Non si può certo affermare che la carriera di George Clooney non sia sfolgorante. Da "medico in prima linea" passa in breve tempo al firmamento dello star system made in Hollywood, da producer e produttore esecutivo - insieme al suo compagno d'avventure Steven Soderbergh - a regista di lungometraggi di successo. Ma se l'intercambialità dei ruoli non stupisce più di tanto - molti infatti sono gli attori che, prima o poi, decidono di passare dietro la macchina da presa (Gibson, Turturro, Penn, Buscemi, solo per citarne alcuni) -, ciò che rende questi tentativi qualcosa di più di semplici esperimenti è la loro pregevole confezione, la capacità da parte di un attore belloccio e piacione di reinventarsi abile regista. È questo il caso di Clooney, che con il suo Good Night, and Good Luck conferma una sensibilità e una capacità registica che già aveva lasciato intuire con Confessioni di una mente pericolosa, il suo primo lavoro datato 2002.

Apparso a sorpresa tra le opere in concorso nell'ultima edizione della Mostra del Cinema di Venezia - dove si è aggiudicato il premio "Coppa Volpi" per la migliore interpretazione maschile (andato a David Strathairn) e il premio "Osella" per la migliore sceneggiatura - il ladro gentiluomo di Out of sight (Steven Soderberg, 1998) mette in scena la storia di Edward R. Murrow, conduttore di punta di programmi di approfondimento della televisione CBS dei primi anni '50, che sfruttando un fatto di cronaca porta alla luce l'anti-democratica politica repressiva del senatore McCarthy, al tempo presidente della commissione delle attività antiamericane.

Clooney introduce lo spettatore nella frenetica ed idealista redazione della CBS senza lasciarsi andare a banali preamboli. La sequenza iniziale presenta fin da subito quelli che saranno i protagonisti del film (l'attore-regista tra l'altro ha compiuto l'elegante scelta di ritagliarsi un ruolo marginale) che ritroviamo, appena dopo, alle prese con le problematiche di un'emittente televisiva di successo. Un vero e proprio tranche de vie basato su una sceneggiatura immediata e senza fronzoli che, a dispetto degli standard a cui ci ha abituati la produzione cinematografica americana, se da una parte non si abbandona a facili ed immediate spiegazioni dei retroscena della vicenda, dall'altra agevola l'immediata proiezione nel contesto storico-narrativo della messa in scena. A questo Clooney aggiunge una regia puntuale ma leggera e concentra l'azione quasi completamente all'interno dei set televisivi - veri e propri campi di battaglia dei protagonisti -, conferendo un'atmosfera nervosa e claustrofobica, stigmatizzata dal plastico bianco e nero della fotografia di Robert Elswit che rende quasi palpabile il fumo delle sigarette, il peso delle attrezzature tecniche del periodo, i contrasti tra la luce e l'ombra, la verità e la menzogna.

Good Night, and Good Luck è infatti soprattutto un sincero ed accorato richiamo ai valori di libertà, sacrificio e impavidità che dovrebbero sottendere lo spirito giornalistico e alla funzione che ieri, come oggi, dovrebbe svolgere la televisione. Una denuncia neanche troppo velata nei confronti di un'informazione ormai costantemente manipolata e asservita ai potenti. Un atto di accusa contro quelle censure che quotidianamente imbrigliano la libertà di pensiero e di stampa nel tentativo di annientare la capacità di veicolare informazioni in pochi secondi a milioni di persone, effettiva arma a doppio taglio del piccolo schermo.

Con il suo secondo lungometraggio Clooney riesce pertanto ad emozionare e far riflettere su un argomento sempre più attuale e dalle svariate sfumature.