Rango PDF 
Alice Sivo   

Il piacevolissimo esordio nel cinema d’animazione di Gore Verbinski e dell’Industrial Light & Magic di George Lucas è un western sui generis. Il nostro eroe è un camaleonte – e già questo basterebbe a farne un western del tutto atipico – alla ricerca della propria identità, che si ritrova catapultato da un rassicurante quanto noioso terrario in una cittadina polverosa e arida abitata da animali dall’aspetto preistorico, ma con tic e caratteri tutti contemporanei: la bambina topo Priscilla, cinica e perfida, la lucertola Borlotta, che nei momenti di tensione si blocca, il coniglio alcolizzato Doc. Del western Rango mescola e frulla le ispirazioni più varie – da John Ford a Sergio Leone, da Sam Peckinpah a Howard Hawks (sputacchiera compresa) – e ne rielabora in chiave comica tutti gli archetipi: lo straniero senza nome, lo sceriffo in cerca di giustizia, il sindaco corrotto, la donna forte ma tenera, la città senza legge. Nella classica atmosfera western s’inserisce poi un continuo gioco con gli altri generi cinematografici: la commedia romantica, l’umorismo demenziale, l’horror, la fantascienza, l’avventura, i polizieschi.

Il lavoro sui generi(s) unito ad una struttura narrativa ad orologeria e alla descrizione di un protagonista complesso e sfaccettato rendono Rango un perfetto esempio di racconto meta-cinematografico e in senso più lato meta-narrativo. Rango per vincere la solitudine, in un terrario dove la sua donna è un busto di Barbie e il suo amico un pesce di plastica a carica, inventa storie. E delle sue storie è autore, regista e attore. Un artista a tutto tondo insomma, al quale non pare vero, quando si ritrova nel West – traghettato da un saggio armadillo – di avere finalmente un pubblico reale che ascolti i suoi racconti e creda alla sua falsa identità. A partire dal nome: “Rango” (un mix tra i pistoleri cinematografici Ringo e Django) è in realtà la parola che il camaleonte legge nel saloon sotto la bottiglia di succo di cactus. Da quel momento in poi la conquista dell’identità di un camaleonte che non sa mimetizzarsi se non recitando un ruolo – e quindi, paradossalmente, mettendosi al centro dell’attenzione – sarà un susseguirsi di bugie sempre più grosse e di colpi di teatro, compresa la rappresentazione di un’improbabile compagnia di strada, messa in scena per ingannare i nemici. A fare da cornice a questa storia di racconti, un coro di gufi mariachi che cantano le gesta dell’eroe “gufando” con un buffo pessimismo sull’imminente morte di Rango che puntualmente non avviene. I livelli narrativi che compongono la storia fanno di Rango un trattato di narratologia mimetizzato in un film.

Il meta-cinema da parte sua è in ogni scena. Omaggi e citazioni a non finire, con un ritmo vorticoso che rinuncia alla strizzatina d’occhio al pubblico adulto. Ci si gode così il gioco di riferimenti e ci si risparmia l’autocompiacimento degli autori che spesso si respira nei film d’animazione. La trama principale, che ruota intorno alla misteriosa scomparsa dell’acqua nella cittadina di Polvere, è ispirata a Chinatown di Polanski e il perfido sindaco è chiaramente un John Huston formato testuggine. Da Paura e delirio a Las Vegas a I soliti sospetti, da Guerre stellari ad Apocalypse now, da Stanley Kubrick a Billy Wilder, solo per citare alcune ispirazioni extra western. Il West cinematografico – affascinante, arido e dimenticato – si respira in ogni granello di Polvere e culmina nell’apparizione dello Spirito del West, che ha le fattezze e l’imponenza del Clint Eastwood pistolero. Il lavoro scenografico è impressionante. Polvere riesce a essere una classica città del West anche se è abitata da rettili e anfibi e anche se, a guardar bene, è composta dai rifiuti della società umana: bottiglie, bidoni, bombolette spray, bastoncini di ghiacciolo. La fotografia è quanto di più vicino si sia mai visto a un film in carne ed ossa: la supervisione di Roger Deakins, reduce da un altro western atipico, Il Grinta dei Coen, porta sullo schermo la grana reale e sensoriale della pellicola. La sacrosanta rinuncia all’onnipresente e abusato 3D non pregiudica ma esalta la profondità di campo in ogni inquadratura.

Rango è un film strange e stranger come il camaleonte che lo “interpreta”: un oggetto alieno e multiforme che non si mimetizza nel panorama del cinema d’animazione, ma spicca col suo spirito ironico e profondo, colto ma mai snob. L’irresistibile camaleonte-attore, che inizia la sua storia da buffone in camicia hawaiana e a forza di interpretare il ruolo dello sceriffo riesce a diventare un eroe, è una dichiarazione d’amore nei confronti del cinema e del potere della narrazione.

TITOLO ORIGINALE: Rango; REGIA: Gore Verbinski; SCENEGGIATURA: John Logan; MONTAGGIO: Craig Wood; MUSICA: Hans Zimmer; PRODUZIONE: USA; ANNO: 2011; DURATA:107 min.

 


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