Felice Farina: il mio film tra Resnais e Méliès PDF 
Maurizio Ermisino   

Thriller dell’anima. È così che si può definire La fisica dell’acqua  di Felice Farina. È un film che riesce a scavare nel profondo dell’anima di un bambino di sette anni che ha perso il padre e si vede oppresso dalla figura dello zio. E lo fa con un senso di attesa, di sospensione, di costante pericolo, che tiene incollati fino allo svelamento finale. È un film carico di simbolismi e suggestioni letterarie, è una storia che ha qualcosa di ancestrale.

Il suo film affascina sin dal titolo, che evoca qualcosa di scientifico. Perché La fisica dell’acqua?
È un titolo che ha un’eco scientifica: il bambino protagonista ha uno sguardo "biologico" sulla vita, e questa è una delle sue profondità. L’acqua è un elemento ancestrale, uno dei quattro elementi essenziali, e il film in qualche modo è vicino a un’essenzialità di sguardo.

Nel film colpisce da subito la voce narrante del bambino, che analizza le differenze di comportamento tra uomini e animali in modo scientifico. Come ha scelto questa soluzione?
Questo film ha dei padri: uno dei padri si chiama Mon oncle d’Amérique, un film di Alain Resnais, in cui il regista mette in scena le nuove – per l’epoca – teorie comportamentali di Henri Laborit, biochimico e filosofo. Gli scritti di Laborit sono una constatazione neutra dei fenomeni che avvengono, senza alcun giudizio. La cosa che ha sorpreso anche me, ma questo è merito del montaggio di Esmeralda Calabria, è che tutto questo materiale, che non è proprio di un bambino di sette anni, in qualche modo va ad adattarsi piuttosto bene allo sguardo di un ragazzino, e non suona forzato. La cosa che mi rende soddisfatto è questa apparente leggerezza, dietro alla quale si cela un lavoro di indagine molto complesso.

L’acqua è un elemento che può essere visto in molti modi. Può essere vita, nascita, battesimo, purificazione, ma anche morte, inondazioni, affogamento. Come abbiamo avuto modo di apprezzare, per esempio, negli horror giapponesi. Nel suo film l’acqua è entrambe le cose …
L’acqua è anche l'elemento che porta alla rivelazione finale: sott’acqua avviene un’agnizione, è lì che il bambino trova la verità. Perché il film racconta la storia di una ricerca della verità, di una battaglia per conquistarla. L’acqua è profondamente legata al fenomeno della vita, nel suo divenire. E rappresenta in maniera fortissima la coscienza. E questo è un film che porta lo spettatore ai confini estremi della coscienza. L’acqua in qualche maniera è il lubrificante, ciò che avvolge, è amniotica. Rappresenta un senso di morte, perché lì avvengono delle tragedie, ma anche un senso di vita.

La storia è concreta, ma anche fortemente simbolica. In questo senso i due personaggi maschili adulti rappresentano il cattivo esempio e il mentore, e sembrano usciti da pagine letterarie, come in alcuni romanzi di Dickens: pensiamo all’apparizione di Claudio Amendola, zoppicante e tra i tuoni …
La sceneggiatura è scritta a sei mani, e ognuno ha portato i suoi "doni". Quello di Mauro Casiraghi è stato proprio questo aspetto del racconto. L’associazione con Dickens è giusta. E sicuramente ci sono delle suggestioni di questo tipo. E ce ne sono altre, legate alla tragedia classica, che ha dei modi così raffinati, decantati, purificati da risultare in qualche modo cinematografica. Le situazioni che riesce a creare il teatro tragico inglese, in termini di rapporti tra i personaggi, fanno parte di una linea drammaturgica che attraversa il mondo, ed è presente in molti film americani. Ho voluto seguire questa linea perché sono un figlio snaturato del cinema italiano, a cui questo film non appartiene.

Cosa ci può dire dell’elemento simbolico del film?

Il film è fortemente simbolista. Anche se lo è in maniera occulta: mi sono accorto che il simbolismo è una pratica vietata in Italia, è fuorilegge per una convenzione non scritta. Qui è stato occultato, c’è una strana alchimia per cui viene in primo piano lo sguardo infantile, che compenetra subito l’animo dello spettatore. Tutto quello che è l’apparato simbolico del film non è così esplicito, e non disturba. Per questo il film è piaciuto a persone e critici da cui non mi sarei mai aspettato parole di apprezzamento. Ma in realtà tutto quello che accade è fortemente simbolico: lo schema dei personaggi in qualche modo rappresenta una funzione emotiva nel centro del film, che è il mondo del bimbo. È una funzione emotiva di crescita: il film è la storia di una sottrazione della verità, che è un procedimento abituale, quasi inconscio, non responsabile, da parte degli adulti nei confronti dei bambini. E questa storia così forte è a suo modo il simbolo di piccole sottrazioni di verità che avvengono tutti i giorni tra le mura di casa.

Nel film c’è un bambino così diverso da tutti i bambini che siamo abituati a vedere al cinema …
Alessandro Vavassori, il ragazzino, è talmente piccolo ... ha personalità, e per istinto si è messo totalmente nelle nostre mani. Fortunatamente non era un bambino ubriaco di televisione.

E anche Claudio Amendola sembra così lontano dal ruolo “pacioso” a cui siamo abituati oggi …
Quando ha letto il copione era molto contento. In passato si era già dimostrato un bravo attore. Poi nel frattempo è diventato il Cesaroni nazionale. Ha una presenza molto forte, e ho lavorato su quello.

Nel film ha curato anche gli effetti speciali …
Ci sono una trentina di effetti speciali: in parte sono serviti a rappresentare le visioni del bambino, che sono vere e proprie allucinazioni. E poi c’è una serie di cose che non si vedono, ma che sono ricavate per via digitale. Ho la fortuna di conoscere abbastanza bene le tecniche e i software per fare questo lavoro. Ed è uno straordinario modo per entrare dentro, fino nell’intimo della pellicola e dell’immagine, un’esperienza bellissima. Che mi ricollega direttamente a una delle figure a cui sono più legato come sguardo e come rapporto con il cinema. È uno dei primi, George Méliès: lui partiva dalla magia, era amico di Houdini e cominciò a lavorare nel suo teatro, trasformandolo in un set cinematografico. Vedendo i suoi film si vede la sua sfida, il suo gioco, la sua indagine sulle possibilità del cinema. Prendere alcuni fotogrammi del film e lavorarli, sovrapponendo un’immagine all’altra, mi ha dato questo tipo di emozione. Mi sono divertito a riempire il film di riflessi, su vetri e superfici lucide, che non sono evidenti, ma contribuiscono alla composizione dell’immagine del film.

 


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