Sono passati quarantacinque anni dall'uscita in sala di una delle pellicole simbolo di Sergio Leone, della storia del nostro cinema e del western. Quarantacinque anni in cui il mito legato alla grande tradizione de Il buono, il brutto, il cattivo non ha fatto altro che crescere, a dispetto delle mode e delle generazioni che naturalmente, e inesorabilmente, finivano per passare una dopo l'altra.
Kim Ji-woon rende omaggio a modo suo a questo cult universalmente riconosciuto costruendo una pellicola che mescola azione, commedia, influenze quasi steampunk e figlie di una cultura legata senza dubbio al fumetto. Senza dimenticare, ovviamente, il cinema di Leone e il western: non si parla di remake o reboot in salsa orientale, questo sia chiaro fin dal principio, quanto di una sorta di adattamento in grado di emanciparsi dall'originale sfruttando alcune buone idee (ottimo, ad esempio, l'inserimento dell'esercito giapponese nella contesa ambientata tra Manciuria, Corea e Russia, così come la verità sul "tesoro" la cui ricerca vede coinvolti i tre protagonisti) portate in scena con una perizia da manuale, dal piano sequenza dell'assalto al treno in apertura ai numerosi carrelli - un omaggio a un altro mito della Frontiera, John Ford? -, dalla messa in scena di grande impatto alla produzione sicuramente non così "spaghetti" come lo furono molte tra quelle che proprio Il buono, il brutto, il cattivo portò alla ribalta delle cronache di allora. Eppure il lavoro del regista, benché divertente e di sicuro valore, non riesce ad andare oltre: il problema principale di questa pellicola, infatti, è l'assenza di un'anima, la stessa che rese assolutamente grande, e a suo modo immortale, l'opera di Sergio Leone. Dagli attori - soprattutto il "buono" Woo Sung Yung, assolutamente privo del carisma delle due espressioni di cui fu capace Clint Eastwood - al cuore della sceneggiatura, tutto pare costruito troppo a tavolino per diventare effettivamente materia da cult, e benché le scene - soprattutto di battaglia - siano realizzate sfoggiando, come detto, un'ottima tecnica, l'emozione resta davvero poca. A fare la differenza resta il solo Kang Ho Song, che con il suo "matto" ricorda al pubblico il perché sia uno dei volti di riferimento del cinema coreano (ha lavorato con cineasti del calibro di Park Chan Wook e Bong Ho Joon): la parte del leone spetta proprio a lui, che, pur non eguagliando il mitico Eli Wallach, porta sullo schermo una caratterizzazione simile a quella delle sue parti più irriverenti. La colonna sonora resta in bilico, come la pellicola, convincendo soprattutto nei riferimenti al passato, ma restando anonima rispetto al gioiello che fu quella che ritmò in tutti i sensi le imprese della premiata ditta Eastwood-Wallach-Van Cleef.
Probabilmente, e considerati i risultati, il modo migliore per godersi quello che a tutti gli effetti resta un prodotto più che discreto, ben realizzato e arrivato in Italia con colpevole ritardo, è non pensare alla pellicola cui si è ispirato il suo regista per portarlo in scena, bensì considerare questa operazione come qualcosa di unico e a sé stante, lontano dai cliché dei remake, dai paragoni e dagli omaggi. Anche perché il rischio di svilire il lavoro di Kim Ji-woon, in questo modo, è considerevolmente grande. E se non fosse altro che per l'esecuzione, Il buono il matto e il cattivo non merita certo di essere trattato alla stregua di un riciclo. Saltate dunque a cavallo, armate le pistole e tuffatevi in quest'avventura senza pensare troppo: sicuramente il risultato sarà migliore di quanto non vi sarete aspettati.
TITOLO ORIGINALE: Jongheun nom, Nabbeun nom, Isanghan nom; REGIA: Kim Ji-woon; SCENEGGIATURA: Kim Ji-woon, Kim Min-suk; FOTOGRAFIA: Lee Mo-gae, Oh Seung-Chul; MONTAGGIO: Nam Na-young; MUSICA: Dalparan, Jang Yeong-gyu; PRODUZIONE: Corea del Sud; ANNO: 2008; DURATA: 130 min.
|