Anna Negri PDF 
Anna Barison   

ImageÈ uscito nelle sale il suo secondo lungometraggio, Riprendimi. Vorrei però iniziare dal suo esordio come regista. Nove anni fa, infatti, usciva In principio erano le mutande, un’opera che mescolava la commedia all’italiana con l’intensità del neorealismo, in un mélange dai risvolti tragicomici. Quant’è rimasto dei suoi esordi nella sua ultima fatica cinematografica?

Il mio primo film risale al 1999 ed è molto diverso dall’ultimo perché è stato concepito e girato con fatica, una fatica legata alle ridotte possibilità economiche e al fatto che in Italia i piccoli film hanno poca visibilità e risentono dell’egemonia del cinema mainstream. Dopo vari progetti non portati a termine per mancanza di finanziamenti, sono riuscita a girare Riprendimi. Questo è un film realizzato in maniera indipendente e con tecnologia digitale, ma deriva dall’esperienza che ho maturato negli ultimi anni all’estero, in Inghilterra soprattutto, dove ho girato vari cortometraggi e ho avuto la possibilità di relazionarmi con i registi stranieri.

Riprendimi, attraverso quel filone cinematografico detto mockumentary (“falso documentario”n.d.r), esamina le dinamiche sociali dettate dai contratti lavorativi a termine, un tema molto attuale al cinema e nella letteratura. Questo grido d’accusa della cultura servirà a smuovere la difficile situazione italiana?

È vero, oggi se ne parla molto. Per esempio anche l’ultimo film di Paolo Virzì affronta la tematica sociale del lavoro precario. Però il mio film è stato girato prima di Tutta la vita davanti, e si inserisce di più nel contesto del precariato affettivo, perché narra le difficoltà di una coppia a gestire la vita a due e la separazione, avendo alle spalle l’instabilità lavorativa. Una precarietà sentimentale che è strettamente legata a quella lavorativa, dal momento che in Italia viviamo in una società gerontocratica che non assicura una crescita professionale ai giovani. Però nelle mie intenzioni non c’era il desiderio di fare una critica sociale, ma sicuramente ritengo che l’attenzione del cinema posta al problema servirà a denunciare l’insicurezza totale che va a toccare anche la certezza degli affetti, come nel caso dei protagonisti del mio film.

ImageIl suo film ha un’intensità molto femminile e in qualche modo si sente che dall’altra parte c’è una donna…

Sì, e in parte è una scelta autobiografica perché quando mi stavo separando vedevo che nessuno al cinema approfondiva l’argomento, come se fosse un problema lontano da tutti. Questo è un film che tocca le donne e vuole essere vicino a loro, anche perché io sono una donna e non potevo fare altrimenti. Lo stesso titolo è ambivalente e parte dalla protagonista che vuole sia ritornare con il suo ragazzo, sia essere ripresa dalle telecamere, avendo accettato l’idea di essere la protagonista di un documentario.

Parliamo dei protagonisti di Riprendimi, interpretati da Alba Caterina Rohrwacher, Marco Foschi e Valentina Lodovini. Come ha lavorato con loro sul set?

Gli attori sono stati scelti dopo un normale casting. Mi interessava scegliere attori bravi, che arrivavano dal teatro, e così ho fatto. C’è molta spontaneità nelle riprese, rubavo immagini e coglievo i momenti più intimi. C’è stato un work in progress nelle prove, le scene infatti venivano girate dagli attori seguendo la sceneggiatura ma prendendo spunto anche dalle loro dinamiche personali. Gli attori hanno sicuramente portato una parte del loro vissuto sulla scena, aggiungendo freschezza  e spontaneità al film.

Il film, prodotto dalla Bess Movie di Francesca Neri, è un film a basso budget e girato in digitale nonostante sia distribuito da Medusa.

Il film è costato fino al primo montato 500.000 euro, poi è stato comprato da Medusa, che era molto interessata al progetto, ed è arrivato a costare 700.000 euro. È stato girato con telecamere digitali dvcam,  poi registrato su una memory card, che è stata scaricata su un computer portatile. Ho così avuto la possibilità di montarlo a casa mia. Per quanto riguarda Francesca Neri, devo dire che lavora come gli attori di Hollywood; infatti, come le grandi star, finanzia a sue spese i nuovi registi indipendenti credendo in loro e nelle loro idee. Inoltre ha la mia età e abbiamo stabilito subito una buona empatia.

ImageIl film è stato in concorso al Sundance Film Festival, il festival creato da Robert Redford, luogo del cinema indipendente più accreditato. Che cosa le ha portato questa esperienza?

Il mio film è stato accolto positivamente. Il Sundance è un festival fantastico, raccoglie tutti i migliori film indipendenti e mi sono resa conto che moltissime persone scelgono questa strada, un percorso artistico lontano dal circuito commerciale, che offre la possibilità di conoscere nuovi linguaggi e avere enorme libertà. L’industria americana in questo è molto attenta: alle nuove possibilità, ai progetti di nicchia e all’originalità delle idee. Il cinema hollywoodiano funziona benissimo, ma anche i film minori, negli Stati Uniti, sono presi in considerazione, anzi sviluppano la possibilità di parlare di argomenti quali la politica, o i gay, di cui il cinema mainstream non osa parlare.

Il cinema digitale è molto democratico, offre la possibilità a tutti di diventare registi. Secondo lei questo è un valore aggiunto o un’arma a doppio taglio?

L’avvento del digitale offre la possibilità a tutti di fare cinema, questo è un traguardo importante perché si possono così scoprire grandi talenti. Il mio sogno è quello di scoprire il “Giotto” del cinema, perché avere successo con questi nuovi mezzi è un sogno realizzabile. Il facile accesso al cinema crea un bene alla portata di tutti. Io mi sento una regista globale, ho avuto infatti la possibilità di lavorare all’estero, in Inghilterra, in Marocco, negli Stati Uniti e in Olanda e, rapportandomi con i registi stranieri, ho intrapreso una lunga formazione e posso quindi dire che non è solo il digitale che dà la possibilità di dirigere un film, ma anche l’esperienza e la comunicazione con le grandi personalità del cinema.

ImageChe consigli si sente di dare ai giovani che vogliono intraprendere il suo mestiere?

Penso che si dovrebbe guardare all’estero con più interesse, le nuove leve dovrebbero imparare dagli stranieri il mestiere del cinema, come ho fatto io. Inoltre, credo che gli aspiranti registi dovrebbero partire da piccoli progetti. L’ideale sarebbe quello di scrivere storie che si possano realizzare con pochi soldi, senza avere la presunzione di creare un’opera produttivamente inattuabile. Per chi lavora nel settore, già fare un film indipendente è un percorso difficile, anche se poi si può ottenere un grande successo. È anche la mia speranza per Riprendimi, un piccolo film, senza attori noti, ma che ha già avuto buone risposte.

 


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