Quo vadis, baby? PDF 
di Christian Olivo   

Giorgia Cantini (Angela Baraldi) è una detective privata solitaria e poco attraente con un debole per l'alcol, vizio che in lei assume spesso proporzioni devastanti. Nel vagare di locale in locale, Giorgia realizza di aver probabilmente sprecato la propria esistenza. Decide così di indagare, questa volta, sulla sua stessa vita, partendo da un plico di lettere e nastri recapitatile da un misterioso amico della sorella Ada (Claudia Zanella), morta suicida sedici anni prima. Un suicidio dai contorni oscuri, un caso che appare sempre più frammentato. Un suicidio che forse non è tale… In questa indagine umana e non, Giorgia verrà affiancata dal commissario di polizia Bruni (Andrea Renzi) che, totalmente disinteressato professionalmente ma umanamente vicino, aiuterà la giovane donna a svelare le inquietanti ombre del passato e ad allontanare quelle minacciose del presente conseguenti all'incontro con Andrea Berti (Gigio Alberti), uno strano docente universitario.

Grave e inatteso passo falso di colui che probabilmente è il più vitale tra i registi di casa nostra, quel Gabriele Salvatores che un paio di stagioni or sono ci aveva sorpreso con Io non ho paura, quasi un capolavoro in una cinematografia che nell'ultimo decennio ne è quasi spoglia. E non ci sentiamo neppure di definirla "un'occasione mancata", perché qui di occasioni non ne scorgiamo neppure l'ombra, nonostante il tanto noir di cui la pellicola si tinge. Già, perché per essere noir lo è, eccome; non un raggio di sole che penetri una stanza, né una fioca luce naturale a spezzare tante tenebre. Che poi sono quelle dell'anima, banalmente "telefonate" dalle inquadrature, da quel digitale per cui il film sembra essere nato, dalle ombre cinesi, dalle scelte registiche così diverse nel corso del film da farlo sembrare opera a più mani.

Non è chiaro dove voglia andare a parare questo Salvatores. Sì, perché questo Salvatores non è certamente quello sincero e qualche volta ingenuo di tante sue pellicole. È un Salvatores che sembra quasi prendere le distanze da quel Premio Oscar che suona quanto mai come una maledizione, da quei riscontri al botteghino che forse avevano sorpreso lo stesso regista, che qui ci appare autoriale e autoritario, distante anni luce dalle pellicole a cui ci aveva abituato, nonostante Amnesia e Denti ne segnalassero già la natura occulta. Tutto già visto, e la volta precedente era già una volta di troppo. Certo è che, persa la schiettezza e l'onestà di un cinema più popolare, resta l'idea di sperimentazione e ricerca. Un coraggio inciso però su una pochezza di sostanza che raramente ricordiamo in Salvatores. Il processo diegetico resta incompiuto, perso senza possibilità di ritorno in una ricerca che sembra più quella filmica che quella più squisitamente di plot. Forse l'occasione mancata esiste, in fondo: le prove recitative di Angela Baraldi, Andrea Renzi ed Elio Germano, probabilmente uno dei migliori attori italiani in circolazione, sono di carattere nonostante quel sottile filo di innaturale filodrammaticità, ma purtroppo non salvano il film dal tracollo che nel finale assume proporzioni ancora più imbarazzanti: la voce fuori campo sulle sequenze di M, il mostro di Düsseldorf di Lang a stringere le fila del discorso e quasi a scusarsi con lo spettatore del banale pretesto e della mancanza di una seppur sottile logica.

Il tocco di perversione cinefila del titolo originato da una battuta di Ultimo tango a Parigi resta irrisolto, quindi, nell'alta definizione digitale e nell'impeccabile confezione che negli ultimi tempi sembra attendere il pubblico all'angolo. E dietro l'angolo, il nulla.

 


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