Hulk PDF 
di Davide Tarò   

Molecole instabili, inquadrature nelle inquadrature, come innumerevoli split-screen che impazziti prendono il sopravvento e vagano per l'intera pellicola, uccidendo le altre cellule/inquadrature.
Verde, grandiosa, disfunzionale, glaciale, polimorfica e profonda, schizofrenica ed a suo modo estremamente generosa.

In realtà in questa tormentosa pellicola vi sono almeno due film, fatto non nuovo per lo straniero in terra straniera Ang Lee, un non perfettamente riuscito mélange di cultura popolare e dramma realistico, non certamente per la forma, né per la regia, la sceneggiatura, le musiche o l'interpretazione degli attori, ma per tutto l'insieme - fusione - di queste parti.

In Hulk il colore dominante naturalmente è il verde, come il 'destino verde' della sua più conosciuta pellicola che ormai il regista vede come suo, come strada da percorrere, delle foreste vergini, degli alberi in un bosco notturno, dei monitor, dei raggi gamma, delle luci malate e soffuse al neon di corridoi notturni, quadri meravigliosi, di gusto pittorico, significanti e funzionali.
Tutto è collegato in un equilibrio universale Ying/Yiang, la filosofia, la storia, i personaggi, non è di certo un caso che quando Bruce Banner subisce la sua trasformazione, tutte le inquadrature esplodano, facendo intravedere, intuire, alberi, foreste, universi, cellule in contaminazione, fiumi, il tutto facente andare avanti la pellicola, con incredibili balzi narrativi in avanti, pari solo a quelli che compie il gigante di giada.

Film iper - eccitato una volta tanto nei contenuti, non tanto nella forma, due ore trasbordanti di avvenimenti che bastano appena per tutti i varchi e cerniere narrative/psicologiche presenti, dal rapporto edipico presente in doppia veste, fino alle reminescenze fanciullesche, e poco importa se un gigante verde le percorre tutte correndo solo e libero nel deserto, oppure distruggendo furioso come un bambino appena nato un laboratorio, o ancora mentre combatte disperatamente con cani enormi geneticamente modificati in un bosco oscuro, la pellicola riesce a raggiungere una sottile linea di sospensione dell'incredulità difficile da sfiorare, quello che non si raggiunge invece è una sorta di Humus omogeneo, quella sorta di sottile ed indefinibile materia di cui è fatta la 'magia' dei grandi film.

Dennis Muren, Colin Brady, Christhoper Townsend e Michael Lantieri, rispettivamente supervisore degli effetti speciali, direttore dell'animazione, supervisore della cgi, e supervisore degli 'effetti materiali', appartenenti tutti alla Industrial Light and Magic di George Lucas, riescono a dare una forma, una presenza scenica ed una iterazione con la pellicola e l'ambiente circostante eccezionale all' "attore protagonista". Il regista stesso, come un aspirante demiurgo ha voluto "interpretare" le movenze del tormentoso gigante, ed insieme alla sceneggiatura di James Schamus, piena di buoni spunti ma principalmente fumosa, Hulk diventa un processo ineluttabile di apprendimento, ricordo, di performance fisica e psichica, esperienza, vita e soprattutto sfogo, rabbia, esplosione.

Si possono almeno notare tre "fasi" di crescita/comportamento del furioso gigante di giada, quella fanciullesca (distruzione del laboratorio, nascita), quella dell'adolescenza (lotta per la 'sua' donna), e quella della maturità (consapevolezza e disvelamento dei ricordi), tutti egregiamente rappresentati nella pellicola, dalla sceneggiatura e dalla computer grafica.
'Hulk' come personaggio e come film è un 'bambino', con sue imperfezioni anche visibili, ma con una sua inarrestabile, genuina vitalità, e le inquadrature iniziali, di Bruce Banner neonato insistite sulle sue gambine e braccine che si muovono forsennatamente, ritornano poi più avanti nel film sulla creatura di giada; nello stesso modo, le inquadrature sui suoi occhi, sulle sue iridi, di bambino, gli stessi, profondi, terribilmente obliqui e celanti un universo di immagini represse di un Eric Bana/Bruce molti anni dopo.

Un film che cela e svela una memoria cinematografica e visiva/visionaria particolare ed incisiva, principalmente 'frigida', non 'calda' (è lontano lo Spiderman di Sam Raimi) emotivamente, non estatica, e per un pubblico non per forza di massa può risultare anche ostico, non come converrebbe insomma ad un film 'per tutti', ma d'altra parte anche 'Pulsing Hands', 'Il pranzo di nozze', 'Mangiare, bere, uomo donna' , 'Ragione e sentimento', 'Tempesta di ghiaccio', 'Cavalcando con il diavolo' e 'La tigre ed il dragone' per citare solo le pellicole realizzate in America da Lee, tutte sceneggiate da Schamus, soffrivano di questa particolarità, forse anch'essa una oculata scelta del regista al pari del suo 'destino verde'.

 


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