La leggenda del re pescatore PDF 
Aldo Spiniello   

Il mondo non è mai più quello di una volta. Da qualche parte si agitano delle forze che congiurano contro un sistema di valori acquisiti, che modificano la struttura dell’esistenza, per riflettersi nell’immaginario e mandarlo in brandelli. Video killed the radio star dicevano i Buggles in una mitica canzone del 1979, presagendo di fatto la svolta epocale di un decennio in cui la società dello spettacolo si sarebbe definitivamente imposta, mostrando i suoi lati oscuri e rivoluzionando i modi di percezione della realtà. E dodici anni dopo, nel 1991, al termine di quei favolosi anni Ottanta, Terry Gilliam sembra ricordarsi di quella canzone, sancendo definitivamente il compimento della svolta, o meglio il punto di non ritorno. Perché, ancor prima di ogni altra cosa, La leggenda del re pescatore è il racconto di una caduta, di una radio star che si rende conto a proprio spese che il gioco non è più controllabile e lo show non può più esser distinto dalla realtà.

Jack Lucas (l’immenso Jeff Bridges) è un conduttore radiofonico di grande successo. La sua trasmissione è seguita da gente di ogni tipo, che telefona per raccontare, per aver un consiglio, per confidare la propria solitudine o la propria disperazione. Jack non si fa scrupolo di dire quello che pensa, anche a costo di essere sgradevole. Avverte il proprio carisma come un’investitura. Ma ecco che uno squilibrato, sconvolto da un’invettiva di Jack contro la corruzione e l’ipocrisia dilagante, irrompe in un ristorante armato di fucile e fa una strage. La finzione ha preso il sopravvento e lo show non può andare avanti, senza causare dolore. Jack, sentendosi responsabile della tragedia, piomba in una crisi profonda, abbandona il lavoro e comincia a bere. Qualche tempo dopo, incontra Parry (Robin Williams), un barbone un po’ suonato, che lo salva da alcuni teppisti. Per caso, Jack scopre che l’uomo è un ex professore di storia medioevale, impazzito dopo la morte della moglie per mano dello squilibrato. È l’ennesimo shock. Ma forse, aiutando Parry, Jack potrà liberarsi dai sensi di colpa che lo attanagliano.

La sceneggiatura è di un giovane alle prime armi, Richard LaGravenese, futuro regista di Kiss e dello splendido e incompreso P.S. I Love You. E a ben guardare, con il senno di poi, La leggenda del re pescatore presenta tracce evidenti dei temi ricorrenti e delle ossessioni di LaGravenese. Il dolore, la perdita, la necessaria elaborazione del lutto, la possibilità di ricominciare, il romanticismo come eccesso necessario. Segni di un minimalismo e di un intimismo che, a prima vista, dovrebbero far fatica a inserirsi nel cinema incontinente di Terry Gilliam, sempre fuori misura, smarginato, apparentemente così poco incline alle note romantiche e malinconiche. Epperò nel caso de La leggenda del re pescatore il miracolo riesce. È come se Terry Gilliam, nelle volute sentimentali dello script di LaGravenese, trovasse un appiglio, un’ancora che gli impedisce di naufragare, di andare completamente alla deriva. Del resto, se il fascino maggiore del cinema di Gilliam sta nella fantasia irrefrenabile che sembra sempre disfare e rifare il mondo nel nome delle storie, molto spesso proprio questo eccesso fantastico diventa un limite, in quanto la frenesia delle invenzioni visive non riesce sempre a tenere il passo e il ritmo del racconto, non regge un intero film, se non nei casi migliori (Brazil, Tideland, The Imaginarium of Dr. Parnassus). Qua, invece, Gilliam è come costretto a (in)seguire il filo dello script, a tenere in piedi quella storia di cui è stato investito. D’altro canto, la storia non congiura contro il discorso e il tocco di LaGravenese si inserisce appieno nell’orizzonte poetico del regista. E già il titolo parla chiaro, racconta le ossessioni di sempre: la leggenda, il mito come senso dell’esistenza. “Fino a che si racconteranno storie il mondo non crollerà” dice Parnassus, ed è la formula con cui si sancisce il potere dell’immaginario di riflettere e ridisegnare le coordinate della realtà.

E se Parry vive in un immaginario irrimediabilmente fuori tempo, in un universo medioevale di cavalieri di fuoco e calici sacri, in cui il bene e il male si sfidano a duello, è solo perché la crisi contemporanea dell’immaginario non permette di rintracciare i codici di lettura del mondo. La fantasia è ridotta al grado zero e solo gli occhi di un folle possono incantarsi dinanzi al ballo di una folla anonima e distratta, ridonare vita e movimento alle cose, spostare le nuvole. Rinascere, dopo la morte, contro l’oblio.

TITOLO ORIGINALE: The Fisher King; REGIA: Terry Gilliam; SCENEGGIATURA: Richard LaGravenese; FOTOGRAFIA: Roger Pratt; MONTAGGIO: Lesley Walker; MUSICA: George  Fenton; PRODUZIONE: USA; ANNO: 1991; DURATA: 135 min.

 


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