Le creature selvagge PDF 
Paolo Fossati   

La mamma gli gridò: «MOSTRO SELVAGGIO!» e Max le rispose: «E IO TI SBRANO». Così fu cacciato a letto senza cena. Nella camera di Max quella sera una foresta crebbe. E crebbe crebbe crebbe. Crebbe fino al soffitto ormai fatto di rami e foglie e pure le pareti si trasformarono in foresta. E si formò persino un mare con sopra una barchetta tutta per Max che giorno e notte si mise a navigare.
(Maurice Sendak, Where The Wild Things Are, 1963)

C’erano molti modi, ne era certo, per condurre qualcuno fuori da uno dei corridoi bui della mente.
(Dave Eggers, The Wild Things, 2009)

Non volevo svegliarti, ma c’è qualcosa che devi proprio vedere.
(Where The Wild Things Are, Spike Jonze, Usa 2009)

Un laboratorio per la fantasia
Nel 1963 Maurice  Sendak pubblicò Where The Wild Things Are, un libro per ragazzi composto da diciotto tavole illustrate accompagnate da brevi frasi di commento. Note di testo davvero concise, quasi fossero solo delle didascalie per i disegni. La forza evocativa del racconto visuale però, nell’insieme, risultò dirompente. Divenne un classico per l’infanzia, tradotto in molti paesi. Il visionario regista Spike Jonze e il geniale scrittore Dave Eggers, che furono al tempo due dei molti bambini scossi e affascinati dall’opera di Sendak, oggi ripropongono le loro interpretazioni della stessa storia, tradotta con i linguaggi che meglio padroneggiano: l’uno attraverso un film, l’altro con un romanzo. Influenzandosi vicendevolmente. Sendak negli anni Sessanta ha dunque innescato un vero e proprio laboratorio della fantasia, destinato ad evolvere per merito delle nuove generazioni di lettori. Il viaggio nelle terre selvagge e inesplorate che compie il giovane protagonista Max è diventato il modello di un percorso creativo, attraverso il quale i nuovi autori che hanno il coraggio di confrontarsi con le suggestioni della propria infanzia si misurano, mettendo alla prova abilità acquisite e talento personale. Max è un vivace pre-adolescente frustrato dalle incomprensioni familiari quotidiane, che si spinge lontano da casa diretto su un’isola abitata da strani mostri con i quali riesce a trovare il modo di convivere, fino a diventarne il re. La sua avventura rappresenta la ribellione insita in ogni processo di creazione artistica, oltre ad essere l’emblema di un percorso d’introspezione conoscitiva. Una rivoluzione costruttiva, che sovverte la noia delle regole precostituite causando qualche devastazione utile a ricomporre gli elementi in forme nuove, che possano comunicare i sentimenti con efficacia.

Il lavoro di Eggers sul testo degli anni Sessanta fa pensare all’opera di un pittore che ricavi il colore per dipingere da una gemma preziosa: deve sminuzzarla per ottenerne i pigmenti, poi amalgamarli fino a renderli utilizzabili per tracciare un quadro d’insieme pieno di sfumature. Eggers analizza le illustrazioni di Sendak traendone linfa per alimentare e delineare le proprie intuizioni. La sfida del mettere in forma le emozioni provate durante l’infanzia necessita di grande fedeltà nei confronti del bambino che si è stati, quindi dei suoi pensieri, delle sue paure, dei suoi sogni. È quasi un esame di coscienza. La storia di Max che diviene re delle creature selvagge, d’altronde, non è altro che un viaggio alla scoperta dell’inconscio, un faccia a faccia del bambino con le proprie fantasie, sentimentali o violente che siano. Il libro illustrato è un detonatore di sensazioni che scaturiscono nell’animo di ogni lettore, provocando esplosioni personalizzate, calibrate sull’indole di ognuno. Spike Jonze, appassionato osservatore dei fenomeni dell’immedesimazione (Essere John Malkovich, Usa 1999) e dell’adattamento (Il ladro di orchidee, Usa 2002, in originale Adaptation) non ha resistito alla tentazione di interpellare uno scrittore, come Eggers, piuttosto che uno sceneggiatore tout court per lavorare alla trasposizione. Si trattava, in effetti, di operare un’espansione più che una riduzione per il grande schermo. Ci sarebbe stato bisogno di fantasia, più che di rigore professionale: da qui l’idea di Jonze di mettere addirittura due fantasie a confronto per creare un universo d’immagini. Quasi come se il regista e lo scrittore avessero attraversato insieme lo specchio di Parnassus, per affrontare da alleati il nuovo mondo scaturito dall’amalgama dei loro pensieri. Sendak stesso, durante i lunghi anni di gestazione del film, ha contattato Eggers per esprimere il desiderio di vedere trasformata la storia del piccolo Max in un romanzo. La fantasia si è realizzata, così, in triplice forma: è stata illustrata, raccontata e messa in scena. È diventata tridimensionale.

Vivere un’odissea restando immobili

Nel libro illustrato Max, per punizione, viene spedito a dormire senza cena e nella cameretta comincia a crescere una selva, fino a trasformare lo scenario in un mondo selvaggio ed incontaminato. Il viaggio del ragazzino è invece raffigurato come una fuga da casa sia nel romanzo che nel film. La partenza è improvvisa, dopo un litigio con la madre durante il quale il bambino, indossato un costume da lupo, arriva a manifestare tutto il proprio disagio verso le regole mordendo la donna. Spaventato forse più dal proprio gesto che dalla reazione materna, il protagonista corre a rintanarsi nella boscaglia dietro l’abitazione. L’escamotage narrativo serve a modulare il passaggio dal mondo reale all’inconscio senza instillare immediatamente nel lettore/spettatore il dubbio che si tratti di un viaggio onirico in una terra immaginaria popolata da mostri. Eggers ha dichiarato di essersi domandato “non dove, ma chi fossero queste creature selvagge, e che cosa volevano dalla vita e da Max”. Questa scelta, che non ha tolto nulla al senso del sublime suggerito dell’ambientazione, ha reso possibile un approfondimento del rapporto con le paure di Max, personificate dai mostri. Se Max durante il viaggio finisce proprio a confrontarsi con una piccola società costituita da questo genere di esseri viventi è, molto probabilmente, perché la madre lo ha definito “mostro selvaggio” durante la lite precedente alla sua partenza. Max inizialmente è molto coraggioso: superati piccoli indugi si sente quasi al sicuro nel gruppo di selvaggi, tanto da autoproclamarsi leader. Hanno molto in comune, anche loro provano un senso di inadeguatezza e controllano a fatica gli impulsi violenti. Distruggono addirittura le proprie case perché insoddisfatti della quotidianità. Le creature selvagge sembrano belve per irruenza, capricci e pretese, ma in fondo vogliono solo giocare. Come i bambini.

L’essere spaventoso che lega di più con Max è Carol, enorme trasposizione sia della figura paterna che del futuro uomo che Max s’immagina di diventare. Carol, al contempo sensibile e temerario, sembra guidare il gruppo, ma avere anche bisogno lui stesso di un modello da imitare (infatti è molto felice dell’arrivo di Max, che saluta con grandi aspettative come nuovo re). Vive con difficoltà la gestione della propria forza fisica e dei propri impulsi violenti, scatti d’ira spesso provocati dall’incapacità di controllare i sentimenti. Se Carol è un alter ego ispirato alla figura paterna, Katherine rappresenta la donna ideale e la figura materna perfetta per Max, che desidera rinsaldare il legame tra i due sia per elaborare il trauma vissuto per la separazione dei suoi genitori, sia per esorcizzare una futura incapacità nello stringere rapporti sentimentali duraturi. Che siano simulacri dei genitori o proiezioni di un futuro possibile, si tratta comunque di personificazioni di pensieri con i quali Max deve imparare a convivere. Inizialmente si rifugia volentieri tra i mostri, ma a poco a poco le cose si fanno più complicate. Pur avendo subito intuito che può erigersi a guida del gruppo, il piccolo deve imparare a dominare, e crescere significherà capire che non può illudersi di soddisfare tutte le esigenze di queste ingombranti raffigurazioni delle proprie voci interiori. In modo estremamente efficace Eggers identifica il desiderio principale delle creature in una smania di essere guidati da qualcuno che sappia “migliorare in eterno la vita di tutti”. È l’utopia candida e suprema che tutti sogniamo e solo uno spirito bambino può chiedere esplicitamente. Nel romanzo Max si ritrova spesso nelle condizione di dover addomesticare le creature, tenta di spiegar loro cosa si possa o non si possa fare, esattamente come i genitori fanno con i propri figli. Divenuto adulto per caso (prima di partire per il viaggio era “l’uomo di casa” e spesso inventava storie per rassicurare la madre, data l’assenza del padre) si ritrova ad educare i selvaggi alla civiltà. Il personaggio/Max scritto da Eggers in realtà sta rielaborando tutti gli insegnamenti ricevuti ponendosi per la prima volta dalla parte del “maestro”, comprendendone finalmente il senso profondo. È così che riesce a tener testa ad Ira e Judith (altra coppia maschio/femmina che rappresenta uno scenario di sottomissione maschile che a Max non piace, nel quale forse intravede lampi del rapporto con l’adorata sorella, che da quando è entrata nell’adolescenza lo snobba e lo umilia).

I mostri sono una metafora dei fantasmi interiori. Ogni singola creatura nutre grandi aspettative, come se Max potesse decidere di liberarla scegliendola come paura eletta ad essere la sua compagna di vita per sempre. La sfida che il destino pone al giovane è però quella di sconfiggerle, di domarle senza sopprimerle del tutto. Restando in grado di riconoscere la propria parte selvatica e di liberarla attraverso un ululare da lupo che ne esorcizzi la violenza. Toro è forse la creatura più misteriosa e nello stesso tempo emblematica: se ne sta in disparte ed è l’unico mostro apparentemente scettico nei confronti di Max, che lo teme più di tutti. Non parla mai e al termine del romanzo sarà lui a ricevere la corona regale restituita dal ragazzo. Nel film, invece, durante la scena del congedo pronuncia una battuta simbolica: “parlerai bene di noi, giunto a casa?”. Toro è un essere tenebroso ed inquietante, incarna forse i timori più grandi, quello della solitudine, della possibilità repentina ed incontrollabile di essere sopraffatti da uno slancio di violenza estrema (Max, infatti, è spaventato e non si avvicina), dell’incapacità di confrontarsi con gli altri (è taciturno). Il fatto che rompa il silenzio salutando la partenza di Max sancisce la vittoria del bambino sulla parte più oscura del proprio inconscio. Ogni incontro con uno dei mostri è una tappa di un viaggio simile a quello di un moderno Ulisse, destinato a superare molte prove per ritrovare la via del ritorno.

Rifugiarsi per poi rinascere
L’elaborazione dei traumi avviene attraverso l’analisi dei propri pensieri e lo scontro con le paure: Jonze ed Eggers costruiscono con cura l’antefatto, le ore precedenti della fuga di Max, delineando alcuni tratti caratteristici del protagonista, per suggerire quali tensioni dovrà risolvere una volta partito per il viaggio interiore. Se la già citata disgregazione della famiglia, unita alla profonda solitudine causata dalla perdita di confidenza con la sorella divenuta adolescente, sono le preoccupazioni principali, ci sono poi ansie più universali legate al futuro, concretizzate nella paura che il sole muoia, suggerita da un insegnante poco coinvolgente, che pare svolgere il proprio lavoro solo fornendo dati, senza il minimo trasporto che aiuti Max e i suoi coetanei a sviluppare curiosità. In questo senso il testo di Wake Up, la canzone degli Arcade Fire scelta come colonna sonora del trailer ufficiale del film di Spike Jonze, risulta perfetto. Nonostante nel promo sia presente solo una versione strumentale, per il pubblico anglofono la musica risulta evocativa di parole capaci di creare le esatte atmosfere struggenti che permeano la vicenda di Max: Somethin’ filled up my hearth with nothin’, someone told me not to cry. (…) Children wake up, hold your mistake up, before they turn the summer into dust.

È una catastrofe lontana quella che insidia i pensieri del bambino, ma le rassicurazioni del maestro non sono accettabili, non si può starsene tranquilli solo perché l’umanità probabilmente sarà annientata da altri problemi (guerre, cambiamenti climatici, meteoriti, virus o tsunami che siano) prima che dalla morte del sole. Max prova una profonda inquietudine a causa di questa rivelazione e durante il viaggio sull’isola la trasmetterà anche a Carol: gli è stato sottratto il sogno dell’eternità, ovvero l’innocente privilegio, riservato ai bambini, di non doversi fare troppe domande. D’ora in avanti non potrà più credere alle favole, prima tra tutte la rassicurazione per eccellenza, quella data dalla classica frase “tutto si aggiusterà”. Ascoltarla diverrà, al contrario, un monito del fatto che tutto è destinato a finire. Queste sensazioni vengono ben esplicitate dal continuo bisogno di rifugi manifestato dal protagonista e dalle creature dei suoi sogni (o incubi che siano). Il romanzo e il film sono costellati da esempi di un continuo lavoro di costruzione di luoghi sicuri, destinati poi alla devastazione: dal fortino di neve in giardino al letto a castello trasformato in nascondiglio all’enorme struttura fortificata che Max fa costruire ai mostri selvaggi. La simbologia raggiunge l’apice proprio in un parallelismo tra due luoghi sicuri: per sfuggire alla probabile ira di Carol, Max vorrebbe costruire una camera segreta all’interno della fortezza, dove mettersi in salvo. Ma la fortezza è già un riparo dai pericoli e se Max non è in grado di convivere con i mostri selvaggi significa che non può convivere con i propri pensieri. La contraddizione è tale da creare lo scontro diretto tra Max ed il suo alter ego Carol, un duello destinato a determinare il futuro di Max: libertà dai propri incubi o follia del rifugiarsi per sempre tra loro, lontano dal mondo reale. La prova finale per Max sarà rappresentata dalla scelta dell’indipendenza, dalla capacità di tagliare il cordone ombelicale che lo tiene legato ai mostri più rassicuranti. Per sfuggire a Carol, trova l’ennesimo rifugio, quasi un ritorno alla vita intrauterina: Katherine lo inghiotte per nasconderlo. Nella pancia di quella che potrebbe essere la sua donna ideale Max si sente al sicuro, ma capisce che non può sopravvivere nella finzione, fatica a respirare, intuisce che tutto ciò che lo circonda è una farsa: non è né tornato nel grembo materno, né approdato ad una storia d’amore con un’amante, è solo nascosto nei meandri del proprio inconscio e tutto è già buio, come se il sole si fosse spento in anticipo. Katherine tenta di convincerlo a restare, ma Max ha capito che nascondersi sarebbe come anticipare, in solitaria, il tragico destino dell’umanità: andarsene senza aver provato ad essere sovrano del proprio vivere. Vuole uscire perché è finalmente pronto a rinascere, ma non più come bambino, stavolta come uomo.

È l’ora del ritorno a casa, l’odissea volge al termine e Max riparte con il desiderio di costruire un futuro migliore per sé e per i propri affetti. C’è una suggestione nel romanzo di Eggers, ripresa anche dal film, che rende esplicita l’idea di futuro che si è consolidata nella mente di Max durante il viaggio nella selva delle proprie paure: si tratta della realizzazione da parte di Carol di un mondo in miniatura, una riproduzione artigianale di una città ideale circondata da monti e percorsa da canali sui quali navigare per spostarsi. Al centro dell’opera c’è un foro, raggiungibile attraverso un cunicolo sottostante, dal quale un osservatore può sbucare per immedesimarsi ed abitare quel mondo perfetto con lo sguardo. Come fa un lettore con un romanzo e uno spettatore con un film. Si tratta quindi forse di un omaggio all’arte. Di certo è un inno all’artigianato compiuto da un “mostro selvaggio”, quindi all’attività creativa come forma di salvezza dalla propria natura, come metodo infallibile per materializzare i sogni ed analizzare le paure (come il timore d’amare: una piccola imbarcazione sulla quale viaggiano due fedeli riproduzioni di Carol e Katherine è vittima di un naufragio mentre Max la osserva valicare le onde). Il reale senso dell’odissea è il coraggio di navigare. Il vero ritorno è quello interiore, verso l’equilibrio. Tornando a casa, Max ha appreso la capacità di non fuggire dalla società spaventati dalle cose che mutano tutt’intorno, ma di restare ed accettare i cambiamenti adattandosi alle nuove situazioni o combattere, se è il caso, per difendere il proprio diritto al futuro. È la stessa sfida che la mente deve affrontare negli anni che separano l’infanzia dall’età adulta: abituarsi a convivere con i continui lenti cambiamenti di un corpo da bimbo che si trasforma piano piano in un fisico adulto. La vittoria più grande è restare fedeli ai pensieri e ai sogni del bambino, imparando nel frattempo a gestire le situazioni da uomo. Significa crescere come persona, non solo “diventare grandi”.

TITOLO: Le creature selvagge; AUTORE: Dave Eggers; EDITORE: Mondadori; ANNO: 2009; PAGINE: 240; PREZZO: 17,00 €

 


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