Cosa succederà lo si capisce già dalla prima scena: il volto pallido e sbattuto di una Gwyneth Paltrow chiaramente in preda a una brutta febbre. Non passano cinque minuti che la si rivede testa a terra e occhi rivolti all’insù, e già entro il primo quarto d’ora di film un medico legale sarà impegnato a farle ‘la piega’ al cuoio capelluto, scena che con tutta probabilità non verrà inclusa nella clip per il suo Oscar alla carriera.

Che cosa ci fosse nel soggetto di Contagion di così forte da spingere Sodenbergh a revocare (temporaneamente?) le già annunciate dimissioni da regista, invece, non lo si capisce bene nemmeno quando terminano i titoli di coda. Non si tratta certo del “progetto della vita”, da portare avanti come una bandiera contro ogni avversità (come era stato con la travagliata saga del Che), ma neanche del film di cassetta utile a pensionarsi con la buonuscita. In effetti il titolo non rientra in nessuna delle due macrocategorie che fin qui si sono contese la filmografia sodenberghiana, pellicole d’autore da una parte e il blockbuster a sfondo politico dall’altra. La storia del virus assassino che si diffonde su scala globale, scatenando la classica corsa contro il tempo per trovare un antidoto, fa pensare di più a un b-movie catastrofico, buono magari per un passaggio televisivo di seconda serata. Contagion però aggira quasi del tutto la via adrenalinica per concentrarsi su uno sguardo più d’analisi. Le prime vittime del diffondersi dell’epidemia sono così i rapporti umani: affettivi, professionali, sociali o di potere. Su ogni tipologia di relazione il film si sofferma con freddezza, dipingendo un affresco corale che si rivelerà impietoso anche verso i suoi stessi personaggi, molti destinati ad essere abbandonati o a cadere (vedi la dottoressa di Kate Winslet) strada facendo.

Assieme alla caratteristica fotografia (firmata dall’autore sotto lo pseudonimo di Peter Andrews), il marchio di fabbrica sta appunto nelle considerazioni politiche. La trama si svolge in uno spazio-tempo contemporaneo preciso, dove l’ennesima epidemia che infetta le prime pagine internazionali viene accolta con una certa diffidenza. Divertente, a questo proposito, l’idea di mettere il virus in stretta relazione con l’informazione virale: la figura del blogger interpretato da Jude Law accentra su di sé tutte le paranoie, le fobie, i complottismi e le facili profezie dell’e-journalism fai-da-te, talvolta studiate a tavolino e in chiara malafede, talvolta comprensibile reazione ai sommovimenti di una burocrazia ottusa, quando non opaca. Ce ne sarà quindi anche per i piani alti perchè, una volta trovato il vaccino, scatta una nuova emergenza: la popolazione mondiale è costretta a fare la fila per acquistare la propria salvezza, con i soliti privilegiati da una parte e i colpi bassi delle popolazioni che da sempre si ritrovano ad essere le ultime della fila dall’altra. ‘Effetti collaterali’, questi, che la sceneggiatura di Scott Z. Burns tiene costantemente presenti senza però mai riuscire a svilupparli in una riflessione compiuta. Se pochi appunti d’interesse non bastano per fare di Contagion un buon film sono però sufficienti per renderlo almeno un degno altro capitolo nella produzione di un autore sempre riconoscibile.

TITOLO ORIGINALE: Contagion; REGIA: Steven Soderbergh; SCENEGGIATURA: Scott Z. Burns; FOTOGRAFIA: Steven Soderbergh; MONTAGGIO: Stephen Mirrione; MUSICA: Cliff Martinez; PRODUZIONE: USA; ANNO: 2011; DURATA: 105 min.