi Non ti muovere di Sergio Castellitto, dall'omonimo romanzo di Margareth Mazzantini, L'odore del sangue di Mario Martone, da quello di Goffredo Parise, e Io non ho paura di Salvatores, alimentato dall'opera omonima di Nicolò Ammaniti). Emblematico è il caso di Colorado Noir, una nuova collana editoriale promossa da una squadra d'eccezione, composta dal produttore Maurizio Totti, da Gabriele Salvatores, dal direttore di Noir in festival di Courmayeur Giorgio Gosetti e da Sandrone Dazieri (scrittore, giornalista, editor), tesa a scovare nuovi autori di gialli e polizieschi, con il fine esplicito di creare un doppio binario tra letteratura noir e cinema. Primo frutto di questa collaborazione è l'interessante Quo vadis, baby?, che rappresenta il ponte di collegamento tra un regista affermato come Salvatores e l'omonimo romanzo di una scrittrice emergente come Grazia Verasani, bolognese doc, che ha saputo raccontare i disagi e le crepe non solo della sua città, la città che ospita il festival, cogliendone il lato più oscuro e inquieto, ma anche di due donne ugualmente moderne e sfaccettate come la protagonista, la detective Giorgia Cantini, e la sorella morta suicida Ada, aspirante attrice appassionata e auto-distruttiva.

Tra i capolavori "scandalosi" di Kubrick, il beffardo Lolita (trasfigurazione del celebre romanzo di Nabokov) e il geniale Arancia meccanica (rilettura del lavoro di Anthony Burgess), l'utopia di Don Chisciotte e quella cyberpunk riflessa dai racconti di Philip K. Dick (con la proiezione in Piazza Maggiore di Blade Runner in versione Director's cut), tra la riflessione sugli "impossibili" adattamenti cinematografici (L'Ulisse e Salò o le dodici giornate di Sodoma di Pasolini) e gli omaggi che si sono susseguiti ad Alain Robbe-Grillet, Bille August, Claude Miller e Volker Schlondorff, il festival alla sua prima edizione si è rivelato intenso, ricco di spessore concettuale e, soprattutto, spettacolare, del quale è impossibile rendere conto nella sua complessità.

I postini di James M. Cain

Pensata da Andrea Camilleri e commentata da Cesare Sughi, la micro-rassegna propone e compara le quattro riduzioni de Il postino suona sempre due volte, romanzo cult di James M. Cain, grazie al quale venne considerato in Francia come uno degli autori americani più significativi, al punto da ispirare a Camus Lo straniero, e, affiancato ad Hammett e Raymond Chandler, come una delle figure chiavi dell'hard-boiled americano, la corrente letteraria fatta di un linguaggio crudo e violento e di temi come la criminalità, la corruzione e, più in generale, la decadenza del sogno americano, delle sue utopie e delle sue vanaglorie. Cain ritrae l'avidità, la rapacità, il livore che fanno parte del Dna dell'essere umano e di un'America provinciale che viene vista dalla porta di servizio. È la "medietà" il filo conduttore dell'opera letteraria di Cain, il suo sguardo privilegiato su chi non è abbastanza elevato né per il bene né per il male. Non a caso le trame de Il postino suona sempre due volte e di Double Indemnity- La fiamma del peccato, altro lavoro di Cain da cui Chandler trasse la sceneggiatura dell'omonimo capolavoro di Billy Wilder, vero caposaldo del noir, si rispecchiano alla perfezione: raffigurano, infatti, il rapporto incandescente tra un uomo e una donna, che diventa la fonte inesorabile di un tragico epilogo e dell'assassinio del marito di lei, commesso per incassare i soldi dell'assicurazione sulla vita intestata alla diabolica femme fatale ne La fiamma del peccato, per vivere felici ne Il postino.

Assumendo il punto di vista degli assassini, anziché dei poliziotti e degli investigatori, Cain delinea il racconto in prima persona di Frank Chambers, condannato a morte per l'uccisione del proprietario di un'osteria, il greco Nick Papadakis, e della moglie Cora, del quale il vagabondo si era immediatamente invaghito una volta giunto in California. Volendosi sbarazzare del marito, i due amanti clandestini falliscono nel primo tentativo di omicidio, ma riescono nel secondo simulando un incidente d'auto. Con l'eredità di mezzo, però, i due vengono processati e strumentalizzati dalla rivalità di due avvocati, anche se il procedimento si conclude con l'innocenza di entrambi. Ma quando, dopo varie tempeste (tra cui la relazione di Frank con un'allevatrice di tigri), il sereno sembra trascinare via i sensi di colpa e i fantasmi della coppia, Cora muore accidentalmente in un altro scontro fatale con la macchina. Questa volta nulla può salvare Frank, che viene accusato di entrambi gli omicidi, per i quali dovrà pagare con la sua stessa esistenza.

Le quattro pellicole elaborano questa trama secondo differenti sfumature e intenzioni, operando sottrazioni, iperboli e caratterizzazioni diverse dei personaggi. Se Le dernier tournant (1939) di Pierre Chenal, regista esperto nelle trasposizioni cinematografiche di opere letterarie come Delitto e castigo e Il fu Mattia Pascal, è una versione fedele del romanzo radicata nella provincia francese, un noir realistico in cui domina una composizione teatrale che privilegia le interpretazioni degli attori, con uno strepitoso Michel Simon nella parte del marito benzinaio, unto e bonaccione, Ossessione (1943) individua l'adattamento più libero del romanzo di Cain. Visconti, che ha inaugurato con quest'opera la gloriosa stagione del neorealismo italiano, sposta la scena tra la bassa pianura Padana e il ferrarese, traducendo la Depressione americana nella castrazione del periodo fascista, contraendo la struttura originale, ma rendendo Gino (un sensuale Massimo Girotti) e Giovanna (Clara Calamai) due vittime dei propri colpevoli rimorsi. Non sono, quindi, il sesso e la violenza ad emergere con forza dal racconto cinematografico viscontiano, ma la psicologia dei due amanti, fustigati da un contesto sociale impregnato di malessere, e protagonisti di una discesa all'inferno morale che non conosce – di fatto – la redenzione e il perdono.

La componente deterministica intrinseca all'amour fou e alla figura della femme fatale (Lana Turner) contraddistinguono la prima riduzione americana, diretta nel 1946 da Tay Garnett, che pur propendendo per scelte stilistiche votate all'espressionismo, e tese di conseguenza a esprimere l'ambiguità del confine tra bene e male, perde il crudo realismo psicologico della scrittura di Cain. La più estranea è probabilmente la versione del 1981 di Bob Rafelson, lontana dalle suggestioni noir e maledette, ma permeata da un'energia istintiva e sessuale che trova piena identificazione nella carica animalesca di Jack Nicholson e Jessica Lange. Vibrano scene esplicite di sesso, ma mancano la voce narrante in prima persona e i laceranti sensi di colpa, per un finale aperto che non contempla più la condanna giudiziaria e legale di Frank, ma implica una punizione più sottile e intimista: quella della solitudine, della perdita della persona amata.

Tutto il giallo viene per nuocere

Questa rassegna comprende le tre pellicole, Rebecca – La prima moglie di Alfred Hitchcock (1940), Il grande sonno di Howard Hawks (1946), da Raymond Chandler, e La maschera di scimmia di Samantha Lang (2000), che per Carlo Lucarelli meglio sottolineano quello che può fare un film rispetto a un libro e viceversa, nella trama come nello stile, sottolineando le somiglianze e le influenze reciproche, i limiti rispettivamente dei libri e dei film nel riprodurre il giallo e l'intrigo.

Aver scelto Rebecca significa condurre il pubblico nelle difficoltà, negli accorgimenti e negli espedienti impiegati dal grande regista britannico per l'adattamento dell'omonimo romanzo di Daphne Du Maurier (amata dal cineasta per la capacità di fondere le peculiarità del personaggio con la vicenda di cui è protagonista, motivo per cui la scelta venne ripetuta nel 1963 con Gli uccelli). Si rileva un'aderenza forte tra le atmosfere del libro e quelle della pellicola, nella quale Hitchcock ha voluto rispettare il romanzo, potenziandolo però di un senso di angoscia e di isolamento concretizzato in una rappresentazione gotica dello spazio profilmico (la villa sul mare Menderley) e in una relazione simbolica dei personaggi rispetto a esso. Un rapporto d'amore malato e torbido, avvolto da un mistero inquietante, diventa il trait d'union tra libro e film, espresso in maniera ovviamente diversa nei due mezzi di comunicazione. La suspense, di cui Hitchcock è maestro, si traduce sulla carta stampata come una concatenazione di frasi che, non potendo ricorrere alla musica, alla fotografia e al montaggio, può fare esclusivamente riferimento alle potenzialità evocative emanate da un aggettivo, un avverbio o un sostantivo.

De "Il grande sonno", pubblicato nel 1939, il film diretto da Howard Hawks mantiene la trama, una matassa ingarbugliata impossibile a sciogliersi. Protagonista assoluto è il detective Philip Marlowe (il gigantesco Humphrey Bogart), ingaggiato dal generale Sternwood per scoprire chi ricatta la figlia minore Carmen, finendo per rimanere invischiato in una rete di intrighi e crimini in cui è coinvolta anche la figlia maggiore del generale Vivian (Lauren Bacall), della quale Marlowe si innamorerà perdutamente. A dispetto della trama impenetrabile (anche per gli stessi attori), il film sprigiona il cinismo ironico e crepuscolare tipico dell'investigatore privato, illuminando la condizione debole e fallace degli uomini, tutti ugualmente destinati al "grande sonno", ossia alla morte. De La maschera di scimmia di Samantha Lang rimane - sebbene non del tutto riuscita - la sfida cinematografica di portare sul grande schermo un testo poetico in versi come quello di Dorothy Porter, incentrato sull'investigatrice privata australiana Jill Fitzpatrick che – come accade anche in Quo vadis baby? – viene coinvolta in prima persona dall'indagine. La ventottenne detective, determinatamente single, s'innamorerà, infatti, della professoressa di poesia della vittima, la studentessa Mickey, rimanendo intrappolata in un cerchio di sesso, morte e poesia dal quale dovrà trarsi d'impaccio con le sue sole forze.

Anteprima: Il nono giorno di Volker Schlöndorff

Il regista tedesco, famoso per i suoi adattamenti di lavori letterari (Il giovane Törless e Il tamburo di latta), porta sullo schermo un'altra scottante pagina del passato della Germania dopo il recente La caduta, ispirandosi alla reale testimonianza di un reverendo cattolico, figura di spicco del clero lussemburghese, che fu rinchiuso nel campo di concentramento di Dachau per essersi opposto pubblicamente alle leggi razziali tedesche e per aver aiutato la resistenza francese, ma al quale venne concesso un permesso speciale di nove giorni, apparentemente per la morte della madre. Il cineasta si è in realtà concentrato su un episodio specifico che, nel libro, occupa una pagina mentre sullo schermo diviene il perno centrale del film: il tentativo, da parte dell'ufficiale della Gestapo Gebhardt, di convincere l'uomo a portare dalla parte dei nazisti il vescovo di Lussemburgo, creando una sorta di corridoio privilegiato tra il Vaticano e le politiche nazionalsocialiste. Se il reverendo Kremer accetta la sua famiglia e gli altri sacerdoti lussemburghesi prigionieri saranno salvi.

Il fulcro di Il nono giorno diventa, quindi, un confronto che, più che di carattere politico, assurge a faccia a faccia umano, morale e religioso, tra l'umile e silenzioso reverendo (Ulrich Matthes) e il giovane e avvenente ufficiale della Gestapo (August Deihl), ideologicamente determinato quanto Kremer, forse in virtù del suo passato di seminarista e di sacerdote mancato. Nove giorni di battaglia personale con la propria anima: una partita giocata tra sensi di colpa, richiami di coscienza e paura del compromesso.

 


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