No Direction Home: Bob Dylan. Ritratto di un artista senza patria PDF 
Anna Barison   

ImageGli anni Sessanta sono stati forse il periodo più rivoluzionario nella scena musicale internazionale, anni in cui la trasformazione della “popular music”, della semplice forma-canzone, andava verso le sperimentazioni psichedeliche ed elettriche del rock e del folk. Una fucina di sonorità innovative ridisegnò la concezione di musica “pop”, investendola di istanze sociali, terreno fertile su cui i musicisti dell’epoca incanalarono il bisogno di raccontare il disagio dell’individuo e il malessere della collettività. E proprio nei primi anni Sessanta un misterioso ragazzo di Duluth, nel Minnesota, compiva il salto che bisognava compiere, creare cioè, sulle spoglie della canzone folk americana, la nuova canzone folk moderna, quella urbana ed elettrica, quella che è diventata infine il rock moderno. Stiamo parlando di Robert Allen Zimmerman, universalmente conosciuto come Bob Dylan.

ImageMartin Scorsese, con No Direction Home, delinea questa intensa figura partendo proprio dalle sue origini, da quel 1961 in cui un Dylan ventenne arrivò al Greenwich Village di New York dalla provincia del nord-ovest, quel Minnesota glaciale e rurale nel quale compì la sua iniziazione musicale. L’arrivo a New York di Dylan, affascinato dalla folk music operaia e progressista di Woody Guthrie, coincide con un periodo di fermento insolito tra la gioventù studentesca ed artistica della metropoli, e il soffio di rude energia sociale che le canzoni scelte da Dylan tra i classici della musica di protesta o quelle composte da lui su quella falsariga, colpiscono l’immaginazione dei frequentatori di spazi specializzati offrendogli la possibilità di incidere il primo disco e di avviarlo verso una fulgida carriera. Il documentario di Scorsese è più di un semplice documentario, o del rockumentary già sperimentato con L’ultimo valzer: è un’opera musical-cinematografica travolgente che racconta, negli anni compresi tra il 1961 e il 1966, la nascita, l’apice, ma anche la svolta dolorosa, di uno dei musicisti maggiormente influenti e innovatori del panorama musicale internazionale. Duecento minuti di immagini selezionate tra i momenti salienti dell’intervista-fiume di dieci ore che Jeff Rosen, manager e amico di Dylan, realizzò nell’arco di cinque giorni all’artista, alternati ai racconti dei protagonisti dell’epoca (Joan Baez, Allen Ginsberg, Dave Van Rank, che dichiara “se esiste un inconscio collettivo americano, Bob ci ha messo le mani dentro”) e ai preziosi filmati inediti di repertorio, tra cui il momento clou che ha reso celebre No Direction Home prima ancora della sua pubblicazione, un momento che arriva solo nel finale. Scorsese è infatti riuscito a trovare le immagini del cosiddetto “Judas Incident”. Nel 1965, come è noto, Bob Dylan “mise la spina”, abbandonando, non troppo gradualmente, le sonorità folk delle origini. Ai fan del Dylan acustico, ma anche a coloro che ne volevano fare a tutti i costi un’icona del movimento di protesta, la cosa non piacque. E così il 17 maggio 1966, al Manchester Free Trade Hall, nel contestatissimo concerto elettrico, la svolta di Dylan fu mal sopporta dai puristi, e nel silenzio che precedette l’attacco del nuovo pezzo, dal pubblico risuonò chiarissimo un urlo inviperito: “Giuda!”. Dylan non si scompose e rispose: “I don’t believe you”. Poi, sugli accordi iniziali, aggiunse “You’re a liar” e, voltandosi verso la band, esordì: “Play it fucking loud”. Il risultato fu una delle più affascinanti e magnetiche esecuzioni di Like a Rolling Stone.

ImageMartin Scorsese dimostra ancora una volta di essere un regista straordinario, capace di fondere in modo potente colonna sonora e colonna visiva, ma soprattutto un appassionato narratore dell’America e delle sue figure più emblematiche e rappresentative. No Direction Home non è solo l’odissea privata di Bob Dylan, ma rappresenta anche lo spaccato nitido e illuminante di quella stagione irripetibile nella storia americana e mondiale. La seconda linea narrativa fondamentale è data, infatti, dalla restituzione dell’impatto emotivo e sociale di eventi nevralgici: il fermento culturale, musicale e artistico portato da Andy Warhol e dai Beatles; la marcia per i diritti civili di Martin Luther King (“tuttora influenza il mio pensiero”, dice di lui il cantante), la crisi di Cuba, l’assassinio di John Fitzgerald Kennedy nel 1963 a Dallas e l’esecuzione del suo presunto carnefice Lee Harvey Oswald. Intanto Bob Dylan cantava A Hard Rain is gonna Fall e si faceva portavoce di quella generazione che riconosceva nelle parole delle sue canzoni i sentimenti che l’agitavano e le idee che la muovevano. Visualizzare una mappatura dell’immaginario statunitense è per Scorsese una necessità intrinseca, già sentita nel suo passato artistico, e per dipingere questa porzione di storia d’America l’unico modo sembra quello di dar voce ai personaggi che la riempiono, senza però mai scadere nell’agiografia e nella facile mitizzazione. Sono le parole del regista che racchiudono al meglio la volontà di narrare Dylan e la sua America: “Al centro di questo film ci sono gli occhi di Bob Dylan. Lui dice molte cose, ma i suoi occhi vanno altrove...”. Uscendo profondamente turbato dall’esperienza del tour britannico che, complice un misterioso incidente in moto, lo condurrà a evitare esibizioni live per otto anni (“voglio soltanto tornare a casa”, confessa ad un funzionario inglese), Dylan continuerà imperterrito nel suo percorso artistico individuale, non scendendo mai a compromessi con il proprio pubblico. “Non sono mai stato quel tipo di cantante che vuole essere uno di loro, voglio dire uno del pubblico. Non cerco di piacere…”.

No Direction Home riesce a farsi amare nonostante la lunghezza, grazie ad uno stile asciutto e distaccato, in cui l’occhio del regista si fa da parte lasciando che il suo oggetto d’elezione si racconti per la maggior parte del tempo da solo. L’autoritatto che ne viene fuori diventa gradualmente contraddittorio e sfaccettato, delineando il resoconto di una personalità non lineare e poliedrica, difficilmente inquadrabile. La coerenza è infatti un limite che Dylan non ha mai voluto imporsi, perché coercitiva e limitante: di conseguenza anche il senso di appartenenza ad una patria (termine che in inglese si traduce con “home”, casa dunque) è passibile di mille riscritture e delocalizzazioni, e per Dylan l’unico status è quello di non avere direzioni o un’identità definita, ma una natura nomade senza nessun confine geografico e soprattutto creativo. Nessuna casa dunque, nessuna patria, ma la libertà di oltrepassare i confini del perbenismo con irriverenza, sberleffo e dissacrante genialità.

 

 

SCHEDA FILM

TITOLO ORIGINALE: No Direction Home: Bob Dylan; REGIA: Martin Scorsese; MONTAGGIO: David Tedeschi; FOTOGRAFIA: Maryse Alberti, Mustapha Barat, Oliver Bokelberg, Anghel Decca, Ken Druckerman, Ellen Kuras, James Miller, James Reed, Lisa Rinzler, Michael Spiller; PRODUZIONE: USA/Gran Bretagna; ANNO: 2005; DURATA: 208 min.

 


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