Toy Story 3 - La grande fuga PDF 
Monica Pentenero   

Il  nuovo spettacolo Pixar comincia con l’ormai tradizionale cortometraggio: è il turno de Quando il giorno incontra la notte, diretto da Teddy Newton, godibile e pionieristico dal punto di vista tecnico, ma spiazzante, poiché appare come il meno “pixariano” tra quelli finora realizzati. Ciò che non si può fare a meno di notare, quindici anni e dieci lungometraggi dopo il primo difficile accordo con la Walt Disney Pictures, è il messaggio dato dalle uniche parole del corto: rischiare, credere nelle novità, superando la paura dell’ignoto, è l’unico modo per realizzare qualcosa di veramente sensazionale, cosa che la Disney ha saputo fare con grande fatica quando le è stato proposto il nuovo modello di animazione digitale dal team di John Lasseter. Una stoccata di classe, proprio alle soglie del terzo trionfo con i personaggi dell’esordio, l’improbabile coppia cowboy + space ranger.

Dove eravamo rimasti? L’inizio di Toy Story 3 sembra rispondere a questa immaginaria domanda, accogliendo i bambini di oggi e ammiccando a quelli di ieri, prima di svelare la nuova angoscia con cui dovranno fare i conti i variopinti protagonisti: il loro “bambino”, Andy, è in partenza per il college, dunque Woody, Buzz e il manipolo di giocattoli sopravvissuto all’inesorabile passare del tempo sono destinati alla reclusione in soffitta o alla distruzione in discarica, prospettive non certo allettanti. L’abbandono, vera morte del giocattolo, come ha spiegato undici anni fa Toy Story 2, è ancora il centro dell’azione, che però assume caratteri nuovi rispetto ai primi capitoli della saga: tinte fosche, ambientazione rinnovata (l’asilo Sunnyside) e un discreto utilizzo della tecnologia 3D. A rimanere gli stessi sono l’evidente retroscena psicologico, la consistenza dei personaggi, cattivi compresi, l’ironia dilagante, l’ottima estetica delle immagini e una sceneggiatura in cui tutto torna, dalla prima all’ultima sequenza.

Se i cattivi di turno sono più inquietanti del solito, soprattutto grazie al loro aspetto falsamente rassicurante, ad equilibrare la situazione intervengono le prodezze di Mr. Potato e l’inedita versione spagnola di Buzz Lightyear, che divertono e rassicurano il pubblico dei più piccoli, estasiati dall’ambientazione a loro decisamente familiare. Tuttavia, sarebbe sbagliato credere che questo cartoon sia destinato esclusivamente ai bambini: citazioni che vanno da Ritorno al futuro a Sex and the City, momenti parodici, retti in particolare da Barbie e Ken (senz’altro migliori attori non protagonisti: interpretano loro stessi con innegabile trasporto), sono numerosissime le allusioni che strizzano l’occhio ai fan adulti. L’inevitabile sensazione di déjà vu è ampiamente riscattata dalla dimostrazione data dalla Pixar di saper creare, con personaggi noti, un film indipendente da quelli passati, e quindi non avrebbe senso un pedante  confronto con gli altri capitoli: La grande fuga deve essere giudicato soprattutto come opera a sé stante, perché è certamente il punto d’approdo di un percorso, ma è soprattutto un nuovo film d’animazione che ha forza autonoma. Ancora più importante, poi, è riconoscere agli studios di Emeryville di aver saputo fare breccia nel cuore dei piccini che, naso all’insù e bocca spalancata, non si perdono un secondo del cartoon sul grande schermo. Non è da tutti saper ripresentare, oggi, con successo, personaggi creati su misura per gli anni Novanta, conquistando il cuore di una generazione cui sono pressoché sconosciuti.

Il regista, non più il guru John Lasseter, papà di Buzz e Woody, ma l’ormai veterano Lee Unkrich, ha dichiarato di aver tratto ispirazione da una disavventura realmente accaduta alla moglie, i cui giocattoli sono stati gettati nella spazzatura per errore. Ma sappiamo che c’è di più: l’idea di catapultare Buzz e Woody in una scuola materna risale al Toy Story inaugurale, ma, all’epoca, la possibilità era stata scartata in favore della rivalità fra i due giocattoli protagonisti. Quindici anni dopo il loro esordio, i balocchi di Andy sono cresciuti, così come il loro padroncino, e sono pronti a superare brillantemente anche questa prova. La conclusione, in classico stile Pixar, evita saggiamente una redenzione eccessivamente melensa degli antagonisti e, cosa ancora più apprezzabile, non affianca una compagna allo sceriffo Woody, ma saluta uno per uno i personaggi, tanto da giustificare la supposizione che, questa volta, per gli ingegnosi giocattoli sia davvero la fine … O forse no?

TITOLO ORIGINALE: Toy Story 3; REGIA: Lee Unkrich; SCENEGGIATURA: Michael Arndt; FOTOGRAFIA: Jeremy Lasky; MONTAGGIO: Ken Schretzmann, Lee Unkrich; MUSICA: Randy Newman; PRODUZIONE: USA; ANNO: 2010; DURATA: 109 min.

 


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