Il cinema di Aleksandr Sokurov. Echi di suggestioni pittoriche PDF 
di Denis Brotto   

Tra i fattori più significativi nell'opera di Aleksandr Sokurov vi è senza dubbio la capacità di rappresentare l'immagine di Dio. Una rappresentazione che si sviluppa senza mai ricorrere in modo diretto all'uso della figura di Dio o dell'immagine cristologica. Sokurov preferisce caratterizzare la presenza di un'entità superiore attraverso una raffigurazione del divino calato in un contesto terreno, strettamente legato alla vita quotidiana. È un approccio che risente da vicino anche dell'influenza della cultura orientale, oltre che della tradizione bizantina e della teologia iconografica. Un tentativo di incarnare Dio nei volti e nelle esperienze di persone qualunque, di esseri umani che affrontano in ogni momento le difficoltà portate dalla vita. L'immagine che contraddistingue i suoi lavori è fatta di intimità, di segreto, di rivelazioni solo intuite, solo sussurrate e, tuttavia, non completamente udite. Il suo lavoro visuale è avvolto nel mistero di un lungo silenzio, in grado di donare alla stessa aria la capacità di aprire le nostre anime, di aprirle al più profondo ed autentico senso spirituale dell'esistenza.

Il fine dell'Arte non è dunque quello della sua perpetuabilità, bensì quello di riuscire a superare le debolezze dello spirito umano, di dare aiuto all'uomo nel suo personale tentativo di evoluzione spirituale. La relazione che si deve venire a creare tra autore e osservatore è fatta di reciproca confidenza, di un desiderio di delicatezza nel poter scoprire assieme che cosa si celi realmente dietro all'immagine. Il senso primario, quello pensato, cercato, voluto e trovato dall'autore, deve rimanere per certi versi in sospeso. La sua sensibilità deve aiutare l'uomo ad aprire la propria coscienza, ad aprire il proprio spirito, in un profondo intento di ricercare, di tornare a cercare, un senso di verità all'interno della propria esperienza di vita. Non si deve trattare di un semplice e scontato trasferimento di un messaggio, di un preciso e già delineato significato attraverso il significante immagine.

Ma parlare di immagine nel cinema di Sokurov significa primariamente evidenziarne l'origine e la forte attrazione pittorica. Ogni scena, ogni ambiente, ogni scelta cromatica e di composizione del quadro racchiude in sé infinite suggestioni pittoriche, in grado non solo di rafforzare lo spessore culturale che sta alla base delle sue opere, ma anche di ricreare quella tensione e quel senso di stupore che in genere può essere avvertito in modo così forte e distinto dinanzi ad un quadro. L'opera cinematografica non riesce abitualmente a conservarne le stesse proprietà emotive. Il linguaggio che sta alla base del cinema, profondamente diverso da quello che caratterizza la pittura, va ad influire anche sulle modalità di sviluppo delle due differenti tipologie di opere. La cura per i singoli quadri che compongono un film è inevitabilmente inferiore rispetto all'attenzione per i dettagli, e alla forza attrattiva di sfumature e accenti dell'opera pittorica. La presenza di uno sviluppo narrativo da concepire e strutturare lungo tutta la durata di un film, determina inoltre anche una forma di impedimento a racchiudere, come avviene invece nella pittura, un intero mondo di personaggi, ambienti ed eventi, all'interno di una singola immagine. Queste diversità, per lo più di natura strutturale, determinano dunque anche una differente emotività per lo spettatore, e uno stato di tensione che, passando dall'osservazione di un'opera pittorica a quella di un'opera filmica, muta notevolmente sia per intensità che per tempo di sviluppo.

Pittura quindi come evento emotivo univoco, d'impulso per lo più immediato, la cui bellezza attrae e mozza il fiato proprio per mezzo di una singola immagine. Il testo cinematografico, viceversa, sembra in genere disperdere questa tensione, discioglierla e disseminarla in molteplici direzioni, scandirla in tanti piccoli momenti, preferendo in sostanza la lusinga, il temporeggiare, il giocare con lo spettatore, concedendogli con parsimonia i propri indizi e le proprie virtù, ma di fatto anche perdendo quell'immediatezza e quella passione tipiche della pittura.

Sokurov costituisce però una delle poche eccezioni nel panorama cinematografico, uno dei pochi casi in cui questa tensione, questa centralità emotiva riesce a rimanere, ravvivandosi e riaccendendosi in continuazione, inquadratura dopo inquadratura. Il profondo intervento che Sokurov opera sull'immagine, per mezzo di obiettivi deformanti, lenti anamorfiche, texture e solventi che mutano e modulano l'immagine sulla pellicola, ricrea quelle specifiche impressioni e suggestioni abitualmente riscontrabili nella pittura, caratterizzando in modo specifico il suo cinema, e confermano il suo valore di "cineasta-pittore". L'operare direttamente sullo spazio, il rimodellare volti ed ambienti per mezzo della luce, l'applicare distorsori ottici direttamente sull'immagine, spesso porta a ricreare gli elementi oggetto del suo cinema, a ricostruire e riformulare quei mondi e quelle sensazioni con cui abitualmente l'uomo ha a che fare. Sokurov lavora sullo spazio concesso dall'obiettivo proprio come fa un pittore su una tela, andando a creare profondità, a sviluppare la spazialità, a fletterla, estenderla senza tener conto delle limitazioni imposte dalla natura.

Non solo l'individuo, ma anche gli oggetti, la materia, ogni cosa presente all'interno dello spazio, può essere considerata come una sorta di corrugamento, di raggrinzimento dello spazio, come un "luogo di curvatura particolare" dello spazio stesso. È come se tutto potesse in un certo senso essere ricondotto ad una visione primordiale dell'ambiente basata su un insieme di linee e di formule. Si assiste ad un processo in cui, non solamente l'uomo, ma ogni cosa materiale viene a perdere i propri tratti, i propri caratteri primari, la propria fisionomia. Sono le stesse parole di Sokurov a chiarire questa concezione dello spazio, visto sempre più come habitat divino, come eden immacolato. "Presto non ci sarà paesaggio alcuno. Ma solamente luce ed ombra espresse in spazi geometrici". Una concezione che avvicina enormemente l'idea di spazio di Sokurov a quella di altri importantissimi artisti russi di inizio Novecento. Il regista russo, nel suo cinema, non vuole raffigurare la realtà, riproducendone l'esistenza e l'oggettività, ma cerca di andare oltre al reale, oltre al naturale. Il suo tentativo appare dunque estremamente vicino a quello di pittori quali Vasilij Kandinskij, Natal'ja Goncarova, Vladimir Tatlin, Kazimir Malevic. Soprattutto quest'ultimo sembra rappresentare un referente importantissimo per cogliere i fattori che stanno alla base dell'idea di spazio elaborata da Sokurov. Malevic, infatti, diversamente da Kandinskij, evitava di risolvere la realtà in forme liriche di colore, prediligendo viceversa una sorta di primitività della raffigurazione, in cui l'oggetto non fosse più strettamente legato alle forme della natura, e potesse esprimersi attraverso forme base quali il quadrato, il cerchio, la croce.

Sokurov cerca inoltre, all'interno delle sue pellicole, di superare il carattere primario della luce quale strumento. La sua ricerca cromatica e sui livelli di luce è estremamente raffinata ed in grado di mutare il valore del fattore luce, considerato non più come mezzo, ma come fine. E strumenti divengono così proprio gli artifici tecnologici, le lenti, gli obiettivi, i filtri. "L'immagine creata attraverso un processore ottico possiede un altro grado di oggettività. Al contempo essa è estremamente soggettiva". Ogni opera diventa così anche una dimostrazione di quale sia l'apporto derivante dall'impiego di nuovi artifici tecnologici. "Cerchiamo di scegliere per ogni film una tecnologia nuova; nuovi strumenti ottici, un nuovo criterio di ripresa". Il film Pietra è stato realizzato con l'aiuto di alcuni strumenti ottici speciali, in grado di renderlo una sorta di acquerello monocromatico. Per Il secondo cerchio sono invece state utilizzate delle riprese effettuate tramite ologramma. In Toro e Moloch sono stati scelti degli obiettivi particolari, con apposite superfici fotoriflettenti, in grado di indirizzare l'immagine ancor più in senso pittorico.

La composizione del quadro operata da Sokurov, la profondità dell'inquadratura, la prospettiva che si viene a realizzare, si caratterizza così in una via maggiormente impressionistica, discostandosi dall'essenza naturalistica dell'immagine cinematografica. Viene sondato il livello suggestivo, connotativi, di ciò che è rappresentato, senza soffermarsi troppo sul valore effettivo e realistico. I paesaggi naturali, gli ambienti, i volti umani, i ritratti dei personaggi storici, sono tutti attraversati e mutati dall'intervento dell'arte. Nel cinema di Sokurov non vi è l'intento di riprodurre una realtà. È un "cinema orfico", che crea nuovi mondi, nuovi ambienti, nuovi volti, andando a trasfigurare le forme abitualmente rinvenibili nel reale. Elena Hill ha definito l'opera di Sokurov come "un cinema di osservazione, basato sulla semantica dell'immagine". Da questi lavori emerge infatti una precisa volontà di rifiutare l'illusorietà del realismo e della tridimensionalità, preferendo a questa l'orizzontalità, la frontalità, il piano. "Ho smesso di illudermi che le immagini sullo schermo abbiano una profondità" ammette Sokurov, ed ogni inquadratura trova del resto una sua ulteriore dimensione nell'apporto tecnologico che il regista conferisce ad essa. Si sceglie l'utilizzo di una luministica in cui le iridi, lungi dal restringere il campo, spiritualmente lo allargano, andando ad incapsulare al loro interno la totalità del reale. La superficie liscia dell'immagine viene modificata e modellata, spesso attraverso l'intervento diretto di Sokurov, che va a colorare e dipingere a mano i propri obiettivi. Ciò che si ottiene è così una forma di opacità ai margini dell'immagine, che la rendono ancor più onirica, sognante, spirituale.

La gerarchia artistica da lui definita per lavorare sull'aspetto visivo delle sue opere lascia intravedere questo diverso utilizzo di riferimenti culturali, di fattori tecnologici, di concetti artistici spesso assenti dal linguaggio cinematografico e che caratterizzano in maniera assolutamente unica il suo cinema. "Ho speso molto tempo per familiarizzare con questo processo, per entrare al suo interno e per trovare un mio personale modo per liberarmi da questo". I film di Sokurov emanano, ognuno in modo differente, questa singolarità e questa visione personale del mondo e, opera dopo opera, sviluppano in maniera inscindibile questa relazione tra quadro e opera filmica, legame suggellato inoltre dal singolo termine russo kartina che egualmente li indica.

L'amore di Sokurov per la pittura romantica tedesca e per l'arte romantica in genere si è concretizzata in scelte estetiche e formulazioni visive in grado di creare spesso legami tra immagini filmiche ed opere pittoriche del passato. Caspar David Friedrich ha costituito ad esempio il modello ideale su cui sviluppare i quadri che compongono Madre e figlio. Sokurov ha apertamente ammesso, infatti, di essersi ispirato al noto dipinto del pittore tedesco Monaco sulla riva del mare, del 1809. Come in questo dipinto, la raffigurazione umana nell'opera di Sokurov occupa uno spazio estremamente limitato. Il cielo è infinito, e ciò non fa che accrescere il senso di solitudine e di sgomento per l'essere umano, di fronte alla sconfinata vastità dello spazio. Ma al di là di questo parallelo, attraverso i lunghi piani-sequenza del film e l'uso di lenti anamorfiche, Sokurov rivela, al pari di Friedrich, la profonda malinconia dell'uomo e l'esplodere silenzioso della natura, manifestando così un immenso legame tra l'uomo dello Sturm und Drang e quello che anima il suo cinema. L'analogia con i lavori di Friedrich è evidenziata inoltre dalla comparazione con i dipinti Viandante all'ombra delle querce di Rugen, del 1799, Veduta della valle dell'Elba, del 1807, e Paesaggio invernale, del 1811, in cui l'inverno diventa simbolo della speranza cristiana. Friedrich è del resto riferimento obbligato anche nel film che più esplicitamente firma il legame tra Sokurov e la pittura, Arca russa. Qui sono i dipinti Naufragio della speranza, del 1823, e Viaggiatore sopra un mare di nebbia, del 1818, a caratterizzare un'opera in cui Storia e Natura giungono ad equivalersi, ed in cui il naufragio di una determina inesorabilmente il declino dell'altra. Mentre l'Ermitage non può che svelare la sua natura di luogo dello spirito e di morte fisica della Storia.

La pittura di Rembrandt costituisce l'anima spirituale di Elegia del viaggio, film del 2000, il cui titolo di lavorazione, Nightwatch, riprende per l'appunto un'opera del pittore olandese. Elegia del viaggio ripropone in realtà anche l'idea di ronda notturna che sta alla base del dipinto, e costituisce, sia a livello filmico che reale, la rappresentazione del viaggio intrapreso da Sokurov per raggiungere, partendo da San Pietroburgo, un dipinto di Peter Saenredam al Museum Boijmans di Rotterdam. "Emotivamente il film è molto vicino a ciò che abbiamo vissuto veramente durante il viaggio attraverso l'Europa" racconta Jankowski, assistente di Sokurov. Un viaggio lungo, impervio, attraverso le nevi della Russia e della Finlandia e attraversato però dalla bellezza dei paesaggi e delle persone incontrate. Un viaggio intrapreso con l'obiettivo di raggiungere un'opera d'arte, la grandezza e la profondità di questa, così come accade anche nel cinema stesso di Sokurov. Il dipinto raggiunto a Rotterdam è Piazza e Chiesa di Santa Maria a Utrecht (1662) di Saenredam, un paesaggio della vecchia Europa, la piazza principale di una città, dove la luminosità serena della facciata della chiesa e l'azzurro tenue del cielo sembrano effondere un senso di placida armonia e di speranza.

Toro presenta invece una luce tendente al verde, o ad un blu latteo vicino ai colori usati nella pittura di Vermeer, creata dal direttore della fotografia, Anatolij Rodionov. Sokurov continua in questo film il suo lavoro di raffinazione dell'immagine. I paesaggi sono ancora una volta, proprio come per Madre e figlio e per Moloch, estremamente vicini alla forza visiva dei quadri romantici tedeschi. Quando vediamo Lenin disteso sul suo letto di morte, la luce verde che irradia la stanza da letto rende quest'ultima anch'essa un'entità cadaverica ed inerte. Non sembra la stanza di una casa ancora abitata, sembra pietra, una grigia entità marmorea. Anche Moloch è stato concepito come un'opera in cui la luce doveva in qualche modo essere ottenuta al pari di una tela, di un dipinto. Un quadro in cui tuttavia gli elementi raffigurati non fossero statici, bensì in movimento, e le cui ombre determinassero, per l'appunto, questo effetto di dinamicità e di continuo spostamento. Un incontro tra luce ed ombra in grado quindi di rinnovare le relazioni tra persone, cose ed ambienti.

 

Sokurov si rifà alla pittura russa, ad artisti quali Savrassov o Borissov-Moussatov, ma anche a Turner, a Munch, al pittore americano Andrew Wyeth, all'arte giapponese, in un insieme di riferimenti culturali e pittorici in grado di sorprendere per precisione e capacità di accostamento. Un film come Pagine sommesse sembra in effetti testimoniare la vicinanza con Rembrandt, ed in particolare sembra dimostrare come anche per Sokurov la luce debba essere estratta dall'oscurità, come essa debba apparire dall'ombra, e non viceversa. La luce che così emerge è quindi un bagliore lontano, immerso in un bagno d'ombra. Pagine sommesse è interamente immerso in tinte fosche, buie, che tendono al nero, e in un'atmosfera resa ancor più pesante dagli elementi che queste immagini lasciano intravedere. Corpi che si gettano nel vuoto, individui che urlano disperati, uomini perduti in grovigli di creature infernali. E dalla bi-dimensionalità di queste immagini demoniache, una terza dimensione viene così a concretizzarsi. Si tratta di un livello che apparentemente si distacca dall'immagine, ma che in realtà va ad approfondirla, ad invaderla. Una dimensione fatta di suoni, di urla, di risate, di echi spettrali e di voci sospese. È il sonoro infatti a creare, in quest'opera, il naturale effetto della tri-dimensionalità. Il visivo appiattito, compresso e livellato acquisisce una dimensione prospettica proprio attraverso l'apporto dell'ambiente sonoro.

Pagine sommesse evidenzia anche un altro particolare molto significativo. Nella sequenza in cui Raskolnikov stila la lista dei beni da impegnare, il naturale flusso di immagini subisce un arresto improvviso. La raffigurazione che blocca a sorpresa la narrazione, mostra una superficie acquosa, all'interno di un'architettura in rovina, dove si intravede una imbarcazione e un gruppo di persone. Sul soffitto si distingue una sorta di figura mitologica, come aggrappata al cielo. Non è immediatamente chiaro che cosa questa figura rappresenti. I colori vitali sono apertamente in contrasto con il buio e dissimulato ambiente cromatico del film. L'immagine è un affresco di Hubert Robert, pittore estremamente caro a Sokurov. Ed è un'immagine in grado di chiarire in realtà la giusta chiave di lettura di quest'opera filmica. Il modello pittorico e soprattutto architettonico del film risulta essere infatti estremamente affine a quello della scuola di Robert, detta "dei capricci architettonici", del XVIII° secolo. Il modo in cui Sokurov ricrea l'ambiente della San Pietroburgo di Delitto e castigo predilige dunque una sorta di irrazionalità spaziale, contraddistinta da arcate altissime, da canali che solcano il territorio della città, rendendola una sorta di labirinto. Non è quindi nell'approccio cromatico di Robert che vanno trovate le connessioni tra dipinto ed opera filmica, quanto nella rivoluzione visiva ed architettonica operata dal pittore e ripercorsa da Sokurov.

Sempre analizzando la vita e l'opera di Robert, risulta interessante l'accostamento operato da Sokurov tra l'arte del pittore francese e la cultura giapponese, in un raffronto duale che rende il documentario Hubert Robert - Una vita felice uno dei lavori più completi e rivelatori del regista. La solitudine spaziale, il vuoto ambientale, il senso di mancanza che attraversa gli affreschi di Robert, e così angosciosamente riproposti in Pagine sommesse, vengono qui contestualizzati all'interno dell'arte giapponese, anch'essa in qualche modo segnata da questa solitudine. Le maschere da teatro che rompono la narrazione e l'emotività del breve film, testimoniano anche l'unitarietà estetica tra questi due poli, superando tradizioni culturali e confini geografici differenti. "Il Signore Dio ha creato una grande diversità di vita e una grande unitarietà d'arte", e il senso di ascensione elicoidale e di intimo mistero che tale accostamento tra la pittura di Robert e i paesaggi del Giappone viene a creare sembra anche corrispondere ad un implicito assenso all'idea di unitarietà dell'arte sostenuta da Sokurov.

La voce solitaria dell'uomo apre un'altra possibile riflessione sull'utilizzo del colore all'interno dell'immagine. Il film presenta infatti, soprattutto nella seconda parte, una predominanza di tinte tendenti al rosso, di riflessi e di sfumature che rendono l'opera estremamente livida, vitale. L'utilizzo del colore ha una valenza anti-naturalistica, non seguendo in sostanza il normale insieme di sfumature e gradazioni del reale. Ricordando tuttavia il contesto narrativo del film, fatto di un forte senso di privazione e di annichilimento del proprio modo di vivere da parte del protagonista, si può tentare una considerazione sui motivi dell'impiego di questo particolare effetto cromatico. La luce rossa che filtra sull'immagine, riesce infatti a mutarne il senso, conferendo all'ultima sequenza dell'opera il suo più autentico valore di rinascita, di resurrezione e di ritorno alla vita per Nikita, protagonista del film. Analizzando le possibilità e gli effetti psichici prodotti dal colore, Kandinskij sosteneva come il valore cromatico dell'immagine sortisse una sensazione non solo emotiva ma addirittura fisica per lo spettatore. Una sensazione mutabile, del resto, proprio in relazione al colore osservato. Il filtro rosso utilizzato nell'ultima parte di La voce solitaria dell'uomo, associato inoltre all'inserto integralmente rosso presente per qualche istante verso la fine del film, sembra in effetti voler creare questa sensazione prima di tutto fisica, in cui, attraverso il contatto diretto del colore con l'occhio umano, l'osservatore giunge ad una gamma di percezioni ed esperienze psichiche remote, non più direttamente collegabili all'oggetto inizialmente considerato. La forza fisica primaria ed elementare del colore si trasforma così in forza emotiva, interiore, in grado di comunicare direttamente con l'anima dell'osservatore, andando al di là dell'iniziale rilevazione operata dall'occhio. "Il colore diviene il mezzo per influenzare direttamente l'anima".

Qualche cosa di simile accade anche in Madre e figlio. L'immagine presenta qui una particolare tendenza al verde, attraverso un effetto cromatico che caratterizza l'intero film. La luce verde, tenue e sfumata, che filtra dall'immagine, crea un effetto di dilatazione dello spazio in cui essa agisce. Anche il tempo, disteso sullo schermo, subisce un processo di amplificazione. L'immagine si mostra così all'occhio dello spettatore in modo apparentemente innaturale. Filtrato. Sfumato. Attraversata da una sorta di vapore che "diluisce i punti dell'inquadratura con un effetto di magica sospensione", dove degli alberi spesso non rimangono che le sagome e, del cielo, una tonalità giallo ocra che ne ricorda le sembianze nei momenti che precedono i diluvi, oltre a donare un senso di infinita lontananza temporale di quest'immagine ingiallita. Si realizza dunque una prospettiva inversa, una prospettiva cioè che, traendo ispirazione dalla pittura russa antica, va a creare una profondità non direttamente all'interno dell'immagine, bensì all'interno delle sensazioni e delle percezioni che l'immagine stessa suscita nello spettatore. È la profondità dell'anima, l'intimità spirituale, ad interessare in questo tipo di processo. La composizione del quadro, seguendo i precetti classici della pittura iconica, crea un valore fatto di suggestione e di ascesi, in cui la profondità spirituale dell'immagine diviene inesauribile, sconfinata. Si tratta di una visione in grado di impressionare intimamente anche attraverso il proprio contenuto e valore simbolico.

Sokurov sembra del resto seguire la tradizione, l'arte e la disciplina dell'iconografia bizantina, in particolare di Andrej Rublëv, il più grande pittore di icone dell'antica Russia. Madre e figlio ripropone soprattutto il simbolismo rivoluzionario attuato da Rublëv nell'icona della Santissima Trinità. I fattori utilizzati da quest'ultimo, ricompaiono nella loro essenzialità nel film di Sokurov. Vi è il Padre, mostrato attraverso l'immagine dell'albero della vita. Vi è il Figlio, ovvero la montagna del Golgotha. E vi è lo Spirito, raffigurato grazie all'immagine della casa, vista anche come tempio. La vicinanza con la tradizione iconografica porta il cinema di Sokurov ad un livello metafisico, in grado di avvicinare l'uomo all'essenza più vera della vita e dell'amore per l'altro. Come il pittore d'icone, anche Sokurov costruisce nei suoi dipinti l'invisibile, il mondo dell'invisibile e della Grazia di Dio. Un mondo raggiungibile attraverso la contemplazione e la riflessione interiore. I simboli rimangono inspiegabili ed indicibili, eppure di fronte alla luce di queste icone cinematografiche si giunge alle soglie di quel processo denominato iconostasi, capace di portare l'uomo oltre il visibile. "L'iconostasi apre delle finestre, toglie i vetri che filtrano la luce spirituale, ci fa respirare l'eterico, e vivere nella luce della gloria di Dio".

Come testimoniato da Rublëv, da Florenskij e da Lermontov, le icone sono porte sull'eternità, e la loro forza è di poter agire sull'uomo, dimostrandone la sua vanità e superficialità. Attraverso il contatto con l'immagine iconica, l'anima dell'uomo trova una forma di risanamento e l'essere umano può raggiungere l'iconostasi. Il sacrificio, l'esercizio quotidiano verso l'obbedienza, l'umiltà, la carità, sono non solo alcuni dei temi più forti dell'opera di Sokurov, bensì anche le forme più consone per provare a raggiungere una sintonia con il mondo ultraterreno, di cui l'icona rappresenta al tempo stesso il risultato ed il tramite più adeguato e conforme.

Bibliografia essenziale:
Alvaro Machado, Aleksandr Sokurov, Mostra Cosac & Naif, 2000
Intervista ad A. Sokurov di Lauren Sedofsky, Plane Songs, in "Artforum", novembre 2001
Intervista ad A. Sokurov di Georges Nivat, La vie n'est pas la mort, c'est le temps, in "Hors-Champs", n. 9, primavera 2004
Elena Hill, Vers une archéologie esperimentale, in "Hors-Champ", n. 1, primavera 1999
A. Sokurov, "Sokurov di fronte a noi [lontano da noi]" in Aleksandr Sokurov - Eclissi di cinema a cura di E. Ghezzi, S. Francia-Di Celle, A. Jankowski, Torino
Carlo Chatrian, Film come quadri. Oltre la realtà, in "Cineforum" n. 385
Lorenzo Esposito, Le anime morte di Alexandr Sokurov, in "FilmCritica", n. 494, aprile 1999
Angelo Signorelli, La solitudine del dolore, in "Cineforum", n. 376, luglio-agosto 1998
Pavel Florenskij, Lo spazio e il tempo nell'arte, Adelphi, Milano, 1924-1995
P. Florenskij, Le porte regali. Saggio sull'icona, Adelphi, Milano, 1977
V. Kandinskij, Lo spirituale nell'arte, SE, Milano, 1989

 


#01 FEFF 15

Il festival udinese premia il grandissimo Kim Dong-ho! Gelso d’Oro all’alfiere mondiale della cultura coreana e una programmazione di 60 titoli per puntare lo sguardo sul presente e sul futuro del nuovo cinema made in Asia...


Leggi tutto...


View Conference 2013

La più importante conferenza italiana dedicata all'animazione digitale ha aperto i bandi per partecipare a quattro diversi contest: View Award, View Social Contest, View Award Game e ItalianMix ...


Leggi tutto...


Milano - Zam Film Festival

Zam Film Festival: 22, 23 e 24 marzo, Milano, via Olgiati 12

Festival indipendente, di qualità e fortemente politico ...


Leggi tutto...


Ecologico International Film Festival

Festival del Cinema sul rapporto dell'uomo con l'ambiente e la società.

Nardò (LE), dal 18 al 24 agosto 2013


Leggi tutto...


Bellaria Film Festival 2013

La scadenza dei bandi è prorogata al 7 aprile 2013 ...


Leggi tutto...


Rivista telematica a diffusione gratuita registrata al Tribunale di Torino n.5094 del 31/12/1997.
I testi di Effettonotte online sono proprietà della rivista e non possono essere utilizzati interamente o in parte senza autorizzazione.
©1997-2009 Effettonotte online.