L'ultimo film di Michel Gondry si presenta già come una videocassetta: col suo rimato e perentorio invito a riavvolgere (“Be Kind Rewind” era la fascetta che le videoteche applicavano sulle cassette da noleggiare), indica per sé un destino umile e ripetitivo. “Per favore, riavvolgete, tornate indietro”: e lo stesso regista ha dichiarato che il primo film di cui avrebbe voluto realizzare un remake è Ritorno al futuro (verso un'altra dimensione temporale, quindi, ma pur sempre un ritorno...). Il film, passato all'ultima Berlinale, appare come uno scanzonato divertissement, dopo due opere che investigavano in modo inusitato e neuroscientifico sul rapporto di coppia e sui processi di innamoramento (Eternal Sunshine of the Spotless Mind nel 2004, e The Science of Sleep nel 2006). In era digitale, Gondry si preoccupa di ricordare la fragilità del film: il corpo magnetizzato di Jerry (Jack Black) cancella tutte le videocassette del negozio. I film scompaiono senza lasciare traccia materiale, ma restano fantasmi esitanti tra i ricordi (si vedano i dubbi sulla sigla di Ghostbusters...). Anche la memoria si fa così supporto precario di immagini, suoni, sensazioni (recuperando l'elemento neuroscienze dei due film precedenti). Si direbbe che quelle di Gondry siano immagini prive della qualità sacra e ontologica che André Bazin attribuiva loro: più che preservare oggetto e durata, si muovono liquidamente, si mescolano ad altre, si ripetono in una variazione obbligata. I due marchi principali di Gondry, che riemergono anche in quest'ultima opera, sembrano essere invenzione e nostalgia. Si ha sempre l'impressione di ritrovarsi di fronte a un assemblaggio di modernariato balzano, che si riversa in questo film in chiave cinematografica. Il film, da visione incorporea, si fa dunque materia di re-invenzione e bricolage. Perciò il ritorno al nastro magnetico, ultimo supporto a evocare da vicino la pellicola. Gondry pare insomma, e soprattutto, voler giocare con le immagini: del resto, giochi e giocattoli sono sempre stati presenti nella sua opera (filmografica e videografica). La stessa immagine è, in fondo, un giocattolo, come quei mattoncini Lego alla base del video di Fell in Love with a Girl dei White Stripes. Frammentate, ri-assemblate in puzzle inusuali, rifratte in modulazioni caleidoscopiche: per le immagini di Gondry vale, più che la permeabilità implicita nella parodia e nell'influenza, una sorta di “malleabilità” ludica e fluttuante. La nostalgia ha comunque in questo film due principali punti d'appoggio: oltre ai cult del cinema (nelle varie declinazioni che il termine “cult” può assumere: Ghostbusters, Rush Hour, 2001...), il jazz di Fats Waller. Invenzione e reinvenzione si mostrano, di fatto, anche nella biografia del jazzista: un falso aneddoto che lo faceva nascere nel fatiscente edificio dell'altrettanto scalcinata videoteca, le aveva conferito un'aura storica e preservatone l'esistenza. La verità irrompe alla fine sotto forma di bulldozer, con la sua stessa violenza noncurante. A Fats Waller viene inoltre dedicato un film in bianco e nero che è la negazione assoluta del blue-screen, dato che si torna addirittura ai dispositivi naïf di Méliès. Attraverso la parodia e l'imitazione rudimentale, si può dunque raggiungere un proprio stile più creativo (magari passando dal patchwork e dall'ibridazione, o effettuando variazioni su uno standard, come succede per il jazz): sembra essere questo il credo di Gondry, espresso sotto forma di ironico manifesto. Il film si ramifica, infatti, nelle varie micro-parodie (un'opera sweded non supera i dieci/quindici minuti circa...), creando una texture irregolare. In tempi di youtube e myspace, i personaggi nostalgici di Gondry decidono modestamente di darsi alla ripetizione, di reinventare all'interno di una costrizione. I film sweded, ognuno alla ricerca della sua chiave parodistica, ripercorrono forse per l'autore l'esperienza personale dei video. In questo campo è stato sicuramente uno dei massimi esponenti dagli anni Novanta in poi, insieme a Chris Cunningham e Spike Jonze, ma non si può dire che egli abbia - rispetto soprattutto al primo - una sua cifra stilistica definita. Riconosciamo Gondry nell'assemblaggio ludico dell'immagine (sia sotto forma “sintattica”, che all'interno dell'immagine stessa, con trovate sorprendenti e invenzioni mozzafiato), ma è pur sempre un modo di muoversi all'interno di un'immagine predefinita (secondo un principio comune alla parodia, appunto), in cui, per fortuna, è ancora possibile giocare. Be Kind Rewind resta dunque una dichiarazione affettuosa e divertita per i film, ma soprattutto per i loro “effetti collaterali”. TITOLO ORIGINALE: Be Kind Rewind; REGIA: Michel Gondry; SCENEGGIATURA: Michel Gondry; FOTOGRAFIA: Ellen Kuras; MONTAGGIO: Jeff Buchanan; MUSICA: Jean-Michel Bernard; PRODUZIONE: USA; ANNO: 2007; DURATA: 98 min.
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