“Sempre meglio che lavorare” esclamano gli autori nell’introduzione del libro, riferendosi al mestiere del critico cinematografico. Intercettano un sentire diffuso e con brillante ironia danno inizio ad un percorso che condurrà il lettore a scoprire le emozioni e le difficoltà di una professione spesso da inventare e sempre da affrontare con la lucidità e l’estro dell’acrobata (se non si vuol finire imbalsamati a parafrasare comunicati stampa promozionali). Un secolo di esperienze vissute nelle sale cinematografiche di tutto il mondo viene tratteggiato attraverso i racconti personali di spettatori illustri come Jean-Paul Sartre, Italo Calvino, Federico Fellini e Woody Allen, assidui frequentatori di quei luoghi di spettacolo che divennero laboratori di democrazia, dove non esistevano le separazioni gerarchiche ancora evidenti nei teatri e la folla imparava a convivere, avviandosi verso il futuro affermarsi di una società dominata dalla cultura di massa. La prima parte del testo, L’antro delle meraviglie, è ricca di sollecitazioni filosofiche che stimolano raffronti tra il Novecento ed epoche più remote, osservando come sogni e desideri ricorrenti nella Storia siano stati realizzati e colmati dal cinema. L’interesse per lo studio della condizione spettatoriale si sviluppa nel corso dell’intera opera, diventando anche punto di vista privilegiato nella seconda parte, La cassetta degli attrezzi, che fornisce un glossario utile sia a giovani critici alle prime esperienze, sia agli spettatori desiderosi di apprendere qualche strumento d’analisi. Il punto di vista di Escobar e Cozzi rende merito a tutti coloro che, spettatori curiosi o aspiranti critici, desiderano approfondire le proprie passioni, in controtendenza con una diffusa assuefazione alla superficialità che eleva il nozionismo a cultura. Per rifiutare l’abitudine all’adesione acritica alla realtà non c’è strada migliore che imparare ad analizzare la finzione, a scomporre la messinscena del nostro tempo raccontata dai media generalisti. Vedere nel cinema il territorio privilegiato per la sperimentazione dei linguaggi e approfondire i meccanismi socioculturali che muovono la settima arte è un modo di interrogarsi sul presente e contemporaneamente di avvicinarsi agli strumenti di una professione. Le riflessioni dei critici sul proprio mestiere sono diari di un’umanità che s’interroga sulla propria storia e sul proprio destino; sono autoanalisi che riescono ad avere una valenza universale, proprio come i film. Se la televisione, che accompagna la nostra quotidianità, segna lo scorrere del tempo fornendoci parole che vanno a comporre la “prosa” del nostro discorso condiviso, il cinema riafferma il proprio valore divenendo oggetto delle discussioni più appassionate, quelle che nascono nel tempo libero, nei momenti di svago trascorsi con gli amici. Quando, in salvo dalla frenesia, si può scegliere con cura l’argomento da trattare è il cinema ad aprirsi un varco per proporsi come pretesto e giustificazione delle nostre curiosità. Ti racconto un film è un libro per chi sente vibrare la propria coscienza di spettatore e si scopre desideroso di incanalare nella giusta direzione le pulsioni analitiche che ogni visione suscita nell’animo. È uno sguardo trasversale sul cinema, che prova ad analizzare una passione dall’interno come solo quei critici che perseverano innanzitutto nella ricerca dell’essenza del proprio investigare sanno fare. Un interrogarsi che mancava dai tempi delle acute interviste ai colleghi critici realizzate da Ezio Alberione per Di cosa parliamo quando parliamo di cinema, da Lo sguardo ostinato di Serge Daney, da Non sono che un critico di Morando Morandini, e che sembra nato dallo stesso genere di necessità interiore. TITOLO: Ti racconto un film. Per spettatori innamorati e aspiranti critici; AUTORE: Roberto Escobar, Emilio Cozzi; EDITORE: Cortina Raffaello; ANNO: 2007; PAGINE: 228; PREZZO: 14,80 €
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