Paranormal Activity PDF 
Maurizio Ermisino   

“Spielberg si è spaventato, ma è un problema suo”. Così ha scritto Maurizio Porro sul Corriere della sera. Ed è una frase che sintetizza perfettamente l’operazione Paranormal Activity, l’horror casalingo di Oren Peli che ha terrorizzato il papà di E.T. ed è stato poi aggiustato con i suoi consigli e distribuito su larga scala, creando uno di quei rapporti tra incasso e costi di produzione da leggenda. Ma se Spielberg – che da tempo chiamiamo il “fanciullino” per il suo entusiasmo quasi infantile di fronte alle cose – si spaventa per poco, non è così per gran parte del pubblico. Cambiamo scena allora, e dalla critica passiamo alla sala dove è stato proiettato Paranormal Activity, a Roma. Per una volta è risultato utile vedere il film a stretto contatto con il pubblico, perché in questo modo è stato possibile avere la cifra dell’effetto reale che ha provocato. Il risultato è che non ha fatto paura, anzi. Il pubblico ha riso per gran parte del film, cosa che, al di là della sua educazione, significa prima di tutto che nel film non succede niente.

La storia di Paranormal Activity è molto semplice. Una giovane coppia (non lavorano e vivono in una casa da sogno, alla faccia della crisi e del precariato), sente che nella loro casa c’è una strana presenza. Sentono dei rumori, dei passi. Così decidono di prendere una telecamera sofisticata, munita di visore notturno, e di piazzarla in camera da letto, in modo da registrare cosa succede la notte. Di giorno la portano in giro per la casa e documentano i loro dialoghi e le loro supposizioni. Di notte la videocamera rimane fissa, ed è (in teoria) il momento della paura. Visto che la notte è lunga le immagini registrate vengono mandate avanti velocemente, e l’azione ritorna a velocità normale quando sta per accadere qualcosa. Che, come dicevamo, è ben poco. La narrazione è ripetitiva, le idee sono scarse, si tratta dei medesimi schemi reiterati per quasi un’ora e mezza. L’unico guizzo è il finale, questo sì piuttosto efficace (ma vanificato dal nulla precedente), questo sì farina del sacco di Spielberg. Che evidentemente, se ha deciso di inserire questa modifica, non trovava il film così terrificante …

Dei due ragazzi in questione non si sono più avute notizie. E quello che vediamo è proprio il nastro con le registrazioni trovato dalla polizia. Già sentito? Sì, perché Paranormal Activity è di fatto il figlio di The Blair Witch Project. E non solo per lo stile della messinscena (l’unico punto di vista della videocamera, che qui è in soggettiva solo durante il giorno, mentre di notte, essendo su un treppiede, diventa fissa e oggettiva), ma soprattutto per l’alone di presunta verità di cui viene ammantata l’intera vicenda. A cui non crede evidentemente più nessuno, almeno da noi, ma che in America è una strategia di marketing ancora piuttosto redditizia. Tuttavia, The Blair Witch Project, seppur deludente a livello di storia, aveva più movimento, nonché il merito di aver creato un genere che ha dato i suoi frutti migliori in pellicole come Rec o Cloverfield, dove la camera in soggettiva si rivela essere più una scelta stilistica per avvincere e immergere lo spettatore nella storia che non lo strumento per ingannarlo. Ben più interessante, invece, è la strategia di distribuzione di Paranormal Activity: poche copie in piccole città, prenotatesi tramite internet, e numero di copie a salire nei grandi centri, prima secondo le richieste e poi con una distribuzione capillare.

Il fenomeno Paranormal, tuttavia, stimola una riflessione interessante. Sullo scorso numero di Effettonotte, parlando di Rec 2, avevamo individuato una ben nota tendenza, quella di un cinema che per fare paura deve spingere lo spettatore a credere che ciò a cui sta assistendo sia il più possibile reale, ricreando quell’immagine “sporca” che non viene immediatamente associata al cinema e alla finzione, ma a quelle che è abituato a girarsi da solo. E allora, se da un lato anche l’horror si sta muovendo verso il nuovo formato del 3D (San Valentino di sangue 3D e The Hole 3D di Joe Dante), dall’altro molti cineasti sembrano rifiutarlo in nome di un maggiore realismo. Infatti, un Rec, un Cloverfield o un Paranormal Activity in 3D sarebbero impensabili, perché il loro quid sta proprio nel riprendere lo stile delle immagini televisive o amatoriali, per loro natura in due dimensioni e non definite e fotografate come quelle del cinema. Ora, il paradosso è interessante: se il 3D dovrebbe in teoria conferire maggior realismo all’immagine cinematografica, perché riproduce la visione tridimensionale dell’occhio umano, viene invece rifiutato da chi vuole dare un senso di maggior verità all’immagine, perché considerata una forma di iperrealismo.  E lo è per il fatto che il pubblico non è ancora abituato al 3D. Viceversa, il 2D e la bassa definizione, che sono dichiaratamente copie della realtà, vengono ancora scelte come immagini perfette per dare un senso di reale, perché appartengono a quei media che lo spettatore  è solito associare alla cattura della realtà, alla documentazione della verità. Insomma, si associa all’idea di reale non l’immagine come tale, ma quella associata al mezzo dedito solitamente a rappresentarlo.

TITOLO ORIGINALE: Paranormal Activity; REGIA: Oren Peli; SCENEGGIATURA: Oren Peli; MONTAGGIO: Oren Peli; PRODUZIONE: USA; ANNO: 2007; DURATA: 86 min.

 


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