Future Film Festival 2011: le immagini di domani PDF 
Francesca Druidi   

Si rinnova l’appuntamento con il Future Film Festival, la rassegna bolognese dedicata alle nuove frontiere dell’animazione, degli effetti speciali e delle nuove tecnologie legate alla creazione delle immagini. La tredicesima edizione, tenutasi dal 21 al 23 aprile, è stata la prima a svolgersi nella nuova collocazione primaverile che d’ora in avanti caratterizzerà l’evento, approfittando quest’anno anche dello spazio della mediateca Salaborsa che ha regalato ulteriore centralità alla rassegna, le cui proiezioni sono state predisposte – come nel 2010 – al teatro Duse. Nonostante le ormai risapute difficoltà economiche con le quali fare i conti, il programma del FFF non ha mancato di proporre spunti di riflessione sul cinema del futuro attraverso incontri, convegni, anteprime ed eventi speciali con un filo conduttore destinato a emergere, il tema dell’alieno, e con un ospite d’eccezione come il regista Luc Besson, del quale sono stati riproposti gli ultimi lavori e Il quinto elemento.

Besson ha incontrato fan e addetti ai lavori, oltre ad aver accompagnato l’anteprima di Arthur e la guerra dei due mondi, capitolo conclusivo della trilogia (il cui primo episodio era stato proiettato proprio al FFF) tratta dai romanzi dello stesso Besson e Céline Garcia, in uscita nei cinema italiani il 10 giugno. Fautore di un cinema d’animazione “made in Europe”, in cerca di un’identità e di una propria autonomia rispetto ai modelli statunitense e nipponico, Besson in questo terzo episodio riprende le fila delle avventure dei protagonisti – Minimei e non – Arthur, Selena, Betameche, Darkos, Maltazard, nonna Granny e nonno Archibald e i genitori di Arthur, armonizzando effetti visivi digitali e contesto in live-action, dopo aver provato per molti mesi con attori in carne e ossa, i cui movimenti sono serviti da esempio per gli animatori. Film di puro intrattenimento per i più piccoli, ma apprezzabile anche dai più grandi per il suo gusto scherzosamente citazionista e scanzonato (la ricostruzione di Daisy Town richiama il naturalismo americano di Norman Rockwell ed Edward Hopper; Maltazard che per mimetizzarsi tra gli umani indossa i panni del personaggio dei fumetti Mandrake il Mago, con Star Wars che fa capolino). Arthur e la guerra dei due mondi conclude nel migliore dei modi la saga ecologista dedicata al popolo dei Minimei, confermando la solidità del team artistico e tecnico che ha supportato il cineasta di Nikita: lo scenografo Hugues Tissander, il direttore della fotografia Thierry Arbogast e la costumista Olivier Beriot, oltre agli artisti dell’animazione formati da Pierre Buffin e la BUF Compagnie. Il secondo Arthur e la Vendetta di Maltazard e Arthur e la guerra dei due mondi costituiscono una storia sola divisa in due episodi, girati insieme per evitare che il volto umano di Arthur, l’attore Freddie Highmore (Neverland, La fabbrica di cioccolato) crescesse troppo e non fosse più credibile per interpretare il personaggio. Da sottolineare la partecipazione di Iggy Pop, che doppia Darkos, e di Lou Reed che presta la sua voce a Maltazard nella versione anglosassone del film.

Fuori concorso è stato presentato anche il gotico-sentimental Cappuccetto Rosso Sangue, liberamente ispirato all’omonima favola che si intreccia all’oramai immancabile riproposizione dell’universo dei lupi mannari; il film è diretto da Catherine Hardwicke, con Amanda Seyfried, Gary Oldman, Julie Christie, Lukas Haas e Shiloh Fernandez. Appesantito dalla convenzionalità del triangolo amoroso che coinvolge la protagonista Valerie (Seyfried), il suo innamorato segreto, il taglialegna Peter (Shiloh Fernandez), e il terzo incomodo Henry (Max Irons), partito scelto dalla famiglia di lei come viatico per una migliore posizione economica e sociale, Red Riding Hood risulta indeciso su quale strada prendere, se quella di Twilight, de Il patto dei lupi o di The Village, per citare film che possono in qualche modo rievocare le componenti melodrammatiche, mistery e horror del lungometraggio, inficiando di fatto quella che poteva essere una buona idea di partenza: rileggere il celebre racconto popolare come la storia di formazione personale e soprattutto sentimentale di Cappuccetto rosso, focalizzandosi sul passaggio verso l’età adulta attraverso il confronto con il male, la paura e l’ipocrisia.

Già proiettato al festival del cinema di Roma, e in attesa dell’uscita italiana, Karigurashi no Arrietty, il nuovo film dello Studio Ghibli ha, come al solito, saputo incantare gli spettatori grazie al riuscito connubio di forma e contenuto: una tecnica che diventa arte per la bellezza dell’insieme e la precisione dei dettagli, unita a narrazioni sempre coerenti con i temi cardine che hanno reso lo Studio un punto di riferimento mondiale per l’animazione. Inserito nel programma fuori concorso, il film è stato scritto e prodotto da Hayao Miyazaki che, in questo caso, affida però la regia al giovane Hiromasa Yonebayashi, già animatore chiave de La città incantata e di Ponyo sulla scogliera. Come molte delle opere realizzate e prodotte dallo Studio Ghibli, ad esempio Il castello errante di Howl o I racconti di Terramare, diretto dal figlio di Miyazaki, Goro, anche Arietty mostra una derivazione letteraria e adatta, spostando l’azione dall’Inghilterra al Giappone, una serie di racconti dell’autrice britannica Mary Norton, The Borrowers, pubblicati a partire dagli anni Cinquanta. I “borrower” sono creature dalle fattezze umane, alte una decina di centimetri, che sopravvivono sotto il pavimento, negli interstizi e negli angoli nascosti delle abitazioni “rubacchiando” e prendendo in prestito piccoli oggetti – uno spillone, una foglia, una zolletta di zucchero o un fazzolettino di carta – che gli ingombranti padroni di casa neppure si accorgono di perdere o smarrire. Nessuno però deve sapere della loro esistenza, perché in quel caso i “borrower” si troverebbero in pericolo, costretti a migrare altrove. Arietty è una borrower di 14 anni volitiva e determinata, che vive in una grande casa in campagna insieme ai genitori, la sempre ansiosa Casilia e il silenzioso Pod, divisa tra il desiderio di libertà e scoperta e il richiamo all’obbedienza ai genitori, i quali le raccomandano prudenza nei suoi vagabondaggi. È, invece, proprio durante una delle sue scorazzate in giardino che viene vista da Sho, adolescente venuto a trascorrere dalla zia, proprietaria della casa, il periodo che precede il delicato intervento al cuore al quale deve sottoporsi. Nonostante i timori iniziali, Arietty non saprà resistere alla tentazione di conoscere meglio il ragazzo, che la rassicurerà e infine convincerà sulle buone intenzioni nei suoi confronti. Il loro rapporto di amicizia segnerà per sempre le loro vite. Il film, come spesso accade con i capolavori dello Studio Ghibli, delinea con mirabile poesia l’incontro tra due mondi, incarnati rispettivamente da Arietty e Sho, che sapranno prendere il meglio l’uno dall’altro, superando le diversità e alleviando le rispettive solitudini. Il lungometraggio è, dunque, un inno alla speranza e alla voglia di vivere, a dispetto delle difficoltà. L’incipit rappresentato dal mondo creato da Mary Norton permette, inoltre, a Yonebayashi di ideare ingegnose soluzioni, capaci di restituire le quotidiane avventure alle quali sono chiamati i “borrower” per recuperare gli oggetti a loro utili negli spazi abitati dagli esseri umani.

Oltre a World Invasion di Jonathan Liebesman, un’altra anteprima nazionale, che ha chiuso il festival, è stata The Adjustment Bureau, che uscirà in Italia a maggio con il titolo I guardiani del destino. Liberamente tratto dalla letteratura di Philip K. Dick, che tanto ha ispirato il cinema, e in particolare dal racconto breve Squadra riparazioni del 1954 (pubblicato in diverse raccolte), il film diretto dallo sceneggiatore di Ocean’s Twelve e The Bourne Ultimatum George Nolfi, al debutto dietro la macchina da presa, racconta la storia di David Norris, interpretato da Matt Damon, giovane politico di successo in piena campagna elettorale per diventare senatore, la cui ascesa viene interrotta da una foto compromettente pubblicata dai giornali poco prima del voto. Chiuso nel bagno dell’hotel che ospita il suo quartier generale, Norris sta provando il discorso ufficiale con cui ammette la sconfitta quando scopre che nella stanza c’è già qualcuno che lo ascolta: l’affascinante ballerina Elise Sallas (Emily Blunt), con la quale è amore a prima vista. La loro relazione non scorrerà però sui binari di una consueta love story, perché a interporsi tra loro ci sarà una squadra di agenti del fato, uomini dell’Adjustment Bureau appunto, incaricati da un fantomatico “presidente” di far rispettare i piani che già sono stati scritti per ogni essere umano. E nel destino di Norris Elise non c’è e non ci deve essere, pena l’azzeramento di tutti i ricordi e, quindi, dell’identità dell’uomo. Lo scontro tra gli agenti del fato e Norris, deciso invece a compiere le sue scelte in totale autonomia, diventa pertanto improcrastinabile. Essere padroni del proprio destino, non subirne passivamente le trame ma lottare per i propri obiettivi, sono temi universalmente suggestivi che, nel film di Nolfi, non vengono però letti e approfonditi in chiave sociologica o fantascientifica, quanto in chiave decisamente sentimentale. Siamo lontani, dunque, da scenari distopici inquietanti e ricchi di riflessioni sulla natura umana, ma il risultato è comunque apprezzabile, delineandosi come un inusuale film romantico intessuto di venature sci-fi, dotato di una grazia e di un ritmo capaci di rievocare in alcune situazioni le atmosfere delle romantic comedy del cinema americano nella sua epoca d’oro. Convincente, inoltre, la chimica tra il protagonista Matt Damon ed Emily Blunt e solida è la performance dei personaggi secondari, interpretati tra gli altri da John Slattery, Peter Stamp e Anthony Mackie.

Tra gli eventi speciali, oltre all’omaggio a Marshall McLuhan in occasione del centenario della sua nascita, grande interesse ha registrato Industrial Light & Magic: Creating the Impossible, film documentario diretto da Leslie Iwerks, già autrice del lavoro dedicato alla Pixar, che ripercorre la storia e l’evoluzione della casa di produzione di effetti speciali voluta e fondata da George Lucas nel 1975, oggi divisione della LucasFilm. Inizialmente focalizzata alla realizzazione degli effetti visivi per la mitologica saga di Star Wars, l’Industrial Light & Magic ha prodotto, nei successivi trent’anni, gli effetti speciali per alcuni dei capisaldi del cinema contemporaneo, da Terminator a Jurassic Park e Transformers, contribuendo in maniera determinante a cambiare il panorama delle nuove tecnologie digitali legate alla creazione delle immagini e sviluppando sempre di più la loro integrazione nel tessuto narrativo ed estetico dei film. Oltre alla voce narrante di Tom Cruise, arricchiscono il documentario le interviste esclusive a Steven Spielberg, George Lucas, J.J. Abrams, John Lasseter, Ed Catmull, Ron Howard e Samuel L. Jackson.

Protagonista ancora la IL&M con la presentazione del making of di Rango, primo lungometraggio completamente animato in 3D, non stereoscopico, realizzato dalla società americana. Maia Kayser, lead animator, ha svelato e illustrato i diversi aspetti della lavorazione del film diretto da Gore Verbinski, al suo debutto nel mondo dell’animazione dopo il successo de I Pirati dei Caraibi, evidenziandone gli aspetti maggiormente peculiari e innovativi, come il metodo attuato con gli attori che hanno sostenuto l’operato degli animatori – in primis Johnny Depp – e con i doppiatori dei personaggi, i quali hanno compiuto le loro sessioni di doppiaggio assieme e non singolarmente come avviene di solito. Un livello di dettaglio elevatissimo sia nella creazione dei numerosi personaggi che nella definizione di texture e lighting (con il supporto anche del direttore della fotografia Roger Deakins) contraddistingue, inoltre, Rango dagli altri competitor animati: del resto, l’obiettivo di Verbinski era quello di dar vita a un universo, quello incarnato dalla cittadina Dirt, che fosse il più possibile imperfetto, polveroso, sporco, debitore di pellicole come Chinatown, C’era una volta il West e anche Il Petroliere di Paul Thomas Anderson. È stato, infine, riproposto l’appuntamento con la tavola rotonda dedicata allo stato dell’arte del 3D in Italia, alla quale è seguita – a fine giornata – la proiezione dei primi 5 minuti del secondo episodio della saga di Kung Fu Panda.

Passando al concorso, la giuria ha attribuito il Platinum Grand Prize, premio del Future Film Festival per il miglior lungometraggio d’animazione o con effetti speciali, all’inquietante No Longer Human, film d’animazione prodotto dallo studio MadHouse, ospite affezionato del Future Film Festival, e diretto da Morio Asaka. Accettazione del proprio lato oscuro, senso di colpa e alienazione sono i temi che compongono questo drammatico adattamento del romanzo psicologico Ningen Shikkuaku scritto da Osamu Dazai nel 1948 e incentrato sulla vita di Ôba Yôzô. Il riconoscimento, citando la motivazione della giuria, è dipeso dall’“alta qualità della rivisitazione delle tematiche tradizionali, attraverso una grafica struggentemente funzionale, e dalla regia che dosa i tempi drammatici attingendo e miscelando la cultura visiva occidentale a quella nipponica”. Una Menzione speciale è andata poi a Paul di Greg Mottola, esilarante viaggio on the road che vede protagonista un alieno assieme alle due star del cinema demenziale inglese Simon Pegg e Nick Frost. Questa la motivazione: “Per la capacità di integrare un personaggio digitale nella drammaturgia della commedia. Per l’equilibrio che il film mantiene tra la posizione indipendente e quella mainstream, strappando applausi a scena aperta”. Il film esce a maggio e la voce di Paul sarà quella del cantante Elio.

 


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