Ne abbiam piene le tasche di sentir asserire, e poi puntualmente smentire, che il cinema italiano è morto. Il continuo alternarsi di annunci nefasti e insieme di miracolose resurrezioni a proposito dello stato di salute attuale del nostro cinema ha, da qualche anno a questa parte, perso credibilità. Forse perché sarebbe più giusto emettere giudizi di valore sulla lunga (se non lunghissima) distanza e non farsi abbindolare da una manciata di film ben o mal riusciti. Resta il fatto che a volte certi film riescono a riassumere bene come vorremmo fosse il nostro cinema o come vorremmo, invece, non fosse assolutamente. Ecco, L’ora di punta di Vincenzo Marra appartiene al secondo gruppo. Inspiegabilmente in concorso alla 64ª Mostra del Cinema di Venezia, l’ultimo lungometraggio del regista di Vento di terra, è un deludente esercizio televisivo su grande schermo. Con la pretesa di indagare un tema civile caro alla nostrana storia recente, il film mette in scena una storia di una banalità fastidiosa. Un giovane agente della guardia di finanza (Michele Lastella) scopre quanto è facile guadagnare prendendo mazzette, coperto dal Commissario. Conosce una ricca e matura signora dell’alta società (Fanny Ardant), lascia le Fiamme Gialle e, grazie alle di lei conoscenze e al Commissario che continua a guardargli le spalle, diventa un grosso imprenditore di affari sporchi. Ma, guarda un po’, il passato ritorna per cercare di privarlo di ciò che illecitamente si è guadagnato. A completare il triste quadro, una ragazza acqua e sapone (una brava Giulia Bevilacqua) simbolo di un amore sincero incompatibile col mondo di soldi e potere cui il protagonista non vuole rinunciare. Ma si sa, la trama non è tutto. E allora Marra pensa bene di nobilitarla per mezzo di piani lunghissimi, scene cariche di silenzi ingiustificati, primi piani esasperati. Nemmeno la sempreverde Fanny Ardant (pessimamente truccata) riesce a sostenere l’intera baracca, che pretenderebbe di reggersi su dialoghi e stereotipi da soap opera. Il protagonista rincorre un ideale di efficienza rappresentato dal padre scomparso, ma sceglie la strada sbagliata, reprime il vero amore a vantaggio di uno per interesse e perde la cognizione della differenza fra bene e male. E da lì un fioccare di semplicistiche contrapposizioni tra lusso e povertà, onestà e disonestà. Inutile sperare in un colpo di scena che risollevi seppur parzialmente il tutto: il finale è drammaticamente insoluto. Certo, i temi affrontati non possono non rievocare stralci di storia contemporanea nostrana, ma preferiremmo che questo film, nella sua totalità, non ci appartenesse. La Comencini di A casa nostra aveva saputo far di meglio modellando la stessa materia. E se lì la fotografia di Luca Bigazzi era certamente un punto a favore, ne L’ora di punta l’effetto suscitato è diametralmente opposto, vista l’aura di mediocrità che attanaglia l’intera pellicola. In una vetrina internazionale quale quella di Venezia ci si aspetterebbe di gran lunga che gli sforzi di due produttori come Gianni Romoli e Tilde Corsi, e ancor di più i finanziamenti dello Stato, si traducessero in qualcosa di molto diverso. Scheda film TITOLO: L’ora di punta; PAESE: Italia; ANNO: 2007; REGIA: Vincenzo Marra; SCENEGGIATURA: Vincenzo Marra; MONTAGGIO: Luca Benedetti ; FOTOGRAFIA: Luca Bigazzi; MUSICA: -; DURATA: 95'
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