Il matrimonio indiano chiassoso e multicolore di Monsoon Wedding di Mira Nair, premiato con il Leone d'Oro a Venezia nel 2001, è più che mai lontano, cronologicamente e stilisticamente. La regista indiana, già con Vanity Fair (2004), si era affrancata ormai completamente dalle proprie origini geografiche, immergendosi nell'Inghilterra elisabettiana di fine Ottocento. Con Amelia il suo background iconografico bollywoodiano è definitivamente sradicato e allineato allo stile hollywoodiano più classico e trasparente.
Amelia è la trasposizione in immagini della biografia della grande eroina americana Amelia Earhart, prima donna aviatrice a sorvolare l'oceano Atlantico in solitaria e a tentare l'impresa del giro del mondo in aereo. La morte di Amelia durante il suo ultimo volo (il 2 luglio del 1937) la consegnò inevitabilmente alla leggenda e la innalzò a modello anticonvenzionale di emancipazione femminile per la new woman borghese degli anni della ripresa dopo la crisi del '29. Davanti ad un biopic, registi e sceneggiatori procedono, di norma, seguendo due direzioni opposte: selezionando i caratteri mitici del personaggio realmente esistito e sovraccaricandoli per alimentare la leggenda, oppure rincorrendo la descrizione puntigliosa e maniacale del contesto, i dettagli, procedendo come narratori che vogliono restituire una fotografia il più possibile fedele a ciò che è realmente avvenuto. La regista e gli sceneggiatori di Amelia (Ronald Bass e Anna Hamilton Phelan, che hanno tratto la sceneggiatura dalle biografie redatte da Susan Butler e Mary Lovell) si avvicinano alla seconda via, ma semplificando la vita della Earhart e scegliendo di enfatizzare l'aspetto mélo della storia tra l’aviatrice (Hilary Swank) e George Putnam (Richard Gere), il marito e manager della donna-pilota. Il volo, “il muoversi in tre dimensioni”, come viene definito dalla pioniera dell'aviazione, si attesta in realtà come lo sfondo su cui dipingere il dissidio amoroso tra moglie, marito e l'amante Gene Vidal (un poco valorizzato Ewan McGregor). Il conflitto sentimentale di Amelia è rappresentato attraverso la scelta di una fotografia patinata e una messa in scena di personaggi privi di qualsiasi opacità. I protagonisti sembrano infatti appartenere ad un mondo senza increspature, perfetto, e dunque poco realistico. E serve a poco la tensione mimetica di Hilary Swank, che si trasforma fisicamente per somigliare alla figura della Earhart. I lineamenti del volto dell'attrice si sciolgono in un sorriso plastico che sembra uscito dagli scatti che ritraggono la vera Amelia negli ultimi minuti del film, ma quest’espressione riprodotta e ripresa di continuo, in quasi ogni sequenza, si trasforma in un leitmotiv attoriale davvero monotono. Anche gli altri attori risentono della debolezze della pellicola: Richard Gere si ritrova nella solita parte di uomo di mezz'età fascinoso, mentre Ewan McGregor è costretto in un personaggio appena “accennato” e decisamente trascurabile nell'economia della sceneggiatura.
Amelia Earhart è stata in grado di sorvolare l'Atlantico negli anni Trenta a bordo di un aereo dalle caratteristiche tecniche che oggi fanno sorridere, ma la pellicola non ha la stessa caparbietà e forza del personaggio, non sa volteggiare e librarsi nell'aria, non decolla mai. Amelia non riesce a sollevarsi, rimane a terra, zavorrato da dialoghi melliflui, da una colonna sonora esageratamente melodrammatica e dalla direzione di Mira Nair, che sembra ormai essersi allineata ad una medietà stilistica e convenzionale.
TITOLO ORIGINALE: Amelia; REGIA: Mira Nair; SCENEGGIATURA: Ronald Bass, Anna Hamilton Phelan; FOTOGRAFIA: Stuart Dryburgh; MONTAGGIO: Allyson C. Johnson, Lee Percy; MUSICA: Gabriel Yared; PRODUZIONE: USA; ANNO: 2009; DURATA: 120 min.
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